Eriksen, il defibrillatore e lo sport
di Antonella Labellarte
23 Marzo 2022

Ricordiamo in tanti l’immagine di Christian Eriksen, il centrocampista danese che veniva rianimato in campo per un arresto cardiaco durante la partita Danimarca-Finlandia agli ultimi campionati europei di calcio. Dopo quell’evento risolto brillantemente dalle manovre di rianimazione, che gli hanno consentito di uscire già sveglio dal campo, al giocatore è stato impiantato un defibrillatore sottocutaneo per la prevenzione secondaria dell’arresto cardiaco. L’eventuale problematica cardiologica sottostante non è nota nel dettaglio. 
Ha continuato ad allenarsi Eriksen, da solo e, non molti giorni fa ha giocato la sua prima partita dopo quel giorno nella squadra del Brentford che partecipa al campionato di Premier League, la serie A inglese. Il giocatore ha rescisso il contratto in essere con l’Inter in dicembre, poiché in Italia non è possibile giocare al calcio, sport da contatto, se si è portatore di un defibrillatore. Nel nostro paese le linee guida sono stabilite dal protocollo del COCIS (Comitato organizzativo cardiologico per l’idoneità sportiva) aggiornato nel 2017. Inoltre, secondo quanto scritto dal quotidiano britannico The Times, se il giocatore verrà convocato dalla nazionale danese, la FIFA darà il via libera alla partecipazione ai mondiali che si terranno in Qatar. Non è il primo caso quello di Eriksen, vi è l’olandese Blind che gioca, e nella stagione del 2003-2004 il senegalese Fadiga è stato esonerato dall’Inter ed ha continuato a giocare in Premier League. 
Il caso Eriksen offre lo spunto per diverse considerazioni. La prima innanzi a tutte è l’eccellente rianimazione che il giocatore ha ricevuto in campo. La morte cardiaca improvvisa in corso di attività sportiva è un evento raro (2/3 atleti per 100.000 in età compresa tra 12 e 35 anni) ma è chiaramente un evento devastante, viste le circostanze in cui si verifica e la giovane età degli atleti e, nonostante in Italia si applichino regolamenti ed accertamenti più stringenti per la pratica dell’attività agonistica, vedi appunto le linee guida del Cocis, non è completamente prevenibile. Va sottolineato che l’attività fisica rende spesso manifesta una patologia preesistente e non nota e non è di per se correlata all’evento.  


Si diceva una rianimazione precoce ed efficace. Molto è stato fatto in Danimarca per aumentare la sopravvivenza di un arresto cardiaco che si verifica fuori di un ospedale. Ad esempio un training obbligatorio di rianimazione cardiopolmonare nelle scuole o a coloro che conseguono la patente di guida. Vi è poi un registro nazionale dei defibrillatori esterni automatici (AED) che consente ai centri di emergenza di individuare immediatamente la localizzazione del dispositivo più vicino. Uno studio condotto dal Copenhagen Cardiovascular Research Center ha documentato che la defibrillazione da parte di un laico triplica (13.8 vs 4.8) la sopravvivenza e quasi raddoppia la sopravvivenza a 30 giorni quando un AED è vicino ed accessibile. Circa 115.000 cittadini danesi addestrati alle manovre di rianimazione sono inseriti nell’Heart Runner Program e sono raggiungibili su smartphone attraverso una app nel caso di un arresto cardiaco che si verifichi nelle vicinanze.   Uno studio pilota ha mostrato che tali cittadini addestrati hanno raggiunto il luogo dell’evento prima dell’auto medica in circa la metà dei casi, garantendo così un notevole incremento della sopravvivenza. 
L’altra serie di considerazioni che il caso del giocatore Eriksen ci induce a fare riguarda la pratica di un’attività sportiva se si è portatori di un defibrillatore. Non è questione semplice da affrontare poiché non vi sono risposte certe come dimostra già il fatto che nel nostro Paese questo non è stato possibile mentre in altri paesi europei o negli Stati Uniti questo accade. La prima grossa riflessione inoltre, di non poca rilevanza, è che questo problema può ormai riguardare non solo gli atleti in senso stretto ma anche un discreto numero di atleti non professionisti ormai sempre più dediti ad attività sportive cosiddette “amatoriali” che con maggiore frequenza oggi sono portatori di un device, sia esso un pace-maker o un defibrillatore. Per gli atleti professionisti la 36ma Conferenza di Bethesda aveva cercato di mettere un po’ di ordine, stabilendo che la presenza di un AICD impiantato sia in prevenzione primaria sia secondaria dovrebbe escludere gli atleti dalla maggior parte delle attività agonistiche. Ma quali sono i rischi potenziali derivanti dalla presenza di un AICD? Sostanzialmente possiamo identificare 4 categorie: 1) ovviamente il timore di un aumento degli episodi aritmici, 2) una possibile inefficacia degli shock erogati durante sforzo, 3) un possibile trauma più o meno severo occorso durante perdita di coscienza e 4) la possibile rottura del dispositivo o degli elettrodi dovuto a traumatismo collegato all’attività sportiva in questione (vi è infatti in letteratura la differenziazione tra sport di contatto, di potenza, di destrezza…) 
Ebbene diversi studi hanno cercato di affrontare l’argomento e la studiosa Rachel Lampert della Yale School of Medicine esperta e dedita alla materia ha concluso negli studi più recenti con un ridimensionamento dei rischi collegati alla pratica dell’attività sportiva se si è portatori di AICD, identificando invece alcune patologie sottostanti a maggior rischio come la displasia aritmogena del ventricolo destro o la tachicardia ventricolare catecolaminergica che ad esempio, sembrano presentare un aumento del rischio.  Argomento di grande attualità ed in continua evoluzione che meriterà ulteriori e costanti approfondimenti. Nel frattempo complimenti Eriksen, good job!


Fonti:
Protocolli cardiologici per il giudizio di idoneità allo sport agonistico COCIS 2017.
36th Bethesda Conference Eligibility Recommendations for Competitive Athletes With Cardiovascular Abnormalities doi:10.1016/j.jacc.2005.02.002
Filippo Lamberti La pratica sportiva in portatori di pace maker e defibrillatori. Cardiologia dello sport 2011. 
Circulation. 2017. doi: 10. 1161/CIRCULATIONAHA.117


Antonella Labellarte
Cardiologa
Ospedale S. Eugenio, Roma