La riduzione estrema del colesterolo LDL: vantaggio o pericolo?
di Filippo Brandimarte intervista Claudio Borghi
03 Marzo 2024

Brandimarte: Dott. Borghi grazie per averci concesso un po’ del suo tempo per affrontare un argomento quanto mai attuale ovvero l’importanza del profilo lipidico nella prevenzione primaria e secondaria degli eventi cardiovascolari. Può innanzitutto ricordarci qualcosa sul metabolismo del colesterolo?

Borghi: Il colesterolo rappresenta un componente essenziale delle membrane cellulari, nonché precursore di ormoni steroidei prodotti dalle ghiandole surrenali e dalle gonadi. In particolare, le particelle di LDL, formate all’80% da lipidi, sono le principali responsabili del trasporto di colesterolo nel sangue e nei fluidi extracellulari. Ogni cellula è in grado di regolare in autonomia sia la sintesi de novo di colesterolo a partire dall’acetato, sia l’uptake extracellulare tramite l’interazione LDL- recettore LDL. Quest’ultimo meccanismo rappresenta una via efficace per soddisfare rapidamente i requisiti metabolici della cellula e il principale responsabile della clearance plasmatica di colesterolo. È interessante notare come metà dei recettori dell’LDL vengano saturati dal proprio ligando già a una concentrazione di circa 2.5 mg/dL e che la maggior parte delle cellule siano circondate da liquido interstiziale nel quale la concentrazione di LDL è pari al 20% dei livelli plasmatici. Ne deriva che una concentrazione plasmatica di colesterolo LDL di 12.5 mg/dL sarebbe, teoricamente, già sufficiente a garantire un uptake adeguato di colesterolo ai tessuti periferici. Nei pazienti con mutazioni “loss of function” del gene PCSK9 e con varianti geniche determinanti un’aumentata attività del recettore per le LDL si possono osservare livelli di colesterolo LDL particolarmente ridotti (< 15 mg/dL) senza alcuna evidenza di patologia. Di contro, l’esposizione ad elevati livelli plasmatici di colesterolo LDL nel tempo, come nel caso delle ipercolesterolemie familiari omozigoti, espone i soggetti ad un elevato burden di patologia cardiovascolare e più precocemente della popolazione generale. Ne deriva che l’introduzione precoce di una terapia ipolipemizzante che vada ad accelerare il meccanismo catabolico di clearance mediato dall’interazione LDL-recettore LDL senza interferire con la formazione delle lipoproteine, come nel caso delle statine e dei PCSK9i, non solo sia sicura da un punto di vista meccanicistico e teorico anche raggiungendo valori estremamente bassi di colesterolo LDL, ma risulterà anche efficace nel ridurre l’esposizione cumulativa nel tempo e di conseguenza il rischio cardiovascolare.

Brandimarte: Quali sono le più importanti evidenze scientifiche sull’implementazione delle statine e dell’ezetimibe nella prevenzione del rischio cardiovascolare?

