Lo Swang-Ganz in UTIC: il ritorno del cavaliere oscuro ?
di Vittoria Rizzello
11 Luglio 2023

L’utilità del catetere arterioso polmonare, noto anche come catetere di Swan-Ganz (S-G), per il monitoraggio emodinamico dei pazienti critici ricoverati in UTIC, è un argomento molto controverso.

Alcuni trial condotti più di 20 anni fa ne hanno messo in discussione l’efficacia, evidenziandone per contro un possibile effetto dannoso. In particolare, lo studio ESCAPE (1), che ha arruolato solo  pazienti con scompenso cardiaco (SC), senza segni di shock cardiogeno, ha dimostrato che l’uso dello S-G non riduceva la mortalità. Sulla base di queste evidenze, nella pratica clinica quotidiana l’utilizzo dello S-G nelle UTIC è andato progressivamente calando, anche nei pazienti con shock cardiogeno (2). Inoltre, anche le recenti linee-guida americane hanno attribuito una classe III all’utilizzo routinario del catetere di S-G nei pazienti con acute HF (3).

Tuttavia, in tempi più recenti diversi esperti sostengono che nei pazienti con impending o shock cardiogeno conclamato, il monitoraggio invasivo con catetere di S-G possa fornire una valida guida nelle scelte terapeutiche. In particolare, in uno statement della SCAI (Society of Cardiovascular Angiography and Interventions) viene sottolineata la necessità di identificare attraverso il monitoraggio invasivo il corretto fenotipo dello shock,  al fine di ottimizzarne il trattamento (4). Inoltre, le ultime linee-guida ESC sulla gestione dello SC  hanno suggerito che l’implementazione di un approccio standardizzato allo shock, comprensivo di monitoraggio invasivo emodinamico, possa tradursi in un beneficio clinico (5).

Un’importante evidenza a supporto dell’utilizzo del monitoraggio invasivo nei pazienti critici è fornita dallo studio di  Kadosh BS et al, recentemente pubblicato, online ahead of print, su JACC: Heart Failure (6).

Gli autori hanno descritto, utilizzando i dati del Registro Critical Care Cardiology Trials Network, l’utilizzo dello S-G nelle UTIC di Stati Uniti e Canada, inoltre, hanno identificato le variabili  che ne condizionano l’utilizzo e, infine, ne hanno valutato l’impatto prognostico.

Tra settembre 2017 e settembre 2022, 34 centri (68% dei quali erano centri trapianto) hanno incluso  nel registro tutti i pazienti ricoverati in UTIC con qualsiasi diagnosi medica, durante degli slot temporali di 2 mesi all’anno. La decisione di utilizzare lo S-G era a discrezione del medico che gestiva il paziente.

Nei 5 anni di osservazione sono stati riportati 13.618 ricoveri, di cui 3.927 per shock e in particolare 2.583 con shock cardiogeno. Lo S-G è stato utilizzato nel 20% della popolazione totale, nel 46% dei pazienti con shock e nel 56% dei pazienti con shock cardiogeno. Un supporto meccanico al circolo è stato utilizzato nel 28% dei casi di shock e nel 32% dei casi di shock cardiogeno. I pazienti in cui veniva posizionato lo S-G erano più giovani,  avevano una maggiore prevalenza di SC pregresso, di frazione di eiezione <20%, di valvulopatia grave, di ipertensione polmonare e cardiopatie congenite; inoltre presentavano valori più alti di creatinina, lattati  e transaminasi. La diagnosi di ingresso con la più alta percentuale di utilizzo dello S-G era quella di SC con o senza shock (48,5%).

All’analisi multivariata, i fattori che erano associati ad una maggiore probabilità di utilizzo dello S-G erano: un’anamnesi positiva per SC, l’ipertensione polmonare, la presenza di shock o ipoperfusione, un più alto dosaggio di inotropi o vasopressori e l’utilizzo di un supporto meccanico al circolo. Per contro, l’età avanzata e livelli di lattati elevati si associavano a un minor utilizzo dello S-G.

La proporzione di posizionamento dello S-G era estremamente variabile tra i diversi centri partecipanti allo studio , sia nella popolazione generale (da 1.1% a 34.9%) che nei pazienti con shock per qualsiasi causa (da 8.3% a 73.2%) o shock cardiogeno (da 8.3% a 77.4%).  E’ stata evidenziata una correlazione positiva, statisticamente significativa, tra il volume dei ricoveri per shock e l’utilizzo dello S-G. Indipendentemente dalla percentuali di utilizzo del catetere nei singoli centri, la maggior parte dei cateteri di S-G veniva posizionato in pazienti in stadio D (Deteriorating) e E (Extremis) della classificazione SCAI.

All’analisi dell’outcome è emerso che nei pazienti con shock, la mortalità intra-ospedaliera è stata del  28.4% nei pazienti in cui era utilizzato lo S-G e del 35% nei pazienti senza S-G (OR 0.73, 95% IC 0.63-0.85, p<0.0001). L’utilizzo dello S-G era associato a una minore mortalità intra-ospedaliera anche dopo correzione per le variabili  associate all’utilizzo del catetere (OR 0.79,95% IC 0.66-0.96, p=0.016). Nei pazienti con shock cardiogeno, il beneficio era indipendente dal fatto che lo stato di shock fosse determinato da infarto miocardico acuto o da SC.

