Poligenic risk score: quando ci è davvero utile?
di Flavio Giuseppe Biccirè
08 Febbraio 2022

È possibile prevenire le malattie cardiovascolari con interventi mirati ed efficaci su larga scala? La genetica ci può essere davvero d’aiuto? Un’importante risposta ci viene data oggi sull’ultimo numero di The Lancet grazie al lavoro di J. Steinfeldt et al su circa 400,000 individui 1.

Le malattie cardiovascolari rimangono tutt’oggi la principale causa di morte e disabilità in tutto il mondo e l’identificazione degli individui a maggior rischio rimane fondamentale per ridurre l’impatto di queste patologie sulla popolazione e sui sistemi sanitari nazionali. Purtroppo, con le sue espressioni più varie, la patologia cardiovascolare rappresenta un archetipo di malattia complessa, con determinanti sia genetici che ambientali, rendendo la valutazione del rischio sempre più personalizzata al fine di attuare delle strategie di prevenzione primaria efficaci. Gli scores di rischio si basano ad oggi sui fattori cardiovascolari tradizionali come l’età, il sesso, l’ipertensione arteriosa, l’ipercolesterolemia e l’abitudine tabagica.

Ma possiamo essere più precisi?

A questa domanda negli ultimi anni hanno provato a rispondere gli score di rischio poligenici (PRS), i quali, tramite lo studio delle varianti geniche, analizzano la suscettibilità congenita di ogni individuo a sviluppare tali patologie.

Gli studi passati hanno dimostrato come il rischio genetico calcolato con i PRS sia in grado di identificare soggetti a maggior rischio di malattie coronariche e ictus 2, 3.

Tra gli altri, Chirstiansen e colleghi hanno analizzato le caratteristiche dell’aterosclerosi in base al PRS. Per ogni aumento della deviazione standard nel PRS, il punteggio di calcio coronarico è aumentato del 78% e la percentuale di stenosi coronarica è aumentata del 16%. Il PRS era associato a una maggiore prevalenza di placche ostruttive (odds ratio [OR]: 1.78), calcifiche (OR: 1.69), calcifiche-miste (OR: 1.67), placche miste-soft (OR: 1.45), soft (OR: 1.49) e una maggiore prevalenza di placche su ciascun vaso coronarico 4.

Tuttavia, il beneficio dei PRS nella medicina preventiva cardiovascolare rimane ancora controverso.

La principale obiezione contro una diffusa applicazione dei PRS nella prevenzione primaria è il basso contenuto informativo che essi hanno per la maggior parte degli individui nella popolazione. Nello studio di Khera et al, uno dei principali sull’argomento, solo gli individui nei percentili superiori nelle distribuzioni di popolazione in base al PRS avevano mostrato grandi cambiamenti nelle frequenze delle malattie associate2.

Inoltre, la relazione dei PRS con i fattori di rischio tradizionali rimane non chiara. Difatti, l’incorporazione nei PRS di polimorfismi a singolo nucleotide (SNP) che influenzano i fattori di rischio già noti ha destato scetticismo sulla reale utilità dell’analisi congiunta dei PRS con quegli stessi fattori di rischio.

Lo studio di J. Steinfeldt e colleghi, pubblicato sull’ultimo numero di The Lancet, risponde a questi quesiti proponendo un unico modello predittivo in grado di integrare le informazioni genetiche e i fattori di rischio classici, al fine di individuare su larga scala gli individui più a rischio e nei quali è più utile analizzare il PRS.

Gli autori hanno utilizzato come coorte un campione della popolazione generale del Regno Unito, proveniente da 22 centri differenti, che includeva 273,383 donne e 229,122 uomini di età compresa tra 37 e 73 anni al momento della valutazione di base. I PRS per malattia coronarica e ictus sono stati raccolti per tutti i partecipanti grazie al catalogo PRS preesistente della popolazione in esame.

Il tempo medio di follow-up è stato di 11.7 anni e 28.083 (7,1%) partecipanti hanno avuto un evento avverso cardiovascolare maggiore (MACE; definito come morte cardiovascolare, infarto miocardico fatale e non fatale, attacco ischemico transitorio o ictus fatale e non fatale).

