L’ OCT durante angioplastica. Funziona anche dopo sette anni?
di Simone Budassi - Flavio Giuseppe Biccirè
30 Novembre 2021

A  50 anni dall’introduzione dell’angioplastica da parte di Andreas Gruntzig, la procedura ha dimostrato di ridurre la mortalità e la morbidità dei pazienti affetti da coronaropatia. Due concetti entrano in campo nel definire se un’angioplastica con impianto di stent è stata efficace per il paziente dal punto di vista della prognosi: da una parte l’effettiva indicazione e dall’altra la correttezza nell’esecuzione della procedura. Ma cosa significa “eseguito correttamente”? Un impatto notevole nella valutazione della qualità tecnica della procedura è stato portato dall’introduzione della tomografia a coerenza ottica (OCT), una metodica innovativa di imaging intra-coronarico in grado di fornire sezioni tomografiche delle arterie coronarie con un’elevata risoluzione assiale (10-15 μm)(1). Difatti, l’angiografia coronarica, la modalità di imaging cardine della cardiologia interventistica, ha limiti ben stabiliti tra cui una visualizzazione macroscopica del lume della coronaria piuttosto che la raffigurazione delle pareti del vaso dove il processo di aterosclerosi si manifesta (2).

Diversi studi in passato hanno dimostrato i benefici di un’angioplastica guidata dall’OCT piuttosto che dall’angiografia coronarica(3-6). Tuttavia, in letteratura sono pochi i dati a lungo termine in considerazione della relativa recente introduzione dell’OCT nella pratica clinica.

In questo contesto, un contributo importante è appena giunto dai dati del registro CLI-OPCI a 7.5 anni di follow-up (7). Il CLI-OPCI è stato il primo studio a validare i criteri di ottimale impianto di stent predittivi di un buon esito clinico a breve e medio termine (3).

391 pazienti del registro CLIOPCI con un lungo follow up di 7.5 anni sono stati retrospettivamente analizzati (7). La definizione di risultato subottimale dell’angioplastica richiedeva almeno una delle seguenti caratteristiche all’analisi OCT: (a) un’area luminare minima all’interno dello stent < 4.5 mm2, (b) un restringimento subito prossimalmente o distalmente allo stent che comportava una riduzione dell’MLA a valori inferiori a 4.5 mm2, (c) una dissezione all’edge prossimale o distale dello stent > 200 µm. In 102 pazienti (26.1%) si è verificato l’endpoint clinico che comprendeva mortalità cardiaca, infarto miocardico non chiaramente attribuibile ad un vaso non target e rivascolarizzazione della lesione target, ed è stato denominato gruppo device oriented cardiovascular events (gruppo DOCE). Le caratteristiche OCT di non ottimale risultato della PCI erano più frequenti in questo gruppo. Entrando più nel dettaglio l’MLA < 4.5 mm2 era presente nel 38.1% dei pazienti DOCE vs 19.8% dei pazienti non DOCE (p< 0.001), l’espansione dello stent < 70% nel 29.5% dei pazienti DOCE vs 20.3% dei non DOCE (p=0.032), restringimento del lume prossimale allo stent <4.5mm2 nel 6.5% dei pazienti DOCE vs 1.4% dei non DOCE (p=0.004) e restringimento del lume distalmente allo stent < 4.5 mm2 nel 12.9% dei pazienti del primo gruppo vs 3.6% del secondo gruppo (p<0.001). Quando inserite in un modello multivariato l’analisi ha confermato che le caratteristiche OCT di PCI subottimale erano predittori indipendenti dell’endpoint composito con un HR di 2.17 p<0.001.

Se da un lato l’elevata definizione dell’OCT ci dà moltissime informazioni sulle caratteristiche delle placche aterosclerotiche coronariche e ci aiuta nella scelta della lunghezza e delle dimensioni dei device, dall’altro il suo utilizzo dopo la PCI può aiutarci ad ottenere immagini di grande importanza che ci supportano nella valutazione dei risultati delle nostre procedure. Questo studio sottolinea come l’utilizzo dell’OCT post PCI sia associato ad una riduzione degli aventi cardiovascolari avversi ed avvalora ancor di più il ruolo di questa potente arma nel nostro arsenale per migliorare  l’outcome dei pazienti sottoposti a procedure di PCI.  

Bibliografia

1.  Prati F, Regar E, Mintz GS et al. Expert review document on methodology, terminology, and clinical applications of optical coherence tomography: physical principles, methodology of image acquisition, and clinical application for assessment of coronary arteries and atherosclerosis. European heart journal 2010;31:401-15.

2.  Prati F, Guagliumi G, Mintz GS et al. Expert review document part 2: methodology, terminology and clinical applications of optical coherence tomography for the assessment of interventional procedures. European heart journal 2012;33:2513-20.

3.  Prati F, Di Vito L, Biondi-Zoccai G et al. Angiography alone versus angiography plus optical coherence tomography to guide decision-making during percutaneous coronary intervention: the Centro per la Lotta contro l’Infarto-Optimisation of Percutaneous Coronary Intervention (CLI-OPCI) study. EuroIntervention : journal of EuroPCR in collaboration with the Working Group on Interventional Cardiology of the European Society of Cardiology 2012;8:823-9.

4.  Prati F, Romagnoli E, Burzotta F et al. Clinical Impact of OCT Findings During PCI: The CLI-OPCI II Study. JACC Cardiovascular imaging 2015;8:1297-305.

5.   Soeda T, Uemura S, Park S-J et al. Incidence and Clinical Significance of Poststent Optical Coherence Tomography Findings. Circulation 2015;132:1020-1029.

6.  Ali ZA, Karimi Galougahi K, Maehara A et al. Outcomes of optical coherence tomography compared with intravascular ultrasound and with angiography to guide coronary stent implantation: one-year results from the ILUMIEN III: OPTIMIZE PCI trial. EuroIntervention : journal of EuroPCR in collaboration with the Working Group on Interventional Cardiology of the European Society of Cardiology 2021;16:1085-1091.

7.  Prati F, Romagnoli E, Biccirè FG et al. Clinical outcomes of suboptimal stent deployment as assessed by optical coherence tomography: long-term results of the CLI-OPCI registry. EuroIntervention : journal of EuroPCR in collaboration with the Working Group on Interventional Cardiology of the European Society of Cardiology 2021.