I NOAC: IL MONDO REALE
di Antonella Labellarte
23 Maggio 2015

Che cosa abbiamo imparato sui nuovi anticoagulanti orali dalla pratica clinica? Abbiamo imparato che questi farmaci sono certamente efficaci.

Tre sono i nuovi anticoagulanti orali approvati in Italia dagli enti regolatori per la rimborsabilità (prescrizione vincolata alla diagnosi secondo il piano terapeutico stabilito): il dabigatran, il rivaroxaban e l’apixaban. Esiste un quarto anticoagulante l’edoxaban l’ultimo della serie, già approvato dalla FDA (Food and Drug Administration) negli Stati Uniti e qui in corso di approvazione.

Il primo dei nuovi anticoagulanti orali, il dabigatran è stato studiato nel RE-LY trial alle dosi di 110 mg e 150 mg. Il RE-LY è stato il primo grande trial randomizzato versus warfarin a provare la non inferiorità del farmaco e alla dose di 150 mg la superiorità nella prevenzione dello stroke.

Poi il rivaroxaban, il primo inibitore del fattore Xa (a differenza del dabigatran che è un inibitore diretto della trombina), studiato nel ROCKET AF in 14.000 pazienti con un CHADS2 score di circa 3.5 alle dosi di 15 e 20 mg. Ancora una volta non inferiore e come il dabigatran con un numero inferiore di emorragie intracraniche.

L’altro inibitore del fattore Xa, l’apixaban è stato studiato nel trial ARISTOTLE in circa 18.000 pazienti: riduzione dello stroke e dell’embolismo sistemico e riduzione della mortalità, dato che si conferma anche con l’aggregazione dei dati di tutti i trial.
Infine l’edoxaban, un altro inibitore del fattore Xa, studiato nel trial ENGAGE AF-TIMI 48, anche in questo caso non inferiorità e numero di sanguinamenti ridotto.

A guardarli tutti insieme siamo sicuri di una cosa: che sono almeno altrettanto buoni se non migliori del warfarin su molti fronti.

Primum non nocere: la sicurezza.
Il rischio di emorragia intracranica è praticamente dimezzato da ognuno di questi farmaci. Si parla spesso delle differenze esistenti tra queste molecole ma tutte condividono la riduzione della comparsa della più temibile e fatale complicanza l’emorragia cerebrale.

Nel Dipartimento della Difesa statunitense è stata condotta un’analisi postmarketing dei sanguinamenti con rivaroxaban. La valutazione è stata condotta su più di 27.000 pazienti in trattamento con rivaroxaban da 15 mesi. I risultati sono stati rassicuranti: 500 sanguinamenti maggiori (definiti da una perdita di emoglobina di 2 gr, la necessità di due emotrasfusioni o il sanguinamento di un organo critico), la maggioranza dei quali (circa il 90%) gastrointestinali, il 7.5% emorragie intracraniche che hanno una percentuale di mortalità elevatissima, pari al 50%.  Quattordici decessi su più di 27.000 pazienti in 15 mesi, anche il passaggio dal mondo dei trials a quello dei registri conferma il dato di sicurezza: il calcolo dei decessi in percentuale rende il rischio equivalente a quello che si corre nel guidare la propria automobile per tornare a casa.

Le procedure
Nel caso in cui il paziente debba essere sottoposto a procedura interventistica si sospende il farmaco anticoagulante e trascorse 24 ore si può effettuare la procedura. Approssimativamente dopo 4 ore si può ripristinare la terapia una volta esaurito l’effetto dei farmaci utilizzati per via parenterale. In caso di procedura d’urgenza si effettua la procedura comportandosi come se il paziente fosse in trattamento con enoxaparina.

La gestione dei sanguinamenti
Non esistono ad oggi antidoti specifici, mentre alcuni come l’Andexanet Alfa sono ancora in fase di studio e approvazione.  In presenza di sanguinamento quello che si deve fare è: sospendere il farmaco , istituire una terapia di supporto e trasfondere se necessario. E poi ricercare la causa del sanguinamento poiché questi pazienti non sanguinano spontaneamente. In emergenza, nei casi più gravi come i sanguinamenti cerebrali si può utilizzare il concentrato di complesso protrombinico (PCC). Utilizzato su volontari sani è stato in grado di invertire l’effetto di rivaroxaban ma non quello di dabigatran. (Circulation 2011; 124, 1573-9).

Rimane il grande capitolo dell’insufficienza renale, ma di quello parleremo un’altra volta.

 

 

Antonella Labellarte
Cardiologa
Ospedale S. Eugenio, Roma