Scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata e ridotta, due entità sempre più distinte.Analisi post hoc dello studio PARAGON HF
di Alessandro Battagliese
07 Maggio 2024

L’ipotensione è uno degli eventi avversi più comuni nei pazienti trattati con sacubitril/valsartan (S/V). L’ipotensione correlata al trattamento può limitare l’aumento della dose o portare alla sospensione prematura del farmaco, ed è stata dimostrata avere un significativo impatto prognostico nei pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta (HFrEF). Tuttavia, in un’analisi secondaria dello studio PARADIGM, i pazienti randomizzati a sacubitril/valsartan sono rimasti a minor rischio di esiti avversi successivi, anche dopo un evento ipotensivo, rispetto a coloro che ricevevano enalapril.

Le implicazioni dell’ipotensione correlata al trattamento con S/V nei pazienti con scompenso cardiaco a frazione lievemente ridotta (HFmrEF) o preservata (HFpEF) sono meno certe. In una analisi post-hoc dello studio PARAGON-HF, pubblicata sull’ultimo numero di JACC, si è cercato di identificare i predittori dell’ipotensione, valutare l’associazione tra eventi ipotensivi e esiti successivi, e valutare la relazione tra la frazione di eiezione del ventricolo sinistro e l’ipotensione correlata al trattamento con S/V.

Lo Studio PARAGON HF è uno studio internazionale, multicentrico, randomizzato, in doppio cieco confrontante l’efficacia e la sicurezza di sacubitril/valsartan (S/V) vs valsartan (V). I criteri di inclusione erano un’età di 50 anni o più, LVEF >45% nei sei mesi precedenti, sintomi di scompenso cardiaco che richiedevano terapia diuretica per almeno 30 giorni prima dello screening, classe funzionale NYHA II-IV, livelli elevati di peptidi natriuretici e evidenza di malattia cardiaca strutturale (ingrandimento dell’atrio sinistro o ipertrofia ventricolare sinistra). I soggetti idonei sono entrati in una fase iniziale di run-in in singolo cieco ricevendo valsartan 40 o 80 mg due volte al giorno per 1-2 settimane. Successivamente i partecipanti sono stati passati a sacubitril/valsartan 49/51 mg due volte al giorno per 2-4 settimane. I criteri di esclusione chiave erano un precedente LVEF <40%, sindrome coronarica acuta, recente rivascolarizzazione miocardica o qualsiasi intervento chirurgico cardiovascolare, scompenso cardiaco decompensato acuto, una nota storia di angioedema e storia di ipersensibilità a uno dei farmaci dello studio. Gli individui con pressione arteriosa sistolica (SBP) <110 mm Hg alla visita di screening sono stati esclusi dallo studio. Allo stesso modo, i soggetti con SBP <100 mm Hg o ipotensione sintomatica segnalata dall’investigatore durante e alla fine della fase di run-in sono stati esclusi.

L’analisi post hoc è stata effettuata su un totale di 4796 pazienti. Il 13% di questi ha sviluppato ipotensione con maggior frequenza nel sottogruppo randomizzato a S/V (16%) rispetto al sottogruppo randomizzato a V (11%).

I predittori di ipotensione includevano l’assenza di una storia di ipertensione o diabete, il trattamento con sacubitril/valsartan, valori di frazione di eiezione del ventricolo sinistro (LVEF) più alti (> 60%), livelli più elevati di creatinina, fibrillazione/flutter atriale, assenza di ipertrofia ventricolare sinistra, livelli più alti di NT-proBNP, e l’uso di antagonisti del recettore mineralcorticoide.

I pazienti che hanno sperimentato ipotensione hanno avuto un rischio maggiore di morte cardiovascolare, ospedalizzazioni totali per insufficienza cardiaca, mortalità per tutte le cause, ospedalizzazioni cardiovascolari, visite urgenti per insufficienza cardiaca e ospedalizzazioni non cardiovascolari. Tuttavia, gli effetti del trattamento con sacubitril/valsartan rispetto al solo valsartan sono rimasti consistenti indipendentemente dall’occorrenza di ipotensione ma solo nei pazienti con FEVS lievemente ridotta; una LVEF più alta alla baseline era associata a un maggior rischio di ipotensione e a una ridotta efficacia clinica nei pazienti trattati con sacubitril/valsartan rispetto a quelli trattati solo con valsartan. In particolare per valori di LVEF ≥60% il trattamento di S/V comportava più rischi (ipotensione) che benefici (aumento di reospedalizzazione e morte cardiovascolare).

In conclusione dall’analisi di questo studio il valore di frazione di eiezione del ventricolo sinistro nei pazienti con scompenso cardiaco è un perdittore indipendente sul rischio di ipotensione e sull’efficacia clinica del trattamento con sacubitril/valsartan, suggerendo che il rapporto rischio/beneficio di sacubitril/valsartan nei pazienti con scompenso cardiaco appare vantaggioso per valori di LVEF al di sotto della norma rispetto a quelli con LVEF più alta. Data la natura dell’analisi secondaria all’interno di un trial clinico randomizzato, i risultati sono intesi come generatori di ipotesi piuttosto che conclusivi.

Considerazioni:

Questo lavoro è molto interessante perché fornisce dati aggiuntivi sullo scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata e nello specifico sull’efficacia della terapia con S/V in questo setting.

È stata ampiamente documentata l’efficacia degli antagonisti neuro-ormonali in EF moderatamente ridotta ma non in EF normale. In particolare, il PARAGON-HF ha confrontato sacubitril/valsartan con valsartan in pazienti con HF e un EF del 45%.

Il trattamento con sacubitril/valsartan è associato a un maggior rischio di ipotensione rispetto ad altri farmaci, soprattutto nei pazienti anziani con comorbidità e in quelli con un EF superiore al 60%. Solitamente i pazienti con HF e LVEF preservata sono più anziani, hanno un maggior numero di comorbilità ed in particolare il sottogruppo a FE supernomale (> 60%) spesso sono caratterizzati da fenotipi ipertrofici, con volumi ventricolari piccoli e atri molto dilatati; tra questi ci sono forme infiltrative o ipertrofiche che hanno un trattamento specifico; non sorprende come in questo setting la modulazione neuro-ormonale sia meno efficace ed in particolare il S/V non rappresenti un trattamento costo/efficace; inoltre EF più alta potrebbe riflettere un malfunzionamento vascolare o fenomeni infiammatori.

L’ipotesi fisiopatologica moderna è che la HFpEF potrebbe essere causata da una infiammazione sistemica e disfunzione microvascolare; trattamenti mirati all’infiammazione sistemica e microvascolare potrebbero influenzare favorevolmente i gli esiti clinici ed il decorso clinico dei pazienti con HFpEF. Attendiamo ulteriori studi a riguardo.

Stiamo imparando cosa non è l’HFpEF; è un punto di partenza per imparare cos’è in modo da identificare obiettivi di trattamento e sviluppare e testare trattamenti per questa sindrome sempre più comune e debilitante.

Bibliografia:

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