LA STORIA DEL WARFARIN
di Antonella Labellarte
01 Ottobre 2012

La “scoperta” del warfarin parte, come talvolta accade, da un fatto casuale. Ci troviamo nel Wisconsin, inverno 1933, c’è una brutta epidemia negli allevamenti di bovini, gli animali muoiono per emorragie.
Dopo lunghe ricerche si capisce che non si tratta di una malattia infettiva, ma che gli animali si ammalano perché assumono tramite il foraggio conservato –è inverno- una sostanza, che verrà poi chiamata dicumarolo, che è causa delle emorragie perché non fa coagulare il sangue.

La malattia viene identificata con il nome di sweet clover disease. Clover è il trifoglio che andava incontro a processi di trasformazione una volta raccolto e conservato per i periodi in cui non era disponibile foraggio fresco per alimentare gli animali. Che fine fecero gli allevatori di bovini del Wisconsin? La storia qui non lo racconta.
Sta di fatto che passano diversi anni e viene selezionata una molecola che verrà chiamata warfarin. Il nome ricorda la fondazione che finanziò la ricerca la Wisconsin Alumni Research Foundation, le cui iniziali vennero prese per identificare il principio. Il warfarin era un potente anticoagulante e se ne scoprì anche l’antidoto, la vitamina K.
L’idea che prese piede però, nel primo uso della molecola così potentemente efficace nel provocare emorragie, fu quella di utilizzarla come veleno per topi…. Poco costoso, molto efficace ed utilissimo.

Con una storia di veleno da topi, si può capire che l’utilizzo del warfarin per la cura delle malattie non fu semplice. Sembra che la sua popolarità come farmaco efficace sia dovuta al fatto che venne somministrato a Dwight David “Ike” Eisenhower per la cura della sua trombosi coronarica. Comandante in capo delle Forze Alleate in Europa durante la seconda guerra mondiale, è stato poi dal 1953 al 1961 il 34º presidente degli Stati Uniti d’America. Uomo evidentemente di carattere, cui fu affidato lo sbarco in Normandia, assunse quindi negli anni ’50 un farmaco efficace, ma potenzialmente pericoloso. Il warfarin ha, infatti, uno stretto “range terapeutico” come ben sa chi lo assume cronicamente da anni. Se assunto in dosi troppo basse non riesce a modificare la coagulazione, se in dosi troppo alte pone a rischio di emorragie.

Bisogna assumerne giornalmente in quantità sufficiente da mantenere l’INR (International Normalized Ratio) tra 2 e 3. E’ per questo che si effettuano prelievi frequenti del sangue che consentono di misurare questo valore ed “aggiustare” la dose da assumere.
Non sempre è facile “essere in range”. Il farmaco possiede infatti diverse interazioni con altri farmaci e con il cibo che ne modificano l’assorbimento.

Oggi dopo più di 50 anni di “onorata carriera” il warfarin ha dei successori: i nuovi anti coagulanti orali.

Antonella Labellarte
Cardiologa
Ospedale S. Eugenio, Roma