PAUL DUDLEY WHITE. UN CLINICO CHE VIDE LONTANO
di Eligio Piccolo
09 Aprile 2020

Lo conobbi alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso a un Congresso Internazionale di Cardiologia in Buenos Aires. Il conobbi è un po’ pretenzioso poiché il mio inglese non avrebbe consentito una facile conversazione con il grande clinico di Boston, che parlava solo la sua lingua. Fu piuttosto un occasionale incontro fotografico organizzato da un delegato della Recordati, Casa sempre attenta a noi giovani medici in giro per il mondo. Alto e magro, come certi intellettuali che mangiano solo l’indispensabile e non conoscono gli istinti di Ciacco all’Inferno “per la dannosa colpa de la gola”, Paul D. White aveva un portamento signorile e uno sguardo benevolo e comprensivo, come coloro che non presumono di sé e guardano oltre. Allora egli era diventato famoso per essere stato chiamato a consulto del Presidente Eisenhower colpito da infarto cardiaco. Con la modestia dei grandi non vi cambiò la terapia in atto, che a quei tempi si fondava solamente sul riposo a letto e la sorveglianza dei parametri personali: dolore, pressione ed elettrocardiogramma. Aggiunse un unico farmaco, l’anticoagulante, che molti non capirono dati i suoi possibili effetti emorragici, pericolosi in quelle circostanze. I colleghi di tutto il mondo non lo copieranno, poiché alle verifiche non ne videro i vantaggi.
In realtà, White non portava i risultati di una esperienza personale di casi trattati nel suo ospedale, ma solo l’intuizione che la terapia futura avrebbe dovuto orientarci su quel tappo, il coagulo che interrompe il flusso di sangue e di ossigeno nella coronaria malata.
In breve, aveva preceduto di vent’anni tutta una serie di ricerche, le quali porteranno alla scoperta della trombolisi mediante un farmaco, la streptochinasi, capace di disintegrare quel tappo se viene iniettata in vena il più presto possibile. E la cui efficacia sarà dimostrata per primo dallo studio italiano GISSI nel 1982. Lo dico con orgoglio non per avervi partecipato, ma perché era la riprova che il nostro paese, votato all’individualismo disgregatore, se guidato da gente capace e generosa, da Milano a Palermo, sa fare meglio che nelle occasioni talvolta brillanti ma spesso abbuiate dall’egocentrismo. Naturalmente poi vennero anche il defibrillatore, il bypass, il palloncino con lo stent e altre “diavolerie” salvatrici, alle quali oggi dobbiamo la rimessa in efficienza di tanti malati e l’allungamento della loro vita.

Molti personaggi famosi infatti, ma di più quelli ignoti, se ne avvantaggeranno. Fra i primi è bello ed emblematico ricordare l’avvocato Agnelli, nonché il suo grande amico Segretario di Stato USA Henry Kissinger, il Senatur Umberto Bossi, l’on. Castagnetti, il grande critico e polemista Vittorio Sgarbi, il Presidente Bill Clinton, e tanti, tanti altri. Fra tutti merita ancora d’essere citato lo Sgarbi per l’intelligenza, forse sorretta dai ricordi della farmacia familiare, il quale, colto da dolore anginoso mentre viaggiava verso Roma, fece subito deviare la macchina al più vicino ospedale emiliano, dove in una specie di day hospital gli allargarono la coronaria compromessa. As soon as possible (nel tempo più breve), come dicono i medici acculturati.
Ma l’intuizione di White non si chiude con la promozione delle ricerche per prevenire e lottare contro il trombo causa dell’infarto, essa si rifà anche al riscontro degli anatomo-patologi di coaguli nell’interno del cuore, specie sulla zona colpita dalla necrosi infartuale. Trombi che si possono staccare e prendere le via del cervello o di altri distretti. E’ l’argomento rivisto oggi da Alexander Merkler e collaboratori di New York, di Bethesda- Maryland e di Reykjavik-Iceland, i quali hanno arruolato fra il 2004 e il 2007 quasi mille anziani fra i 67 e i 93 anni (media 76), seguiti poi fino al 2019 per valutarne l’associazione tra infarto del cuore accertato o non riconosciuto e infarto del cervello. Al consuntivo finale, dopo circa 15 anni, si constatò l’evenienza di infarto cerebrale in circa il 30% di coloro che non avevano mai avuto infarto cardiaco, ma soprattutto nel 44% dei colpiti da infarto del cuore non riconosciuto all’epoca e nel 50% di coloro in cui fu correttamente diagnosticato, in tutti verosimilmente dovuti a embolia proveniente dalle cavità cardiache.
Come possiamo commentare e brindare la perspicacia di certe menti superiori, come lo fu quella di White, dotate ovviamente di preparazione scientifica e di saggio equilibrio? Qualcuno ha detto che sono menti privilegiate poiché poggiano sulle spalle di giganti, che hanno fornito in precedenza le egregie e indispensabili conoscenze. Non c’è alcun dubbio, ma aggiungerei che i nuovi promotori aggiuntisi a quella nobile schiera devono avere loro stessi menti e cuore ugualmente privilegiati.

Eligio Piccolo
Cardiologo