La genetica nella stratificazione prognostica delle cardiomiopatie: Non possiamo più ometterla
di Vittoria Rizzello
29 Novembre 2022

La caratterizzazione genetica predice l’outcome dei pazienti affetti da cardiomiopatia (CMP) in maniera più accurata rispetto alla caratterizzazione fenotipica. Questa è la conclusione a cui è giunto un gruppo di ricercatori, coordinati dal prof Gianfranco Sinagra, analizzando l’associazione tra alcune varianti geniche e gli eventi al follow-up in una popolazione di pazienti con CMP a fenotipo non ipertrofico (1).

Gli autori hanno studiato 834 pazienti affetti da cardiomiopatia dilatativa (CMD, 83%), displasia aritmogena del ventricolo destro (ARVC,  8%) e  cardiomiopatia aritmogena del ventricolo sin e biventricolare (ALVC e ACMbiv, 9%) sottoposti ad analisi genetica nell’ambito del Family Cardiomyopathy Registry, un progetto di studio internazionale dell’Università di Trieste e dell’Università del Colorado. Lo scopo dello studio è stato di confrontare l’efficacia di una strategia di stratificazione prognostica basata sul fenotipo clinico versus una stratificazione basata sulla caratterizzazione genetica. L’ end-point primario analizzato è stato la mortalità per tutte le cause/trapianto cardiaco; gli end-point secondari sono stati rappresentati dall’ outcome aritmico di morte cardiaca improvvisa e aritmie ventricolari maligne e dall’end-point composito di morte per heart failure (HF), trapianto cardiaco o impianto di VAD (end-point HF) .

L’analisi genetica è stata effettuata utilizzando il metodo del next generation DNA sequencing con pannelli di multigenici. Una variante patogenetica/probabilmente patogenetica (P/LP) è stata evidenziata in 351 pazienti (38%);  in particolare,  in 253 pazienti (37%) con CMD, in 30 pazienti (43%) con ARVC e in 32 pazienti (43%) con ALVC/ACMbiv. I pazienti portatori di varianti geniche molto rare (<10 pazienti) sono stati esclusi dall’analisi di outcome, che quindi ha incluso 281 pazienti.

I geni coinvolti con frequenza maggiore sono stati:  i geni sarcomerici (analizzati in un cluster) e i geni della titina, della plakofillina-2, della lamina, della filamina-C e della desmoplakina. I differenti fenotipi clinici hanno dimostrato un’importante eterogeneità genica, con geni differenti associati allo stesso fenotipo clinico.

Nell’analisi di outcome, i pazienti con ACM (ARVC + ALVC+ ACMbiv) presentavano più frequentemente l’end-point aritmico rispetto ai pazienti con CMD (37% vs 18%, p=0.001), ma nessuna differenza per l’end-point primario e l’end-point HF. I 6 differenti geni analizzati sono risultati associati differentemente ai diversi end-point. In particolare, i carrier di varianti geniche della lamina hanno dimostrato il più alto rischio sia dell’end-point primario che dell’end-point HF.  I carrier di varianti della lamina, desmoplakina, filamina C e plakofillina 2 (insieme definiti geni aritmogeni) hanno dimostrato un più alto rischio di morte improvvisa e di aritmie maligne (p<0.001) e di morte/trapianto (p=0.03) rispetto ai carriers di mutazioni della titina e sarcomeriche.

Inoltre, usando l’ analisi multivariata di Cox, gli autori hanno dimostrato che sebbene sia la caratterizzazione fenotipica che genetica dei pazienti fossero predittori dell’end-point primario, la caratterizzazione genetica consentiva una migliore discriminazione degli eventi ed era l’unico predittore di eventi aritmici.

Considerazioni.

I risultati dello studio di Paldino A e coll sono clinicamente rilevanti perché richiamano l’attenzione sulla necessità di riconoscere un ruolo clinico allo studio genetico nei  pazienti affetti da CMP non ipertrofiche. Gli attuali costi e  tempi dell’analisi genetica appaiono infatti compatibili con la pratica clinica quotidiana e pertanto permettono di utilizzare il test genetico  nel work-up diagnostico-terapeutico di questi pazienti. In particolare, il ruolo della genetica appare particolarmente determinante nella stratificazione del rischio aritmico. In effetti, anche le ultime linee guida sulla prevenzione della morte improvvisa hanno riconosciuto un’indicazione di classe I all’utilizzo della genetica nei pazienti affetti da CMP (2). In questi pazienti infatti, l’identificazione di varianti geniche aritmogene può giustificare l’impianto di defibrillatore anche in pazienti senza severa riduzione della funzione ventricolare sinistra. Analogamente i pazienti con mutazioni della lamina potrebbero essere oggetto di protocolli di prevenzione e trattamento dello scompenso cardiaco avanzato dedicati.

REFERENCES

  1. Paldino A, Dal Ferro M, Stolfo D, Gandin I, Medo K, Graw S, et al. Prognostic Prediction of Genotype vs Phenotype in Genetic Cardiomyopathies. J Am Coll Cardiol. 2022;80:1981-1994.
  2. Zeppenfeld K, Tfelt-Hansen J, de Riva M, Winkel BG, Behr ER, Blom NA, et al. 2022 ESC Guidelines for the management of patients with ventricular arrhythmias and the prevention of sudden cardiac death. Eur Heart J. 2022;43:3997-4126.