Ablazione della fibrillazione atriale nello scompenso a funzione sistolica ridotta e preservata fra dubbi e certezze.
di Filippo Brandimarte
09 Luglio 2024

La fibrillazione atriale e lo scompenso cardiaco sono un binomio purtroppo abbastanza frequente e, insieme, comportano un aumento dei ricoveri per instabilizzazione di scompenso cardiaco e della mortalità cardiovascolare tra il 30 e il 40%. La prevalenza della fibrillazione atriale è però più alta nella forma a funzione sistolica preservata (circa il 50%) rispetto a quella nella forma a funzione sistolica ridotta (circa il 25-30%) probabilmente a causa della diversa eziologia dei due fenotipi. (1) Gli studi randomizzati al momento disponibili suggeriscono che l’ablazione transcatetere potrebbe essere superiore alla terapia antiaritmica nel migliorare gli outcomes, tuttavia la popolazione di pazienti maggiormente rappresentata in questo contesto è quella con fenotipo a funzione sistolica ridotta. (2,3) Pertanto non è chiaro se questa tecnica possa apportare benefici anche nel fenotipo a funzione sistolica preservata, sottogruppo di pazienti per i quali oggi sono disponibili pochi trattamenti di comprovata efficacia nonostante una prevalenza in apparente crescita.

A questo proposito è apparsa qualche giorno fa sulla prestigiosa rivista JAMA Cardiology una metanalisi sull’argomento che ha analizzato 12 trial randomizzati e 4 studi con outcome a lungo termine per un totale di 2465 pazienti con un follow-up medio di circa 3 anni. (4) I criteri di inclusione sono stati studi randomizzati che hanno confrontato l’ablazione transcatetere con la terapia antiaritmica o controllo della frequenza (terapia convenzionale) in pazienti con scompenso cardiaco e classe funzionale NYHA≥2 e storia di fibrillazione atriale parossistica o persistente. La tecnica di ablazione doveva comprendere l’isolamento delle vene polmonari con o senza isolamento della parete atriale posteriore sinistra, l’istmo cavotricuspidale e lesioni lineari mitraliche accessorie. L’endpoint primario è stato “eventi scompenso” definiti come ricoveri per scompenso, instabilizzazione di scompenso cardiaco o visite cardiologiche non programmate per intensificazione della terapia. Endpoint secondari includevano morte cardiovascolare e mortalità cardiovascolare ed alcuni parametri accessori come la frazione di eiezione, il test dei 6 minuti e il test sulla qualità di vita.

I pazienti avevano un’età media di 65 anni, con una percentuale di soggetti di sesso femminile del 26% e appartenenti al fenotipo a funzione sistolica ridotta (n=1552) e preservata (n=913). Circa il 62% dei pazienti aveva una Classe NYHA 2, mentre il 36% una classe 3 e circa il 2% una classe 4. Il fenotipo a funzione sistolica preservata è stato definito in maniera non uniforme come una frazione di eiezione superiore a 40%, oppure una frazione di eiezione >45% unita a sintomi di scompenso e un BNP elevato, oppure ancora una frazione di eiezione > 50%, con sintomi di scompenso, elevati valori di BNP e segni ecocardiografici di disfunzione diastolica e elevate pressioni di riempimento al cateterismo cardiaco destro. Il 20% dei soggetti aveva una fibrillazione atriale parossistica mentre il restante 80% aveva una fibrillazione atriale persistente o di lungo corso.

Il primo dato importante che emerge è che l’ablazione è associata ad una significativa riduzione degli eventi scompenso rispetto alla terapia convenzionale nel fenotipo a funzione sistolica depressa (19% vs 32%, RR 0,59; 95% CI, 048-0.72) ma non nel fenotipo a funzione sistolica preservata (10% vs 11% , RR 0,93; 95% CI, 0.65-1.32, p di interazione 0.03). Allo stesso modo l’ablazione ha comportato una tendenza verso una riduzione del rischio di morte cardiovascolare rispetto alla terapia convenzionale nel fenotipo a funzione sistolica ridotta (7.0% 15.1%, RR 0.49; 95% CI, 0.34-0.70) ma non in quello a funzione sistolica preservata (3.2% vs 3.5%, RR 0.91; 95% CI, 0.46-1.79). L’ablazione ha inoltre ridotto, sebbene in maniera non statisticamente significativa, il rischio mortalità per tutte le cause rispetto al trattamento convenzionale nel gruppo con fenotipo a funzione sistolica ridotta (12.2% vs 20.3%, RR 0.63; 95% CI, 0.47-0.86) ma non in quello a fenotipo con funzione sistolica preservata (7.3% vs 8.9%, RR 0.95; 95% CI, 0.39-2.30).

