Abbiamo ormai imparato che la fibrillazione atriale predispone al rischio di stroke e che pertanto i pazienti che ne sono portatori necessitano della terapia anticoagulante orale. La grande novità è stato l’avvento dei nuovi anticoagulanti che presentano tutti l’innegabile vantaggio di non richiedere un attento monitoraggio dei parametri ematici. Nei grandi trials condotti versus warfarin, i nuovi anticoagulanti hanno dimostrato la non inferiorità/superiorità nel prevenire l’ictus e una riduzione nei sanguinamenti maggiori e nelle drammatiche emorragie intracraniche.
Ma un’obiezione è stata spesso sollevata nei confronti dei grandi trials sponsorizzati: la scarsa qualità in quegli studi della anticoagulazione con warfarin poiché il TTR (time in therapeutic range) variava dal 55% al 64%, ossia praticamente più di uno su tre pazienti era troppo o troppo poco scoagulato. Riflesso dei dati del mondo reale ma… non in Svezia dove nel 2015 il TTR nella pratica clinica si aggirava al 73.4%.
I ricercatori svedesi hanno pertanto cercato di dare una risposta all’eventuale dubbio di avviare nei nuovi casi di FA la profilassi trombo embolica con i NOAC o con warfarin, valutando se i benefici osservati nei trials non fossero legati al mancato/scorretto regime anticoagulante.
Nello studio sono stato inclusi pazienti che hanno iniziato la terapia anticoagulante con warfarin (36.317) o NOAC (12.694) per fibrillazione atriale non valvolare nel periodo compreso tra luglio 2011 e dicembre 2014. I dati del cosiddetto mondo reale provengono dai ben noti rigorosi registri svedesi, utilizzando il propensity score matching per ridurre le differenze tra popolazioni nella selezione non randomizzata dei pazienti.
Sono stati quindi studiati circa 12.000 pazienti warfarin versus NOAC, età media 72 anni, maschi 58%, 19% con precedente stroke e un valore medio CHA2DS2-VASc di 3.3. Il follow-up medio è stato pari a soli 300 giorni. La distribuzione dei NOAC era dabigatran 40.3%, rivaroxaban 31.2% e apixaban 28.5%. In termini di efficacia l’incidenza annuale di stroke ed embolismo sistemico è stato pari a 1.58 nel gruppo warfarin versus 1.35 nel gruppo NOAC, differenza non significativa. Anche le differenze relative ai sanguinamenti gastro intestinali, alla mortalità per tutte le cause e infarto non ha raggiunto la significatività. Il risultato più importante è quello relativo alla riduzione – 51% in meno nel gruppo NOAC- degli stroke emorragici (0.16% vs 0.35%; HR 0.49; 95% IC 0.28-0.86) e dei sanguinamenti maggiori (2.76% vs. 3.61% HR 0.78; 95% IC 0.67-0.92).
Gli autori hanno concluso che il trattamento con NOACs rispetto a warfarin (TTR 70%) ha ridotto i sanguinamenti maggiori e intracranici mentre non è risultato superiore in termini di prevenzione dello stroke e dell’embolizzazione sistemica.
Pur con tutti i limiti di uno studio retrospettivo, non-randomizzato, osservazionale, con un periodo di follow-up inferiore ad un anno, in cui il propensity matching potrebbe non avere annullato tutti i potenziali elementi confondenti, questo lavoro aggiunge un tassello in più alle caratteristiche di sicurezza dell’utilizzo dei NOAC nella pratica clinica.
Anche quando la terapia con warfarin è ben condotta – difficile farlo meglio che in Svezia! – i NOAC garantiscono una maggiore sicurezza. Questo è un messaggio dello studio presentato al congresso dell’American Heart Association tenutosi a New Orleans pochi giorni fa.
Fonti
Sjogren V, Bystrom B, Norrving B, et al. Non-vitamin K oral anticoagulants are non-inferior for stroke prevention but cause fewer major bleedings than well-managed warfarin with time in therapeutic range 70% or higher in Sweden. American Heart Association 2016 Scientific Session November 13, 2016
Antonella Labellarte
Cardiologa
Ospedale S. Eugenio, Roma