Per milioni di anni i nostri antenati, così come tutti gli altri mammiferi, hanno assunto solo la piccolissima quantità di sale contenuta nei cibi naturali, meno di 0,5 grammi di sale al giorno (0.2 gr di sodio).

Poi, circa 5000 anni fa, i cinesi scoprirono che il sale poteva essere utilizzato per conservare gli alimenti. Il sale divenne così un bene prezioso fino a quando il processo di refrigerazione non ne prese il posto ed il consumo di sale, dopo un picco intorno alla fine dell’800, iniziò a scendere. Con la recente diffusione di prodotti alimentari industrializzati fortemente.. salati.. l’assunzione di sale è cresciuta di nuovo ed in molti paesi si aggira tra i 9 e i 12 grammi al giorno (un cucchiaino da tè raso è pari approssimativamente a 3 grammi di sale).

Dal punto di vista dell’evoluzione della specie questo aumentato introito di sale è da considerarsi relativamente recente e quindi rappresenta una grande sfida per il nostro organismo che si trova a doverne eliminare, attraverso il rene, grandi quantità. La conseguenza principale è un graduale aumento della pressione arteriosa e quindi un aumento del rischio di ictus, cardiopatia, insufficienza cardiaca e renale ad essa correlato. Va detto, però, che un elevato introito di sale, per sé, può avere effetti diretti sulla progressione della malattia renale e la comparsa di proteinuria (la perdita di proteine con le urine), sull’ipertrofia ventricolare sinistra (l’ispessimento delle pareti del cuore), sull’ ictus , indipendentemente dall’effetto della pressione. Vi sono , inoltre, evidenze che è associato ad un aumento del rischio di calcolosi del rene, osteoporosi ed ha probabilmente un ruolo nella comparsa di tumore dello stomaco.
Ma parliamo di sale e pressione arteriosa. L’ipertensione arteriosa è responsabile del 62% degli ictus e per il 49% della comparsa di malattia ischemica del cuore (angina, infarto). Ma è importante sottolineare che il rischio non è limitato agli ipertesi, ossia coloro i quali hanno una pressione sistolica (la “massima”) ≥ 140 mmHg e diastolica (la “minima”) ≥ 90 mmHg, ma copre tutta la popolazione a partire da valori pari a 115/75 mmHg. E’ stato dimostrato che un elevato introito di sale, uno scarso consumo di frutta e verdura (scarsa assunzione di potassio, quindi), l’obesità, la mancanza di esercizio fisico e un eccessivo consumo di alcool contribuiscono tutti al rialzo della pressione arteriosa.
Ma il sale sembra avere un ruolo più importante degli altri fattori.
L’evidenza giunge da studi condotti su animali, da studi sulla genetica, sulle popolazioni migranti e da trial di “intervento” ossia, si può dire semplicisticamente, basati sulla valutazione dei risultati ottenuti dopo la modifica di un determinato fattore.
Le evidenze sono tantissime. Se ci fosse bisogno di convincere qualcuno ne citiamo solo alcune.
Studi sugli scimpanzé (98.8% di omologia genetica con l’uomo) hanno dimostrato che un aumento del consumo di sale da 0,5 gr a 10 gr die (che è vicino ai nostri attuali livelli) ha causato un progressivo ed importante incremento della pressione.
Gli studi di genetica hanno identificato almeno una ventina di geni coinvolti nel meccanismo di controllo della quantità di sodio presente nell’organismo da parte del rene e correlati alla presenza di malattie rare caratterizzate da alti o bassi valori di pressione arteriosa.

Tribù che hanno un basso introito salino, ossia inferiore a 3 gr al giorno, hanno bassi valori pressori, ad esempio 96/61 mmHg per gli adulti indiani Yanomano e la pressione non aumenta con l’aumentare dell’età. Di contro tribù parimenti non sviluppate come i Quah’qai in Iran, che hanno avuto accesso al sale, hanno mostrato incrementi della pressione ed un aumento della stessa con l’avanzare dell’età, simile a quello presente nelle comunità occidentali, pur continuando a mantenere il proprio stile di vita di comunità isolata.
Studi su popolazioni migranti come i Luo in Kenya e gli Yi in Cina hanno documentato il rialzo dei valori pressori quando queste popolazioni che assumevano scarse quantità di sale sono approdate ad un ambiente urbano. E, al contrario, è stato dimostrato che ad una riduzione dell’introito salino si associa una riduzione dei valori pressori.
Citiamo uno studio condotto in due villaggi del Portogallo, identificati perché in entrambi vi era un alto consumo di sale ~ 21 grammi ed un’alta prevalenza di ipertesi e di ictus nella popolazione. Ebbene in uno dei due villaggi è stata condotta una campagna educativa per due anni e identificati gli alimenti che contribuivano maggiormente ad aumentare l’assunzione di sale. Il risultato è stata una differenza pari a circa il 50% nel consumo di sale nei due villaggi che si è associata ad una differenza di 13/6 mmHg nei valori di pressione arteriosa.
La mole di dati è davvero convincente.
Concludiamo dicendo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda che l’assunzione di sale per un adulto sia inferiore a 5 grammi al giorno.
Dell’insufficienza cardiaca parleremo un’altra volta, per ora è già abbastanza.
Fonte:
Feng J. He et al. Nutrition in cardiovascular disease: salt in hypertension and heart failure. Eur Heart J (2011) 32. 3073-80
Antonella Labellarte
Cardiologa
Ospedale S. Eugenio, Roma