Quando meno è meglio: il caso dei nuovi anticoagulanti orali
di Filippo Brandimarte
24 Settembre 2024

È noto che la prevalenza della fibrillazione atriale aumenti con l’età, ma allo stesso tempo la popolazione anziana presenta un più alto rischio di sanguinamenti rispetto ai soggetti giovani per motivi legati al deterioramento della funzionalità renale, fragilità, interazioni farmacologiche e rischio di cadute. Non stupisce pertanto che negli ultraottantenni ci sia la più ampia variabilità di dosaggi utilizzati degli anticoagulanti per la prevenzione del tromboembolismo in presenza di fibrillazione atriale. (1) È chiaro che somministrare una dose ridotta ad un paziente che non presenta i criteri per la riduzione del dosaggio potrebbe comportare un rischio ischemico non trascurabile sebbene un rischio di sanguinamenti inferiore. Come comportarsi dunque?

Viene in aiuto una recente analisi post hoc dello studio ENGAGE AF-TIMI 48 condotta da autori di grande fama internazionale come Eugene Braunwald, Elliott M. Antman e Robert P. Giuliano e pubblicata sull’ultimo numero di JAMA Cardiology. (2) Lo studio originario ha randomizzato pazienti con fibrillazione atriale a 2 diversi dosaggi di edoxaban (60 mg e 30 mg) o warfarin. L’analisi post hoc invece, condotta da ottobre 2022 a dicembre 2023, si è focalizzata su 2966 pazienti con età ≥ 80 anni, CHADS2 score ≥ 2 e fibrillazione atriale non valvolare con filtrato glomerulare > 30 mL/min che o non avevano i criteri per la dose ridotta e trattati con edoxaban 60 mg vs 30 mg o pazienti con o senza criteri di riduzione della dose trattati con edoxaban 30 mg vs warfarin. Sono stati esclusi i pazienti con alto rischio di sanguinamento, soggetti in trattamento con duplice terapia anticoagulante e soggetti con fibrillazione atriale dovuta a causa reversibile. L’endpoint primario di efficacia è stato ictus o eventi embolici sistemici. L’endpoint primario di sicurezza sono stati i sanguinamenti maggiori definito secondo i criteri della Società Internazionale Trombosi ed Emostasi. Endpoint secondari includevano stroke ischemico, emorragie intracraniche e morte per tutte le cause.

L’età media della coorte in analisi è stata di 83 anni di cui 44% donne. 1700 sono stati i pazienti senza i criteri per la riduzione della dose e di questi 578 sono stati randomizzati a edoxaban 30 mg, 560 a edoxaban 60 mg e 562 a warfarin. 1266 sono stati i pazienti che avevano i criteri per la riduzione della dose e di questi 623 sono stati randomizzati ad edoxaban 30 mg e 643 a warfarin. Nei soggetti che non avevano i criteri per la riduzione di dose non si è osservata alcuna differenza nei bracci in termini di outcomes clinici o ictus/eventi embolici sistemici. Come atteso, edoxaban 60 mg ha comportato più sanguinamenti specie gastrointestinali rispetto al dosaggio ridotto. Non si sono osservate differenze per edoxaban 60 mg vs 30 mg in termini di morte per tutte le cause o stroke ischemico. Interessante notare che l’analisi farmacocinetica e farmacodinamica hanno altresì dimostrato che l’effetto anticoagulante del dosaggio 30 mg nella popolazione ultraottantenne è sostanzialmente equivalente al dosaggio pieno nella popolazione più giovane principalmente per una più intensa inibizione endogena dell’attività del fattore Xa nel primo gruppo. Per quanto riguarda il confronto con Edoxaban 30 mg e warfarin, indipendentemente se i soggetti incontrassero o meno i criteri per la riduzione del dosaggio, il gruppo edoxaban ha avuto una riduzione del 22% degli outcomes clinici. Il tasso di ictus o embolie sistemiche è stato simile nei due gruppi ma nel braccio edoxaban si sono registrati meno sanguinamenti maggiori (specie emorragie intracraniche) con curve che si divaricano precocemente e continuano a divergere nel tempo suggerendo una riduzione sostenuta ed anche più pronunciata dei sanguinamenti nel tempo. La mortalità per tutte le cause è stata del 17% inferiore nel gruppo edoxaban vs warfarin in linea con i dati già noti in letteratura e che hanno portato all’affermazione dei nuovi anticoagulanti orali come gold standard per la profilassi tromboembolica nei soggetti con fibrillazione atriale non valvolare.

L’analisi dimostra come edoxaban 30 mg negli ultraottantenni fibrillanti, indipendentemente dalla presenza o meno dei criteri per la dose ridotta, sia ugualmente efficace nel prevenire gli eventi tromboembolici garantendo parallelamente un minor rischio di sanguinamenti. Il meccanismo biochimico alla base di questo risultato è sostanzialmente rappresentato da una più bassa attività del Fattore Xa nella popolazione anziana che comporta una aumentata sensibilità al farmaco. Questo spiegherebbe il 57% di aumento dei tassi di sanguinamento nei soggetti che hanno assunto la dose di 60 mg, guidati soprattuto dai sanguinamenti gastrointestinali.  Dati simili provengono da una popolazione analoga di pazienti arruolati nel trial ENVISAGE-TAVI AF che sono stati sottoposti a sostituzione valvolare aortica per via percutanea. (3) Anche in questo studio i soggetti che non avevano i criteri per il dosaggio ridotto e che quindi hanno assunto 60 mg hanno avuto un 40% di aumento del rischio di sanguinamenti maggiori rispetto al warfarin anche qui guidati principalmente da sanguinamenti gastrointestinali. Nei soggetti con stenosi aortica, inoltre, è stato dimostrato un intrinseco maggiore rischio di sanguinamenti in quanto hanno una malattia di von Willbrand acquisita oltre che una più alta incidenza di sanguinamenti gastrointestinali (Sindrome di Heyde).

L’importanza di utilizzare la dose corretta per il singolo paziente rimane un caposaldo del trattamento se si vuole mantenere il miglior rapporto rischio/beneficio ma la popolazione anziana ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, necessita di ulteriori accortezze ed i risultati ottenuti nelle popolazioni più giovani non necessariamente possono essere estesi agli ultraottantenni. Certamente ancora non possiamo generalizzare a tutti gli anticoagulanti orali in quanto lo studio ha preso in considerazione solo edoxaban, ma una attenta deescalation, per usare un termine oggi molto caro al mondo degli antiaggreganti, negli individui con età superiore agli 80 anni appare una via sensata e forse percorribile.

Bibliografia:

  1. Giugliano RP. Non–vitamin K antagonist oral anticoagulants in older and frail patients with atrial fibrillation. Eur Heart J Suppl. 2022;24(suppl A): A1-A10
  2. Zimerman A, Braunwald E, Steffel J et al. Dose reduction of edoxaban in pazients 80 years and older with atrial fibrillation. JAMA Cardiol 2024;9:817-825.
  3. Van Mieghem NM, Unverdorben M,Hengstenberg C, et al; ENVISAGE-TAVI AF Investigators. Edoxaban vs vitamin K antagonist for atrial fibrillation after TAVR. N Engl J Med. 2021;385:2150-2160.