IL CUORE NON MENTE MAI, MA LA MENTE HA CUORE?
di Ivan Battista
23 Maggio 2015

Il matematico francese Blaise Pascal sosteneva che: “Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce:…”. È una frase usata di frequente per uso personale e decontestualizzata. La si riferisce spesso alle questioni d’amore di coppia e la troviamo sui bigliettini dei baci di cioccolato. Pascal, invece, la intendeva collegandola all’amore, sì, ma divino: “E’ il cuore che sente Dio, e non la ragione. Ecco che cos’è la fede: Dio sensibile al cuore, e non alla ragione.” (Pascal, B., 1669).
Restando, però, nella versione “cioccolatino” possiamo credere a questa affermazione? Il cuore, cioè il sentimento più profondo, l’istinto, ha le sue ragioni? Da psicoterapeuta devo assentire.

L’istinto (il cuore) ha le sue ragioni e, per chi le studia, sono anche ben seguibili. Fin dai tempi della pubblicazione de L’interpretazione dei sogni di Sigmund Freud (Freud, S., 1899) si è cominciato a “leggere”, con metodo più studiato, il linguaggio più profondo della psiche.

In amore non v’è contraddizione, anche se è indiscutibile che accada, come ancora ci fa sapere, stupendoci con i suoi attualissimi versi, Catullo a distanza di più di venti secoli:

“Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri setio et excrucior.”
“Amo e odio, forse ti chiederai come io possa farlo? Non lo so, ma lo provo pesantemente e mi contorco”. 

In amore, dunque, il cuore non mente mai, ma nel ragionamento la ragione ha cuore? Può avvenire lo stesso procedimento al contrario nella ragione? Esiste un cuore nella ragione? Anche qui, da studioso della psiche umana (perché esiste anche quella animale, come ben sanno i proprietari di cani e gatti) devo assentire: anche la ragione ha un cuore. Ogni ragionamento non è mai completamente avulso da una dimensione passionale.

Tutte le scoperte scientifiche, tutte le invenzioni umane sono state precedute dall’immaginazione più fervida e appassionata. Jules Verne con la sua entusiastica fantasia ha vagheggiato molti anni prima cose “scientifiche” che sono state realizzate dopo con il ragionamento e il calcolo, dal sottomarino a propulsione infinita al viaggio dalla terra alla luna. È straordinario constatare quanto il Nautilus sia simile, nella descrizione del romanziere francese, al sottomarino a propulsione nucleare dei nostri giorni o quanto il viaggio dalla terra alla luna sia avvenuto praticamente negli stessi, e quasi identici modi, della prima missione USA che portò l’uomo a mettere piede sulla superficie del satellite terrestre.

Non parliamo, poi, della fisica quantistica e di come essa possa essere influenzata nei suoi esperimenti dallo stato psichico dell’osservatore.
Nessuno può togliermi dalla mente, per esempio, che l’equazione d’onda che descrive il moto dei fermioni enunciata nel 1928 dal fisico inglese Paul Adrien Maurice  Dirac, non sia stata preceduta da un ragionamento con del cuore dentro. Nella sua forma semplificata la si può scrivere così (∂ + m) ψ = 0. Non sono un fisico, ma ho appreso leggendo (Farmelo, G., 2009) che grazie a questa equazione si può descrivere il fenomeno dell’entanglement quantistico.
Essa sostiene che: “Se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non possono più essere descritti come due sistemi distinti, ma in qualche modo, diventano un unico sistema. In altri termini, quello che accade a uno di loro continua ad influenzare l’altro, anche se distanti chilometri o anni luce”.

Non è meravigliosamente sentimentale questo enunciato? Paul Dirac lo formula a ventisei anni, l’età delle passioni amorose. Mi piace pensare che il fisico inglese, nonostante il suo carattere assolutamente poco incline alla comunicazione, impacciato con le donne e contemporaneamente capace di lasciarsi affascinare dalla grazia femminile, fosse innamorato quando la pensò.
In effetti, traducendo la sua equazione in termini “innamoramentali” potremmo riscriverla così: “Se due individui si relazionano tra loro per il periodo di tempo in cui è vissuto l’innamoramento reciproco e successivamente si dividono, essi non potranno mai più essere considerate due persone differenziate, ma restano una persona sola (un unico sistema). Ciò che accade ad uno continuerà a condizionare l’altro seppure distanti chilometri o anni luce.”.

Non potrebbe essere la formulazione scientifica dell’innamoramento? Ormai, tutti sappiamo quanto la caratteristica della fusionalità tipizzi ogni cotta. In esso, gli amanti si percepiscono come “fusi” in una persona sola, pur mantenendo le loro specifiche peculiarità.
Il sociologo Francesco Alberoni (Alberoni, F., 1979) ne parlava in termini di “stato nascente”. Quanti di noi sono stati innamorati sanno perfettamente che, a dispetto del ragionamento sminuente logico-interpretativo che si arriva a dare, spesso per orgoglio o ripicca, ai fatti accaduti quando si era innamorati, resta una gran quantità di cuore nel ricordo più intimo, anche se non ci piace.

Il cuore, dunque, esprime senza mediazione ciò che di più vero siamo; non mente. La mente, però, non è esente totalmente dal cuore. Anche nella mente c’è cuore, a volte molto più di quello che si crede o si sia disposti ad ammettere.
Parola di uomo razionale, ma emotivo.

Fonti:
Alberoni, F. – 1979, Innamoramento e amore, Garzanti, Milano
Farmelo, G. – 2009, L’uomo più strano del mondo. Vita segreta di Paul Dirac, il genio dei quanti, Raffaello Cortina, Milano, 2013
Freud, S. – 1899, L’interpretazione dei sogni, Opere, Boringhieri, Torino
Pascal, B. – 1669, Pensieri, Newton Compton, Roma, 1993

 

Ivan Battista
Psicologo, psicoterapeuta, docente presso la Scuola Medica Ospedaliera,
Ospedale Santo Spirito, Roma