Borghi: Che la riduzione dei livelli di colesterolo LDL determini una parallela diminuzione degli eventi cardiovascolari sia in prevenzione prima che secondaria è ormai assodato.  Come evidenziato dal Cholesterol Treatment Trialist Collaboration, ad ogni riduzione di 39mg/dL di colesterolo LDL corrisponde un calo del 22% degli eventi cardiovascolari. Nel corso delle ultime due decadi, diversi studi clinici hanno ulteriormente dimostrato come una diminuzione sempre maggiore dei livelli di colesterolo LDL sia associata a una progressiva riduzione del rischio cardiovascolare: nello studio PROVE IT-TIMI 22 il trattamento con atorvastatina 80 mg (che ha permesso di ottenere livelli di colesterolo LDL medi pari a 62 mg/dL) rispetto a pravastatina 40 mg (che ha consentito di raggiungere livelli medi di colesterolo LDL pari a 95 mg/dL) si è rivelato superiore nella riduzione dell’endpoint composito di morte, infarto miocardico, stroke e angina instabile in una popolazione con recente sindrome coronarica acuta. In particolare, la diminuzione del rischio cardiovascolare è stata maggiore nei gruppi di pazienti con livelli di colesterolo LDL ≤ 40 mg/dL. Nessun evento avverso legato a miopatia o elevazione degli enzimi epatici è risultato correlato ai livelli di colesterolo LDL raggiunti con la terapia. Successivamente, nello studio JUPITER una popolazione di 17802 pazienti apparentemente sani ma con valori di proteina C reattiva elevati e valori di colesterolo LDL < 130 mg/dL sono stati randomizzati a una terapia con rosuvastatina 20 mg o placebo. Dopo 1.9 anni, nei pazienti in terapia con rosuvastatina si è osservata una riduzione significativa dell’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori. Nel gruppo in terapia con rosuvastatina i livelli di colesterolo LDL erano, in media, pari a 54 mg/dL. Infine, nello studio IMPROVE-IT, è stata testata l’associazione tra simvastatina 40 mg ed ezetimibe 10 mg rispetto alla monoterapia con simvastatina 40 mg in una popolazione di pazienti con recente sindrome coronarica acuta: l’endpoint primario, un composito di morte cardiovascolare, infarto miocardico non fatale, ospedalizzazione per angina instabile e stroke non fatale, è risultato essere del 32.7% nel gruppo simvastatina-ezetimibe vs 34.7% nel gruppo con simvastatina in monoterapia. Da notare come, nel gruppo con la terapia di combinazione, i livelli di colesterolo LDL fossero in media di 54 mg/dL.

Brandimarte: Le ultime linee guida ESC sulle dislipidemie hanno ridotto molto i valori di colesterolo LDL considerati ottimali sia in prevenzione primaria che secondaria. In questo scenario come si inseriscono gli inibitori delle PCSK9?

Borghi: L’introduzione di anticorpi monoclonali in grado di inibire la funzionalità di PCSK9 ha consentito ai clinici di spingere ancora oltre la riduzione del colesterolo LDL: lo studio FOURIER ha dimostrato come, in pazienti con malattia cardiovascolare aterosclerotica, l’aggiunta di evolocumab a una statina ha permesso di ridurre, in media, i livelli di colesterolo LDL del 59%, riducendo il rischio di morte per malattie cardiovascolari, infarto miocardico, stroke e ospedalizzazione per angina instabile del 15% rispetto al placebo, in una media di 2.2 anni di follow-up. I pazienti in terapia con evolocumab, partendo da una media di colesterolo LDL pari a 92 mg/dL, hanno raggiunto un valore medio pari a 30 mg/dL, mentre il 10% dei pazienti in terapia con evolocumab (n=2669) ha raggiunto addirittura valori inferiori a 19 mg/dL, senza aumenti di eventi avversi. Nello studio GLAGOV l’utilizzo di evolocumab rispetto al placebo ha dimostrato di ridurre il volume degli ateromi valutato tramite ecografia intravascolare. La media dei valori di colesterolo LDL raggiunta nei pazienti in terapia con PCSK9i è stata di 36.6 mg/dL, con valori minimi raggiunti fino a 20 mg/dL. Ancora, in un’analisi post hoc è stato osservato come, nei pazienti trattati con evolocumab, vi sia una riduzione del rischio per eventi cardiovascolari maggiori che si mantiene costante al decrescere dei livelli di colesterolo LDL fino a concentrazioni inferiori a 8 mg/dL misurate alla quarta settimana di trattamento. È proprio in quest’ultimo sottogruppo che è stato riportato il minor rischio di eventi cardiovascolari in assenza di differenze significative sull’incidenza di eventi avversi, se paragonato ai gruppi di pazienti con valori di colesterolo LDL maggiori. In maniera analoga, dallo studio  ODYSSEY Outcomes è emerso come, in una popolazione di pazienti con recente sindrome coronarica acuta già in terapia massimale con una statina e livelli di colesterolo LDL ≥ 70 mg/dL, l’aggiunta di alirocumab rispetto al placebo abbia ridotto del 63% i livelli di colesterolo LDL e del 15% il rischio di endpoint composito primario di morte per malattie cardiovascolari, infarto miocardico non fatale, stroke non fatale o l’ospedalizzazione per angina instabile a un follow-up medio di 2.8 anni. Nei primi risultati dello studio ODYSSEY LONG TERM, nel quale alirocumab è stato somministrato in aggiunta a una statina al massimo dosaggio tollerato, sono stati osservati pazienti con livelli di colesterolo LDL nel tempo costantemente inferiori a 15 mg/dL, senza aumenti di manifestazioni avverse.