Considerazioni.

Lo studio di Kadosh e coll. dimostra come nonostante l’assenza di dati robusti che ne supportino l’utilizzo, nella pratica clinica  lo S-G è ancora utilizzato nelle UTIC in una considerevole percentuale di pazienti. In particolare, l’utilizzo appare più consistente nei pazienti più gravi.

In effetti, in questi pazienti  la valutazione emodinamica non invasiva è spesso difficile e inadeguata e pertanto il supporto fornito dalla misurazione oggettiva delle pressioni nelle sezioni dx,  in arteria polmonare e della pressione di incuneamento, nonché dal calcolo della portata cardiaca, ottenuti con il catetere, può essere molto utile per una corretta identificazione del fenotipo di shock e per guidare le scelte terapeutiche. Inoltre, proprio in questi pazienti, di per sé a rischio cardiovascolare e globale  più alto, può essere giustificato il rischio di complicanze  correlate all’utilizzo del catetere, mentre l’utilizzo routinario nei pazienti ricoverati in UTIC è sicuramente da scoraggiare.

In accordo con i dati di Kadosh e coll. l’utilizzo dello S-G si associa ad una ridotta mortalità intra-ospedaliera. Questo dato è in controtendenza con quanto osservato in studi più datati  e può essere in parte spiegato dal maggiore utilizzo del catetere proprio nei pazienti con quadri di shock e shock cardiogeno in particolare.

Un’altra informazione importante che emerge da questo studio è che la principale diagnosi di ricovero nei pazienti in cui si utilizzava lo S-G era di SC. Questo dato riflette il cambiamento epidemiologico  dei ricoveri in UTIC, in cui vengono ricoverati sempre più frequentemente pazienti con SC e meno pazienti con infarto miocardico. Tale cambiamento è conseguente al miglioramento del trattamento dell’infarto miocardico acuto che consente un rapido recupero della funzione di pompa cardiaca e dell’emodinamica dei pazienti che possono quindi essere gestiti in maniera non invasiva.

Ovviamente lo studio di Kadosh e coll, è limitato dal fatto di essere uno studio osservazionale i cui risultati possono dipendere da molteplici variabili confondenti. Tuttavia, i dati sono interessanti e fisiopatologicamente giustificati e pertanto rappresentano un input a realizzare dei trial clinici randomizzati nel setting clinico dello shock per valutare in maniera rigorosa le potenzialità del catetere di S-G in epoca moderna.

REFERENCES:

  1. Binanay C, Califf RM, Hasselblad V, et al; ESCAPE Investigators and ESCAPE Study Coordinators. Evaluation study of congestive heart failure and pulmonary artery catheterization effectiveness: the ESCAPE trial. JAMA. 2005;294:1625-33. 
  2. Hernandez GA, Lemor A, Blumer V, et al. Trends in Utilization and Outcomes of Pulmonary Artery Catheterization in Heart Failure With and Without Cardiogenic Shock. J Card Fail. 2019;25:364-371. 
  3. Heidenreich PA, Bozkurt B, Aguilar D, et al. 2022 AHA/ACC/HFSA Guideline for the Management of Heart Failure: A Report of the American College of Cardiology/American Heart Association Joint Committee on Clinical Practice Guidelines. Circulation. 2022 3;145:e895-e1032.
  4. Naidu SS, Baran DA, Jentzer JC, et al . SCAI SHOCK Stage Classification Expert Consensus Update: A Review and Incorporation of Validation Studies: This statement was endorsed by the American College of Cardiology (ACC), American College of Emergency Physicians (ACEP), American Heart Association (AHA), European Society of Cardiology (ESC) Association for Acute Cardiovascular Care (ACVC), International Society for Heart and Lung Transplantation (ISHLT), Society of Critical Care Medicine (SCCM), and Society of Thoracic Surgeons (STS) in December 2021. J Am Coll Cardiol. 2022;79:933-946.
  5. McDonagh TA, Metra M, Adamo M, et al ; ESC Scientific Document Group. 2021 ESC Guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure. Eur Heart J. 2021;42:3599-3726.
  6. Kadosh BS, Berg DD, Bohula EA, Park JG, Baird-Zars VM, Alviar C, Alzate J, Barnett CF, Barsness GW, Burke J, Chaudhry SP, Daniels LB, DeFilippis A, Delicce A, Fordyce CB, Ghafghazi S, Gidwani U, Goldfarb M, Katz JN, Keeley EC, Kenigsberg B, Kontos MC, Lawler PR, Leibner E, Menon V, Metkus TS, Miller PE, O’Brien CG, Papolos AI, Prasad R, Shah KS, Sinha SS, Snell RJ, So D, Solomon MA, Ternus BW, Teuteberg JJ, Toole J, van Diepen S, Morrow DA, Roswell RO. Pulmonary Artery Catheter Use and Mortality in the Cardiac Intensive Care Unit. JACC Heart Fail. 2023 Jun 1:S2213-1779.