SUPPORTO MECCANICO AL CIRCOLO NELLO SHOCK CARDIOGENO. Evidenze nello shock cardiogeno non ischemico.
di Alessandro Battagliese
02 Maggio 2023

Lo shock cardiogeno (CS) può complicare l’infarto miocardico o essere la manifestazione di uno scompenso de novo o di una instabilizzazione di uno scompenso cardiaco (SC) cronico, prevalentemente nelle fasi avanzate di malattia (CS non ischemico).

Nonostante questo sia caratterizzato da una elevata mortalità intraospedaliera, mancano robuste evidenze scientifiche di trattamento, come per le indicazioni al supporto meccanico al circolo (MCS), che derivano prevalentemente da consensus di esperti in assenza di trial clinici randomizzati.

Nell’ultimo numero dell’European Journal of Heart Failure vengono pubblicati i dati di uno studio multicentrico retrospettivo condotto da Scharge e coll che ha valutato l’utilizzo del MCS in pazienti con CS non ischemico trattati consecutivamente dal 2016 al 2021.

Sono stati arruolati un totale di 890 pazienti con CS non ischemico di cui il 43% è stato trattato con MCS e il 57% con sola terapia medica con amine. Lo shock è stato fenotipizzato secondo la classificazione SCAI.

È stata effettuata una prima analisi nelle due popolazioni originali (coorte A) ed una seconda analisi dopo confronto con propensity score (coorte B).

Il tipo di supporto meccanico utilizzato è stato l’ECMO (30%) e l’impella (49%) utilizzati singolarmente o contemporaneamente (21%).

Nessun paziente è stato trattato con contropulsatore aortico.

Obiettivo primario dello studio è stata la mortalità a 30 giorni. Obiettivo di sicurezza i sanguinamenti maggiori (secondo classificazione GUSTO), le complicanze ischemiche cerebrali o periferiche o altre complicazioni tra cui la sepsi o problemi nel sito di accesso.

Il tipo di trattamento e le tempistiche sono state a discrezione dei medici ricercatori individuando come tempo zero all’arruolamento il momento in cui è stata impiantata l’assistenza meccanica al circolo o in cui il paziente è stato ricoverato in ospedale o trasferito in terapia intensiva nei casi trattati con sola terapia medica.

Nella coorte originale (coorte A) l’età media della popolazione era di 63aa, il 29% di sesso femminile; la frazione di eiezione (FE) media del ventricolo sinistro era del 22%.

I pazienti trattati con MSC erano più giovani (età media 57aa), presentavano una condizione di shock cardiogeno più avanzata (SCAI D/E) e avevano una FE media del ventricolo sinistro più bassa (21%).

La maggior parte sono stati trattati con impella CP; nessuno è stato supportato con contropulsatore aortico.

Dopo “propensity score matching” è stata analizzata una popolazione di 534 pazienti il 50% trattata con MCS e il 50% con terapia medica conservativa; le due sottopopolazioni erano sovrapponibili per età, FE del ventricolo sinistro, comorbilità, grado di compromissione (sec classificazione SCAI), valori di lattati al basale e creatinina.

Nel sottogruppo trattato con MCS il 49% dei pazienti ha impiantato un supporto impella (prevalentemente il CP), il 30% un supporto ECMO e il 21% entrambi.

Nella coorte A la mortalità a 30 giorni è stata del 49% nei pazienti trattati con MCS e 54% in quelli trattati con terapia medica (HR 0.84, 95% CI 0.69–1.02, p = 0.07); nella coorte B la mortalità a 30 giorni è stata rispettivamente del 48 e del 55% (HR 0.76, 95% CI 0.59–0.97, p = 0.03).

Il trattamento con assistenza meccanica nei pazienti con CS non ischemico ha determinato una riduzione della mortalità variabile nelle due coorti dal 16% (coorte A) al 24% (corte B).

Dall’analisi per sottogruppi il vantaggio della MCS in termini di mortalità era indipendente da età, sesso e frazione di eiezione del ventricolo sinistro. La p di interazione è risultata significativa solo per le diverse classi SCAI dello CS; il trattamento con supporto meccanico al circolo è risultato efficace nel ridurre la mortalità a 30 gg solo nei pazienti in classe SCAI D non in quelli in classe C (meno compromessi) o in classe E (troppo compromessi).