Brandimarte: Qualche dato sulla sicurezza di questi farmaci ipolipemizzanti?

Borghi: Essendo i soggetti affetti da mutazioni a carico di geni per PCSK9 e idrossimetil-glutaril-CoA reduttasi più a rischio di sviluppare diabete, terapie di combinazione per abbassare i livelli di colesterolo LDL con queste due classi di farmaci avevano, inizialmente, suscitato tale preoccupazione: nello studio FOURIER, l’aggiunta di evolocumab on-top della terapia statinica non ha aumentato l’incidenza di diabete mellito tipo 2 sia nei pazienti con normali profili glicemici sia nei pazienti con alterata glicemia a digiuno; non ha inoltre peggiorato il controllo glicemico nei pazienti già affetti da diabete. Negli studi ODISSEY LONG TERM e OSLER I e II, nei pazienti in terapia con PCSK9i era stato osservato inizialmente un aumento di incidenza di eventi neurocognitivi. L’uscita dello studio EBBINGHAUS ha permesso di fugare ogni dubbio, dimostrando come non vi fossero differenze neurocognitive significative a distanza di 19 mesi tra i pazienti in terapia con evolocumab e i pazienti nel gruppo placebo, nonostante una riduzione del 59% dei livelli di colesterolo LDL nel gruppo in terapia con evolocumab. Analogamente, in una review condotta su 14 studi utilizzanti alirocumab e nella quale sono stati analizzati pazienti con valori di colesterolo LDL inferiori a 25 mg/dL (n=839) e 15 mg/dL (n=314) è stato dimostrato come, nonostante i valori estremamente ridotti di colesterolo LDL ottenuti, non vi fosse una differenza significativa nel tasso di eventi neurocognitivi. Similmente, anche nello studio GLAGOV non sono state evidenziate differenze significative nell’incidenza di mialgie, diabete mellito o disordini neurocognitivi rispetto al placebo. Nello studio SPARCL, l’utilizzo di atorvastatina 80 mg, nonostante abbia ridotto l’incidenza di stroke ischemico nei pazienti con storia malattia cerebrovascolare, è risultato associato a un’incidenza aumentata di stroke emorragici; questo dato, da confermare con ulteriori studi, non pare comunque essere legato alla magnitudo della riduzione dei valori di Colesterolo LDL in sé. Infine, nello studio IMPROVE-IT, più di 5000 pazienti hanno raggiunto valori di colesterolo LDL < 50 mg/dL e circa 1000 pazienti < 30 mg/dL e nel corso dei 7 anni di follow-up, in nessuno dei due sottogruppi si è assistito a un aumento di incidenza di diabete, stroke emorragico e disordini neurocognitivi.

Brandimarte: Possiamo affermare quindi che la strategia “the lower the better” sia vincente e sicura anche in questo caso?

Borghi: Una quantità sempre crescente di evidenze scientifiche sta conducendo i clinici a iniziare terapie ipolipemizzanti in maniera sempre più precoce e con target terapeutici costantemente più ambiziosi; concentrazioni di colesterolo LDL a livelli estremamente bassi ottenibili tramite l’utilizzo di innovative molecole come i PCSK9i non solo hanno dimostrato di non avere effetti collaterali deleteri per la salute, ma anzi, i benefici in termine di protezione dagli eventi cardiovascolari per concentrazioni di colesterolo LDL ˂ 20 mg/dL risultano ancora più marcati e non dovrebbero spaventare i clinici né tantomeno i pazienti, sicuramente fino a concentrazioni non proprio pari allo zero ma quantomeno pari o superiori a 12.5 mg/dL.

Brandimarte: Grazie per questa attenta disamina che ci permette di tranquillizzare i nostri pazienti sulla sicurezza delle moderne terapie ipolipemizzanti che consentono di abbattere in maniera netta il rischio di eventi cardiovascolari.