EPPURE LOMBROSO CI AVEVA VISTO
di Eligio Piccolo
12 Febbraio 2018

Non è che oggi osservando il cranio, quello macabro tipo Amleto, o la faccia di un personaggio probo o malvivente, vi si possa inferire con dati precisi sulla loro personalità presente o passata. Così come se n’era convinto Cesare Lombroso (1835-1909) studiando i matti che vagavano nei vari manicomi di cui ebbe responsabilità come medico, e poi analizzando i teschi di noti criminali deceduti. Come il brigante Giuseppe Villella, colpito mentre si era dato alla macchia, nel quale  il grande antropologo aveva individuato un segno, a suo dire indicativo della predisposizione alla delinquenza,la “fossetta occipitale mediana”. Segno successivamente contestato da molti esperti, così come altre particolarità anatomiche dal Lombroso proposte, quali le grandi mandibole, che a noi potrebbero ricordare un inquilino di Palazzo Venezia, o i denti canini forti, come in Dracula; oppure gli incisivi troppo sviluppati, che ci rimandano a un famoso film di Sordi e a un’attuale parodia di Crozza; o ancora gli zigomi o le arcate sopraciliari sporgenti alla Frankenstein, o il naso schiacciato nella “lue ereditaria”.

No, oggi non lo si dice più, perché le ricerche scientifiche e statistiche non lo hanno confermato. Tuttavia qualcosa delle tante osservazioni fatte dal geniale antropologo veronese è rimasto nel subconscio di molti medici, psicologi e psichiatri. Soprattutto da quando si sono ripresi gli studi del cervello con tecniche più moderne e più specifiche rispetto alle semplici misure e peso dell’organo e del contenente, delle loro deformazioni e delle conseguenze neurologiche causate da un ictus, un’infezione o un intervento neurochirurgico.

Va segnalato che Lombroso era vissuto in un periodo nel quale la medicina aveva fatto grandi progressi in ogni campo, tranne che in quello delle  della fisiologia e delle patologie cerebrali e psichiche. Gli stessi Freud e Yung, i cui studi sui comportamenti psicologici dell’uomo sano e malato erano molto condizionati dalla filosofia e dai casi clinici particolari, avevano dovuto prendere in considerazione anche le osservazioni antropologiche di Lombroso, pur considerandole prive di ogni fondamento scientifico. Un’accusa poco generosa visto che loro stessi lavoravano con una metodologia necessariamente povera di riscontri, in un periodo dominato dal positivismo, da pregiudizi morali e dalle estrapolazioni necessariamente teoriche di Darwin sull’evoluzione della specie.

 

Il darwinismo stesso, infatti, nella sua valutazione dello sviluppo cerebrale dalla scimmia al sapiens e all’uomo moderno, offriva alle intuizioni lombrosiane molti spunti per giustificare i casi di minore o maggiore sviluppo dell’intelligenza, dal beota al genio, nei differenti gradi di civiltà e anche nelle diverse specie umane. Un insieme che è stato visto da molti come un’apologia del razzismo, premonitrice del Mein Kampf e delle leggi anti-razziali; mentre Lombroso stesso, considerando la possibile combinazione fra genialità e pazzia in quelli che lui chiamava i “mattoidi”, ne stigmatizzava il difficile confine con la follia e la paranoia. In alcuni personaggi, diceva, all’apparenza abili e di buon senso nella vita quotidiana, ma pedanti, capaci di occultare la loro pazzia, di assumere il ruolo di patrioti, di spiriti umanitari e di influenzare le masse con la loro audacia e le loro fanatiche convinzioni. Non avrebbe potuto predire con maggiore perspicacia il dittatore tedesco del 1933.

Lombroso era così convinto delle sue osservazioni da istituire in Torino un Museo di Antropologia Criminale che radunava 684 crani ed altri reperti macabri, nonché migliaia di foto appartenenti a criminali, briganti, pazzi e prostitute, di quel travagliato periodo dell’Italia da poco unificata.

Ma veniamo alle ricerche attuali, in particolare quella promossa dalle Università Tor Vergata di Roma e Magna Grecia di Catanzaro (2017), che sta cercando di ottenere attraverso la  moderna tecnica della risonanza magnetica nucleare (RMN) del cervello, applicabile ad ogni età e perfino nella vita fetale, una valutazione dello sviluppo e delle caratteristiche in soggetti normali e anormali. Quei ricercatori italiani hanno analizzato oltre 500 RMN di differenti cervelli, prendendovi in considerazione tre dati:
1- lo spessore della corteccia,
2- il numero delle duplicazioni, le circonvoluzioni che consentono di aumentare la sua superficie, definito da loro girificazione, e
3- l’area corticale risultante. La quale sarà quindi tanto più estesa quanto maggiori risulteranno le introflessioni. Analizzando le quali hanno osservato che esse variano secondo cinque tratti principali del comportamento umano e dell’emotività in particolare:
1- il nevroticismo o instabilità emotiva;
2- l’estroversione, indicativa di energia ed entusiasmo;
3- l’apertura all’esperienza, ossia quanto una persona è portata al nuovo;
4- l’amichevolezza o empatia, le doti della socievolezza; e infine
5- la coscienziosità, legata alla capacità di autocontrollo e di responsabilità.

 

Nell’evoluzione della specie, dice il dottor Toschi del Tor Vergata, si è verificata proprio una concordanza con quanto da loro osservato, ossia un aumento progressivo della girificazione e quindi dell’area cerebrale, visibili ora con quegli esami sia durante lo sviluppo fetale che negli anni della crescita.
Il risultato più interessante che emerge da quell’analisi, decisamente più obbiettiva delle libere intuizioni di Lombroso, è che la prevalenza di nevroticismo, dell’incapacità di gestire le proprie emozioni, o della comparsa di veri e propri disturbi psichici hanno una certa correlazione con un minore dispiegamento della corteccia cerebrale; mentre i migliori livelli di coscienziosità, di amichevolezza, di empatia e di apertura all’esperienza sono direttamente proporzionali con una maggiore girificazione e superficie corticale. Insomma la nuova ricerca, anziché sconfessare e cancellare le tanto criticate e “stravaganti” osservazioni di Lombroso, sembra riavvicinarle a una nuova fisionomistica.

La stessa che nella quotidiana banalità ci guida nel valutare chi ci sta davanti, paziente o qualsiasi altra persona. Quel primo acchitto che fa dire al veneto, di uno stupidotto: “ciò, ma el ga anca la facia da mona”, o al siciliano “uomini, mezzi uomini, ominicchi, piglian…o  e quaquaraqua”. Quel modo colorito di delineare qualcuno dal solo aspetto, come quando Cossiga si domandava: “non ho ancora sentito stamane cosa ha detto l’onorevole Buttiglione”, che faceva subito immaginare la faccia beata e ingenua del noto parlamentare. E che ci fanno pensare, oramai lontani dalle tante cattiverie e polemiche contro le sue teorie, perché Marco Ezechia Lombroso, detto Cesare, che aveva il cranio del Vilella quale fermacarte sul suo scrittoio, avesse molto insistito sulle sue convinzioni, e anche sofferto fino a farsi accelerare l’infarto che lo spense, per dare una forma al contenuto dei nostri pensieri, delle malattie mentali e anche delle nostre stravaganze.

Eligio Piccolo
Cardiologo