Riguardo agli endpoint secondari minori l’ablazione ha prodotto un miglioramento della funzione sistolica del 6.5% nei soggetti con fenotipo a funzione sistolica ridotta mentre di 2.5% in quello con funzione sistolica preservata, un incremento al test del sei minuti di 20 m nel fenotipo a funzione sistolica ridotta e 35m in quello a funzione sistolica preservata e da ultimo il test sulla qualità di vita sarebbe migliorato di 8 punti nel fenotipo a funzione sistolica ridotta e di 18 punti in quello a funzione sistolica preservata.

Questo è senza dubbio il primo sforzo scientifico per cercare di comprendere l’impatto dell’ablazione transcatetere nei due fenotipi maggiori di scompenso cardiaco. Una importante premessa è che nei vari studi la definizione di scompenso cardiaco a funzione sistolica preservata non è uniforme, pertanto l’eterogeneità di questa popolazione è resa ancora più ampia. Detto questo, il messaggio più convincente è il mancato effetto in termini di riduzione di ricoveri per scompenso, instabilizzazione di scompenso cardiaco o visite cardiologiche non programmate di questa tecnica nel fenotipo a funzione sistolica preservata rispetto alla terapia convenzionale. Questo probabilmente è dovuto al fatto che ancora oggi conosciamo poco la popolazione di pazienti con scompenso cardiaco a funzione sistolica conservata anche se è oramai abbastanza chiaro che si tratti di una sindrome molto diversa da quella con fenotipo a funzione sistolica ridotta con comorbidità e modalità di morte differenti sebbene con prognosi a lungo termine simili. I dati sulla mortalità purtroppo non sono ancora chiari in quanto questa metanalisi, come suggerito dagli stessi autori, non aveva la potenza adeguata per notare differenze nei due fenotipi di scompenso: lo studio CABANA non è stato espressamente disegnato per includere pazienti con scompenso cardiaco (ha utilizzato solo la classe NYHA per effettuare lo screening che appare poco adeguato visto l’overlapping significativo di sintomi tra fibrillazione e scompenso), il RAFT-AF sebbene abbia utilizzato criteri più adeguati per la selezione dei pazienti con scompenso è stato terminato in anticipo per futilità e comunque non ha dimostrato benefici sugli outcome cardiovascolari maggiori, da ultimo lo studio RCT-STALL, che ha usato i criteri più stringenti per l’arruolamento dei pazienti con scompenso, ha selezionato pazienti con stadi molto precoci di malattia e pertanto i risultati sono difficilmente applicabili ai pazienti con sintomi più severi e più comorbidità che si incontrano nella pratica clinica. (5-7)

E’ possibile concludere pertanto che i benefici dell’ablazione della fibrillazione atriale nello scompenso a funzione sistolica ridotta sono abbastanza consolidati probabilmente perché il mantenimento del ritmo sinusale e quindi del contributo della contrattilità atriale consente di migliorare in maniera più evidente la funzione ventricolare sinistra che per definizione è compromessa. Nello scompenso con funzione sistolica preservata invece il meccanismo che determina l’instabilizzazione è differente ed evidentemente il contributo atriale meno importante. Riguardo gli outcome a lungo termine per il momento dobbiamo sospendere il giudizio e attendere nuovi studi. La buona notizia è che sono attualmente ongoing due trial che probabilmente aiuteranno a chiarire questi aspetti ovvero il CABA-HFPEF (NCT05508256) e il STABLE-SR IV (NCT06125925).

Bibliografia:

  1. Wang TJ, Larson MG, Levy D, et al. Temporal relations of atrial fibrillation and congestive heart failure and their joint influence on mortality: the Framingham Heart Study. Circulation. 2003;107(23):2920-2925.
  2. Marrouche NF, Brachmann J, Andresen D, et al; CASTLE-AF Investigators. Catheter ablation for atrial fibrillation with heart failure. N Engl J Med. 2018;378(5):417-427.
  3. Prabhu S, Taylor AJ, Costello BT, et al. Catheter ablation versus medical rate control in atrial fibrillation and systolic dysfunction: the CAMERA-MRI study.J Am Coll Cardiol. 2017;70(16):1949-1961.
  4. Oraii A, McIntyre WF, Parkash R et al; Atrial fibrillation in heart failure with reduced vs preserved ejection fraction. A sistematic review and Meta-Analysis. JAMA Cardiol 2024;9(6):545-555.
  5. Packer DL, Piccini JP, Monahan KH, et al; CABANA Investigators. Ablation versus drug therapy for atrial fibrillation in heart failure: results from the CABANA trial. Circulation 2021;143(14):1377-1390.
  6. Parkash R, Wells GA, Rouleau J, et al. Randomized ablation-based rhythm-control versus rate-control trial in patients with heart failure and atrial fibrillation: results from the RAFT-AF trial. Circulation. 2022;145(23):1693-1704.
  7. Chieng D, Sugumar H, Segan L, et al. Atrial fibrillation ablation for heart failure with preserved ejection fraction: a randomized controlled trial.JACC Heart Fail. 2023;11(6): 646-658.