TOUR DE FRANCE TROPPO SPORT FA MALE O FA BENE?
di Antonella Labellarte
08 Maggio 2014
Siamo in pieno Giro d’Italia: 3449.9 km, media 164.3 km, è iniziato a Belfast il 9 maggio e si concluderà a Trieste il 1 giugno, vi sono almeno 5 tappe di alta montagna con arrivo in salita. Ma noi oggi ci occupiamo di un’altra grande classica del ciclismo il Tour de France che ha festeggiato i cento anni nel 2013.  La corsa si è svolta tutti gli anni a partire dal 1903, tranne nel periodo della II Guerra Mondiale. Nel 1967 il leader della corsa Tom Simpson, quasi alla cima del Mont Ventoux, cadde dalla bicicletta per malore e la leggenda narra che prima di morire per arresto cardiaco chiese di essere rimesso in sella. Le analisi successive documentarono la presenza di anfetamine.
Ci occupiamo del Tour de France perché i cardiologi di prestigiosi centri universitari di ricerca cardiovascolare francesi, in collaborazione con studiosi dell’università di Sidney in Australia e di Beirut in Libano, hanno condotto uno studio su un particolare aspetto, sulla mortalità degli atleti francesi che hanno partecipato al Tour. Difatti, mentre il beneficio di un’attività fisica regolare è ampiamente dimostrato tanto che essa viene raccomandata per la prevenzione primaria e secondaria delle malattie cardiovascolari, non vi è accordo nella comunità scientifica sugli effetti di un’attività fisica strenua come quella del Tour de France o del nostro Giro. Potrebbe forse sembrare incredibile ma lo sforzo che compiono gli atleti che completano un Tour è stato paragonato a quello necessario a correre una maratona diverse volte a settimana per tre settimane consecutive, mentre il totale delle salite è ritenuto equivalente a scalare tre volte  l’Everest in 21 giorni.
Nello studio di Marijon è stata valutata la mortalità di 786 ciclisti francesi partecipanti al Tour tra il 1947 e il 2012 e paragonata a quella di maschi francesi pari età appartenenti alla popolazione generale. Ebbene lo studio ha documentato una riduzione del 41% della mortalità tra i ciclisti costante nei diversi periodi storici, quasi in tutte le categorie di età e in relazione a morte per cause cardiovascolari, respiratorie e neoplastiche. Un incremento non significativo della mortalità è stato osservato nei ciclisti di età inferiore ai 30 anni per cause cardiovascolari e traumatiche.
Gli autori concludono che l’attività fisica di resistenza è associata a ridotta mortalità, vantaggio che apparentemente supera gli effetti dannosi dell’esercizio di lunga durata o del doping. Il doping, come è noto, è associato ad effetti molto deleteri sulla salute, la maggior parte dei quali coinvolge il sistema cardiovascolare. Nello studio vengono identificati tre periodi associati all’uso di sostanze dopanti: anfetamine e cocaina negli anni 1950-60, androgeni e steroidi anabolizzanti negli anni 1970-80 e, a partire dal 1990, l’utilizzo di ormone della crescita e di eritropoietina. Il doping in questo studio potrebbe addirittura avere attenuato la differenza di mortalità osservata. Va detto però che l’effetto del doping non è stato direttamente valutato in questo studio, anche se, apparentemente i risultati ottenuti nell’ambito dei diversi periodi di tempo potrebbero sembrare rassicuranti. Certamente mancano le osservazioni di lungo periodo relative all’utilizzo dell’eritropoietina.
Lo studio ha il pregio di aver valutato per primo la mortalità nei ciclisti francesi di elite e averne analizzato le diverse cause. Va sottolineato che, a differenza di quanto accaduto per altri sport, non è stata rilevata una causa prevalente di morte come ad esempio quella da cause neurodegenerative, tre volte più alta nei giocatori di football americano rispetto alla popolazione generale, o quella legata alla comparsa di sclerosi laterale amiotrofica nei calciatori. Il lavoro è invece criticabile per aver usato come gruppo controllo individui appartenenti alla popolazione generale con possibili patologie croniche preesistenti e dei quali non sono stati valutati gli stili di vita. La capacità di competere in una gara così impegnativa potrebbe per sé aver selezionato un campione di individui genericamente più sani, geneticamente meno suscettibili alle malattie. Il lavoro lascia irrisolta la questione relativa alla quantità di esercizio ottimale e il rapporto rischio-beneficio degli sport di endurance. Per sorridere Mark Twain scriveva molti anni fa “Prendi una bicicletta. Se vivi, non te ne pentirai”.
Fonti:
Abbas Zaidi ,Sanjai Sharma. Reduced mortality in former Tour de France participants: the benefits from intensive exercise or a select genetic tour de force? Eur Heart J  2013; 34: 3106-3108
Marijon E, Tafflet M, Antero-Jacquemin J, et al. Mortality of French participants in the Tour de France (1947-2012). Eur Heart J  2013; 34: 3145-3150
Antonella Labellarte
Cardiologa
Ospedale S. Eugenio, Roma