Il trattamento di “unload” del ventricolo (con impella o con ECMO + impella) è risultato più vantaggioso rispetto al trattamento con solo ECMO o terapia medica ( HR 0.79, 95% CI 0.61–1.03, p = 0.08).

Relativamente agli endpoint di sicurezza i pazienti trattati con MCS hanno sviluppato con maggior frequenza complicanze emorragiche severe (16.5% vs. 6.4%, p < 0.01), emolisi (15.1% vs. 1.1%, p < 0.01), complicanze settiche (27.7% vs. 16.9%, p < 0.01), ischemiche a livello dei siti di accesso (6.7% vs. 0%, p < 0.01) e necessità di terapia sostitutiva renale (49.4% vs. 31.1%, p < 0.01).

L’analisi per sottogruppi ha individuato due categorie a maggior rischio di complicanze emorragiche severe: i soggetti più giovani (età uguale o inferiore a 65 aa) e quelli trattati con alti dosaggi di catecolamine.

In questo studio retrospettivo, multicentrico, internazionale condotto su pazienti con CS non ischemico, confrontati con propensity score, il MCS ha determinato una riduzione del rischio relativo del 24 % di mortalità a 30 giorni. Questo risultato è stato coerente nella maggior parte dei sottogruppi, suggerendo tuttavia, una maggior efficacia del trattamento soprattutto nei pazienti con CS in fase di peggioramento (classe SCAI D) ma non nelle forme iniziali (SCAI B/C) o estreme (SCAI E); il prezzo da pagare è stato un aumento di complicanze, in particolare emorragiche e ischemiche correlate al sito di accesso.

Questo studio nonostante le molteplici limitazioni è meritevole di interesse perché ha documentato per la prima volta l’efficacia di un trattamento nello shock cardiogeno non ischemico.

Ha il vantaggio di aver cercato di fenotipizzare lo shock e il tipo di popolazione analizzandone la risposta al trattamento; i pazienti con shock cardiogeno non ischemico che sembrerebbero avvantaggiarsi maggiormente dal MCS sembrerebbero essere quelli con quadri di compromissione avanzata ma non estrema (classe SCAI D) mentre il concomitante utilizzo di amine ad alto dosaggio sembrerebbe aumentare sensibilmente le emorragie maggiori.

L’utilizzo di amine è stato più volte correlato ad un aumento della mortalità per cui se ne raccomanda una durata di trattamento il più breve possibile al dosaggio minimo efficace.

L’assistenza meccanica al circolo semberebbe una strategia di trattamento efficace anche come ponte a sistemi di assistenza meccanica più avanzati.

L’aumento di complicanze correlato, prevalentemente emorragiche, sembrerebbe suggerirne un utilizzo prevalente in particolari fenotipi dello shock.

Principale limitazione dello studio è l’assenza di randomizzazione, quindi non è possibile attribuire una relazione causale tra intervento e risultati. Altra limitazione è l’assenza di dati relativi ai tempi di comparsa delle complicanze rispetto all’impianto del supporto meccanico (prima o dopo).

Anche i dati di efficacia della terapia di “unload” del ventricolo sinistro sono di difficile interpretazione per l’estrema eterogenicità della popolazione; il confronto è stato fatto con un sottogruppo misto di pazienti in assistenza meccanica con solo ECMO o in trattamento esclusivo con amine.  Numerosi sono stati i bias di selezione e la classificazione/identificazione dello shock è stata ad esclusiva discrezione dei medici.

Nonostante le limitazioni, il presente studio ha il merito di generare diverse ipotesi di lavoro per successivi trial randomizzati prospettici, alcuni dei quali già in corso; in particolare vi è la necessità di definire il miglior trattamento con il miglior rapporto costo/efficacia per i diversi fenotipi di shock cardiogeno. 

Bibliografia:

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  3. Morici N, Marini C, Sacco A, Tavazzi G, Cipriani M, Oliva F, et al.; Altshock-2 Group. Early intra-aortic balloon pump in acute decompensated heart failure complicated by cardiogenic shock: rationale and design of the randomized Altshock-2 trial. Am Heart J. 2021;233:39–47.
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