Focus on: Scompenso cardiaco acuto – Nuove linee guida ESC 2021. Parte 2
di Debora Russo
30 Dicembre 2021

Le nuove linee guida propongono un algoritmo interessante sul management della terapia diuretica, che è basato sull’opinione di esperti, non essendoci trial randomizzati controllati che hanno dato raccomandazioni con evidenza maggiore. Si parte con un diuretico per via endovenosa a dosaggio pari a 1-2 volte quello che il paziente assume per via orale, se lo assume, oppure da 20-40 mg. La risposta alla terapia si ha se il paziente urina >100 ml/h nelle prime 6 ore o presenta una concentrazione di sodio urinario ≥50-70 mEq/L dopo due ore, in tal caso si mantiene il dosaggio, altrimenti la dose di diuretico può essere raddoppiata, fino a raggiungere il dosaggio massimo e fino alla completa decongestione. In caso di mancata risposta si può aggiungere un altro diuretico, per esempio un tiazidico (Figura 2). 

Ogni presentazione clinica dello scompenso cardiaco acuto presenta un approccio terapeutico leggermente differente: nella forma riacutizzata la congestione deve essere trattata con aumento della terapia diuretica per via endovenosa ed inotropi in caso di ipoperfusione concomitante (indicazione IIb) ed in caso di mancata risposta anche terapia renale sostitutiva; vasopressori se il paziente non migliora, fino ad arrivare al supporto meccanico ed eventualmente a terapia palliativa a seconda delle condizioni cliniche. 
In caso di edema polmonare acuto la situazione cambia perché in genere il paziente si presenta con distress respiratorio (frequenza respiratoria>25 respiri/min, SatO2 <90%, ipossemia con ipercapnia) e quindi il supporto ventilatorio deve essere il primo passo nel trattamento e va effettuato mediante NIV con casco o CPAP, associata a concomitante terapia con diuretici per via endovenosa ed eventuali vasodilatatori se la PA>110 mmHg, mentre se si associa a ipotensione con ipoperfusione all’utilizzo di inotropi e vasopressori; anche in questo caso se il paziente non risponde si arriva alla terapia renale sostitutiva o va presa in considerazione la terapia palliativa, se migliora si ottimizza la terapia anche in base all’eziologia.
Il quadro di scompenso cardiaco acuto destro è generalmente legato al coinvolgimento del ventricolo destro in corso di sindrome coronarica acuta per cui il trattamento prevede in primis l’angioplastica primaria, prestando inoltre molta attenzione al mantenimento del bilancio idroelettrolitico mediante la concomitante somministrazione di fluidi e di terapia diuretica, essendo presente in genere congestione sistemica. È di vitale importanza valutare la stabilità emodinamica, se il paziente è ipoteso e ipoperfuso può beneficiarsi della terapia con inotropi e in questo caso il più indicato è il Milrinone, un inibitore delle fosfodiesterasi-5 che determina aumento del cAMP intracellulare e quindi del Calcio, con conseguenti effetto inotropo ed effetto vasodilatatore sulle cellule muscolari lisce e dei vasi polmonari, determinando riduzione della pressione polmonare; può ridurre la PA e quindi spesso si associa un vasopressore come la noradrenalina (3). 
La presentazione clinica più grave è lo shock cardiogeno definito come una sindrome risultante da una disfunzione acuta del ventricolo sinistro che determina uno stato di ipoperfusione tissutale pericoloso per la vita, che può evolvere in insufficienza multiorgano e morte. Le nuove linee guida sottolineano come l’ipoperfusione non sia sempre accompagnata da ipotensione, potendo esistere casi in cui la PA resta normale. Classicamente il paziente si presenta “wet and cold”, con estremità fredde e sudate, oliguria, vertigini, confusione mentale, elevati valori di creatininemia, di lattati e con acidosi metabolica (importante il ruolo dell’emogasanalisi arteriosa). L’algoritmo di trattamento dello shock prevedente innanzitutto l’angioplastica se legato ad una sindrome coronarica acuta, tenendo presente che si sta diffondendo il concetto del “door to balloon” per cui si propende per l’utilizzo di un supporto meccanico al circolo con Impella o contropulsatore (IABP) durante la procedura di angioplastica e non dopo, perché sembra che i pazienti vadano meglio, a meno che il paziente non abbia urgenze cardiochirurgiche come la dissezione aortica oppure l’embolia polmonare. In genere il paziente richiede ossigeno anche con NIV e supporto inotropo/vasopressorio se non meccanico con farmaci quali la dobutamina a cui può aggiungersi la noradrenalina come vasopressore. Si cerca di stabilizzare il paziente per cercare di trattare l’eziologia sottostante, ma non è così semplice. 
In caso di ipossemia l’ossigeno è indicato in classe I livello di evidenza C (se non c’è ipossemia non è indicato perché determina vasocostrizione ed aumento del precarico), la NIV in classe IIa livello B se persiste forte distress respiratorio per evitare l’intubazione, che diventa necessaria se nonostante NIV ed ossigeno il paziente non migliora.

Debora Russo
Medico in formazione specialistica in Malattie dell’apparato cardiovascolare
Università degli studi di Roma Tor Vergata