L’obesità fra salute, vizio e malattia
di Eligio Piccolo
23 Marzo 2022

Scorrendo la storia, la letteratura e l’arte si potrebbe rilevare che l’aumento delle nostre rotondità, oggi definite mediante un indice che calcola il sovrappeso e l’obesità, sono state poco considerate sotto il profilo sanitario e figurativo. Solo i grandi medici del passato da Ippocrate a Galeno le hanno segnalate senza troppa enfasi come un rischio per la nostra salute. Lo possiamo rilevare dal culto estetico di quei tempi, tramandatoci nelle molte immagini di statue, bassorilievi e dipinti, ultimi ed emblematici i bronzi di Riace. Fanno eccezione nell’antichità il Buddha, che si definiva medico dei dolori, raffigurato ovunque con la sua ampiezza fisica, quasi rassicurante, ma anche qualche raro crapulone trimalcionico e le donne del Rinascimento, piacevolmente rotondette nei dipinti sempre ammirati. 
Nella prima metà del secolo scorso, ai tempi della mia fanciullezza, si considerava la pancetta dell’uomo maturo un segno di benessere, di buona alimentazione e anche di salute, a differenza del popolo indigente che si razionava per necessità. Ma poco dopo sono arrivati i trial, gli studi di popolazioni, il colesterolo e le diete più salutari. Specie quella mediterranea, che tagliò la testa al toro dei tradizionalisti e dei buongustai, dimostrando che le popolazioni bruciate dal sole, parsimoniose e che danzano il flamenco, la tarantella e il sirtaki sono magre, asciutte e più longeve. Scorrendo poi quei dati epidemiologici e i servizi televisivi nei vari paesi appariva chiaro che il problema era soprattutto americano, degli States, dove non calcolano le calorie, indossano gli extra-large e non riescono a distaccarsi dalle abitudini di quando conquistatori cacciavano i bisonti e correvano per raggiungere il far-west. Popolo peraltro oggi all’avanguardia sia nella ricerca sia nelle scoperte, compresa la valorizzazione della stessa dieta mediterranea della quale noi, non comprendevamo appieno i vantaggi, anzi ne lamentavamo l’atavica parsimonia.  Gli americani sono soddisfatti di averla fatta conoscere, ma quanto a praticarla è altra cosa. 
Gli USA hanno anche scoperto che l’obesità e il sovrappeso possono essere calcolati con il BMI (body mass index), capace di prevedere in chi lo oltrepassa un maggior rischio di cardiopatie, di malignità tumorali, di infezioni, infertilità, artropatie, depressione e perfino della demenza senile.
Ad ogni azione fa seguito una reazione, quale viviamo pure oggi con i no-vax contrari ai vaccini, per cui anche a difesa degli extra-large si sono invocati, oltre a Buddha l’illuminato, Winston Churchill vincitore della seconda guerra mondiale, vissuto scrivendo storia e dipingendo fino ai 90, il nostro 74enne Giuliano Ferrara, che Dio ce lo conservi, e pochi altri.

Mentre si è dovuto constatare la prematura scomparsa di tanti magri o atleti, ma per contrasto la lunga vita di Giulio Andreotti contro le previsioni che i medici avevano prognosticato alla visita di leva. C’è quindi ancora molto materiale per dubitare delle valutazioni mediche e, chissà, affidarsi piuttosto alle chiro-cartomanti.
In realtà la medicina quando si trova difronte a questi paradossi non si perde d’animo e cerca di capirne attraverso la ricerca scientifica le ragioni. La prima è che l’obesità non è necessariamente paragonabile agli altri fattori di rischio delle malattie cardiovascolari, quali il colesterolo, il fumo e la pressione alta. Tanto che alcuni esperti l’hanno definita “obesità metabolicamente normale”, poiché non vi riscontrano un effettivo aumento di infarti, di ictus o di altri eventi. E a questo punto si inseriscono pure i coreani, quelli del Sud naturalmente, i quali hanno voluto andare più a fondo calcolando il grado di calcio nelle coronarie di questi asintomatici, alcuni in sovrappeso altri in normopeso, rilevando che nei primi il calcio era più elevato e quindi con un ipotetico maggior rischio di futura ischemia o, come dicono nella loro terminologia, di arteriosclerosi coronarica subclinica. Un altro studio che ha riunito ben otto studi epidemiologici su complessivi 60.000 obesi “metabolicamente normali”, seguiti per 10 anni e comparati ai magri, mostrerebbe che i grassi hanno maggior rischio di accorciarsi la vita e di ammalare di cuore. Infine, proprio con l’intento di capire meglio queste contraddizioni o paradossi, si è ricorsi alla genetica, la quale sembra indicare che per molti obesi “normali” la causa non sia solo il peccato di gola ma una particolare metilazione di certi geni dei loro cromosomi, ossia in parole povere una vera predisposizione ereditaria che indurrebbe la riproduzione di soggetti come le immagini care a Botero.
La rivista Science nel numero di settembre 2021, cercando una sintesi delle varie ricerche, ha proposto una revisione nel significato dell’obesità umana nei seguenti punti: 

1 – Il rischio di mortalità dell’obesità è da considerare molto ridimensionato o addirittura cancellato da una moderata o elevata attività fisica praticata dai soggetti; 
2 – Anche molti marker metabolici di rischio negli obesi migliorano con l’attività fisica, indipendentemente dalla riduzione del peso e in modo simile a questa se ben programmata; 
3 – La sola perdita di peso non riduce il rischio di mortalità; 
4 – La ciclica riduzione del peso, il cosiddetto fenomeno yo-yo di quelli che ingrassano e poi si rimettono a dieta, provoca spesso complicanze avverse e riduzione della vita. 

A questi punti, sul finire dell’interessante diatriba, ribadirei che l’obesità da sola non è di per sé una malattia, ma certamente un fattore di rischio nel favorirla, specie se si associano altri disturbi metabolici o vizi. Qualcuno poi ha rilevato che i sovrappeso, cioè i non ancora obesi, virano facilmente verso questo traguardo e quando lo raggiungono perdono quasi sempre la reversibilità, non gli riesce più quel giochetto a fisarmonica che da giovani gli veniva così bene prima di andare in spiaggia o di riprendere un’attività sportiva. Come se a un certo punto scattasse una mutazione, che ricorda quella di chi si ritrova improvvisamente diabetico. Ma, come ho premesso all’inizio, fortunatamente per noi mediterranei, grazie alla nostra dieta e ad alcune periodiche carestie, è possibile ancora guardare questi problemi come spettatori e, anziché imitarli, dare qualche consiglio utile ai nostri alleati extra-large.


Eligio Piccolo
Cardiologo