Questo studio è stato il primo a valutare l’applicabilità in prevenzione primaria di un nuovo strumento di stratificazione di rischio cardiovascolare basato sull’utilizzo della rete neurale: il NeuralCVD.

Gli autori hanno sviluppato un punteggio NeuralCVD mettendo insieme 29 fattori di rischio cardiovascolari utilizzati nei famosi score di rischio ESC, AHA/ASCVD e QRISK3.

Grazie ai modelli di Cox, le reti neurali sono risultate migliori nel discriminare il rischio cardiovascolare rispetto agli score convenzionali.

Per studiare l’impatto dei PRS sulle previsioni fatte in base ai fattori di rischio tradizionali, gli autori hanno calcolato le differenze di rischio relativo tra i modelli creati con e senza informazioni poligeniche. Sottraendo la stima del rischio clinico (con solo i fattori di rischio tradizionali) dalla previsione del modello creato sulle informazioni cliniche e poligeniche, hanno poi ottenuto una differenza di rischio assoluta imputabile ai fattori genetici.

L’integrazione dei PGS nel modello NeuralCVD ha migliorato la discriminazione del rischio sulle covariate cliniche con una differenza significativa nel C-index di 0.006 (intervallo di confidenza [IC] 95% 0.005-0.007) e NRI di 0.0116 (IC 95% 0.0066-0.0159).

Non solo, l’effetto aggiuntivo maggiore del PRS si è notato di più nella fascia d’età più giovane (<50 anni; rischio relativo 2.64, 95% IC 2.52-2.76), mentre gli individui di età superiore ai 60 anni presentavano un rischio clinico già elevato e un effetto più piccolo del rischio genetico sul rischio complessivo (rischio relativo 1.40, IC95% 1.37-1.42).

Le informazioni poligeniche predittive aggiuntive dipendevano dal fenotipo clinico (cioè dal rischio clinico) e il punteggio NeuralCVD era in grado di dire quale fosse il contributo aggiuntivo del calcolare il PRS. Infatti, l’alto rischio genetico non influenza significativamente il rischio complessivo degli individui più anziani, i quali hanno un rischio clinico già elevato, mentre al contrario aumenta notevolmente la stratificazione prognostica nei giovani con rischio clinico basso.

Sembra dunque che il rischio genetico possa davvero avere un’utilità nella stratificazione di rischio dell popolazione generale.

Tuttavia, come sottolineano gli autori stessi, i PRS sono approssimazioni del rischio genetico nel corso della vita e dunque, per essere applicati clinicamente, è fondamentale prendere in considerazione la relazione tra le informazioni fornite dai PRS e il fenotipo clinico osservato. Una delle principali scoperte di questo studio è senz’altro che la genetica può rappresentare un’arma importante ma da utilizzare al momento giusto, come ad esempio nei soggetti giovani con basso rischio clinico.

Un modello integrato clinico-genetico è auspicabile e le reti neurali sembrano offrire quello strumento mancante in grado di modellare questa relazione in base alle fasce di età e al rischio clinico. Sul sentiero impervio della prevenzione cardiovascolare primaria una nuova strada è tracciata ma l’orizzonte sembra ancora lontano.

Bibliografia

1.  Steinfeldt J, Buergel T, Loock L, Kittner P, Ruyoga G, Zu Belzen JU, et al. Neural network-based integration of polygenic and clinical information: development and validation of a prediction model for 10-year risk of major adverse cardiac events in the UK Biobank cohort. The Lancet Digital health 2022;4(2):e84-e94.

2.  Khera AV, Emdin CA, Drake I, Natarajan P, Bick AG, Cook NR, et al. Genetic Risk, Adherence to a Healthy Lifestyle, and Coronary Disease. The New England journal of medicine 2016;375(24):2349-2358.

3.  Nikpay M, Goel A, Won H-H, Hall LM, Willenborg C, Kanoni S, et al. A comprehensive 1000 Genomes–based genome-wide association meta-analysis of coronary artery disease. Nature genetics 2015;47(10):1121-1130.

4.  Christiansen MK, Nissen L, Winther S, Møller PL, Frost L, Johansen JK, et al. Genetic Risk of Coronary Artery Disease, Features of Atherosclerosis, and Coronary Plaque Burden. Journal of the American Heart Association 2020;9(3):e014795.