Covid e Cuore: riduzione del numero dei trapianti cardiaci in era pandemica
di Claudio Ferri
24 Ottobre 2021

Come è ben noto, la pandemia da SARS-CoV2 ha determinato non solo una tragedia in termini di mortalità direttamente correlata al virus, bensì anche una serie di effetti negativi solo indirettamente collegati alla pandemia. Questi effetti negativi sono riconducibili alla minore capacità di erogare cure nei pazienti cronici, al superlavoro richiesto a personale medico e non medico e, ultimo, ma non per ultimo, alle difficoltà nella gestione dell’acuzie che la pandemia comporta.
In questo contesto, è ben noto al cardiologo come il trapianto cardiaco sia una risposta idonea in diverse cardiopatie non altrimenti curabili. In una recente disamina [Aubert O et al Lancet Public Health 2021; S2468-2667(21)00200-0] sono stati analizzati i dati relativi ai trapianti di cuore in era pre-pandemica e post-pandemica, a loro volta derivati da 22 diversi paesi (16 in Europa, Austria, Belgio, Croazia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Italia, Olanda, Norvegia, Portogallo, Slovenia, Spagna, Svizzera e Regno Unito; 2 in Nord America, Canada ed USA; 3 in Sud America, Argentina, Brasile e Cile ed il Giappone). Con la pandemia, i trapianti di cuore si sono ridotti in tutti i paesi presi in considerazione. In Italia, l’impatto è stato lievemente meno negativo di quello medio, con una riduzione media pari a -27 trapianti di cuore (−12.27%) in era post-pandemica versus l’era precedente. Il ridotto ricorso al trapianto non era correlabile all’organo trapiantato, risultando in linea con i dati – intelligentemente presi in considerazione dagli autori – relativi ai trapianti di rene, polmone o fegato.
I danni che il COVID-19 arreca all’apparato cardiovascolare, pertanto, non sono solo quelli legati all’impatto del virus su cuore, vasi ed emocoagulazione; bensì anche quelli – di difficilissima quantizzazione – che sono correlati al minore accesso alle cure dei pazienti cardiopatici.
In questo contesto, la riduzione del numero di trapianti potrebbe essere stata determinata dal decesso dei pazienti candidati al trapianto durante la pandemia, come causa diretta della medesima. Questa ipotesi è verosimile, ma assai più credibile appare la possibilità che una serie infinita di problematiche – relative tanto alle cure domiciliari, quanto all’accesso alle cure ospedaliere e, una volta giunti in ospedale, alla filiera di erogazione di dette cure – abbia ridotto tanto il numero di cuori trapiantabili quanti il numero di pazienti cardiopatici sottoposti a trapianto.
La soluzione ai problemi correlati a quello che è stato chiamato pandemia non-Covid è estremamente difficile, anche in ragione della difficoltà di separare correttamente pazienti Covid da non-Covid. Tuttavia, è fuori di dubbio che la cardiologia sia in prima linea nel cercare di stabilire dei percorsi assistenziali che garantiscano all’accesso alle cure di tutti i pazienti, sia se affetti da problematiche minori, sia se affetti da patologie gravi.

Prof. Claudio Ferri
Direttore della Scuola di Medicina Interna
Università degli Studi L’Aquila