
Nel 1906 Willem Einthoven, il fisiologo olandese ritenuto l’inventore dell’elettrocardiografia, registrò forse per la prima volta un elettrocardiogramma con Pulsus Inaequalis et Irregularis (Le télécardiogramme. Arch Int Physiol 1906;4:132-164): era la fibrillazione atriale, aritmia cardiaca molto comune, caratterizzata da assoluta irregolarità del battito, ora veloce, ora più lento ed interrotto da pause. Già però nel 1628 William Harvey in De motu cordis aveva descritto l’esistenza di questa anomalia del battito cardiaco.

Da allora il numero di pazienti portatori di questa aritmia è in progressivo aumento. Oggi, in Italia si stima che siano più di 500.000 i pazienti affetti da fibrillazione atriale, circa 4 milioni e mezzo in Europa, e tali numeri sembrano destinati a raddoppiare nel 2050. Condizioni predisponenti sono nel 57% dei casi l’ipertensione arteriosa, nel 29% l’insufficienza cardiaca.
Molti sono stati i progressi nel trattamento ma, quel che è certo è che la gran parte dei pazienti debbono assumere degli anticoagulanti orali, i dicumarolici, per prevenire quella che rappresenta la complicanza più pericolosa dell’aritmia: l’ictus cerebrale. Il rischio di ictus, infatti, in presenza di F. A. aumenta del 5 %: si tratta di ictus causati da emboli che possono occludere arterie grandi del circolo cerebrale e pertanto molto pericolosi ed hanno una tendenza elevata a ripresentarsi. L’ictus è più frequente nelle donne, può riguardare territori cerebrali multipli, associarsi a demenza, può essere altamente invalidante o fatale.

Potrebbe sembrare strano ma, da più di 50 anni il farmaco assunto per prevenire la comparsa di un ictus ischemico è il warfarin che ha una storia un po’ curiosa…
Antonella Labellarte
Cardiologa
Ospedale S. Eugenio, Roma