Verso una migliore comprensione dello scompenso cardiaco con funzione sistolica preservata.
di Filippo Brandimarte
25 Ottobre 2021

Lo scompenso cardiaco a funzione sistolica preservata, nonostante rappresenti circa il 50% di tutti i ricoveri per scompenso cardiaco, non è andato incontro ai benefici che si sono invece documentati nella forma con disfunzione sistolica in termini di mortalità e reospedalizzazioni. (1) Questa popolazione di pazienti, infatti, non ha attualmente specifici trattamenti farmacologici se non quelli atti a trattare le sottostanti comorbidità (ipertensione e diabete in primis) che caratterizzano questa forma di scompenso cardiaco. Anche alcuni device tra cui la resincronizzazione cardiaca o più recentemente la modulazione della contrattilità cardiaca non sono indicati nei soggetti con funzione sistolica rispettivamente superiore al 35% e 45%. Alcune molecole sono rimaste sperimentali (serelaxina e istaroxime tanto per citarne alcuni) e non sono entrate nell’armamentario terapeutico standard. (2,3) Le gliflozine, inizialmente introdotti come farmaci ipoglicemizzanti per i pazienti diabetici, sono forse il primo vero trattamento che sembra apportare dei significativi benefici anche nei pazienti con funzione preservata diabetici e non. (4)

Sappiamo dai grandi registri internazionali che si tratta di pazienti solitamente anziani, diabetici ed ipertesi che hanno di conseguenza molteplici comorbidità le quali spesso non consentono loro di accedere ai reparti di cardiologia venendo preferenzialmente ricoverati in reparti di medicina interna e geriatria. Abbiamo bisogno di conoscere un po’ meglio le caratteristiche di questi pazienti al fine di individuare target terapeutici? Giudicando dai risultati di un recente studio pubblicato sull’ultimo numero di JAMA Cardiology la risposta sembra senz’altro affermativa. (5) Rush CJ et al. hanno infatti condotto un elegante trial prospettico multicentrico arruolando 106 pazienti ricoverati per scompenso cardiaco a funzione sistolica preservata e studiando la prevalenza di coronaropatia e della disfunzione microvascolare in maniera invasiva (sottoponendo i pazienti a studio coronarografico con stima della riserva coronarica, dell’indice di resistenza microvascolare, della riserva frazionale di flusso e test di vasoreattività coronarica con acetilcolina utilizzando preferenzialmente la discendente anteriore) e non invasiva (effettuando risonanza magnetica con gadolinio ed adenosina per lo studio della perfusione e stima del volume extracellulare come indice di fibrosi). I criteri di esclusione maggiori sono stati un filtrato glomerulare inferiore a 30 mL/min/1.73 m2 (per consentire l’infusione di mezzo di contrasto in sicurezza) e una estrema fragilità dei pazienti (considerati ad alto rischio di complicanze durante lo studio invasivo). La presenza di malattia coronarica epicardica significativa è stata definita come una stenosi maggiore del 70% (50% nel caso della discendente anteriore) oppure una stenosi tra il 50% e il 70% ma con una riserva frazionale di flusso minore od uguale a 0.80. La disfunzione microvascolare è stata definita come una riserva di flusso coronarico meno di 2.0 e/o un indice di resistenza microvascolare maggiore od uguale a 25. Una perfusione miocardica patologica alla risonanza magnetica è stata definita come un indice di riserva di perfusione miocardica minore od uguale a 1.84 ed un volume extracellulare maggiore del 30% come indice di fibrosi diffusa. Gli endpoint dello studio dopo un follow-up medio di 18 mesi sono stati: mortalità o ricovero per ogni causa, mortalità o ricovero per cause cardiovascolari, mortalità o ricovero per scompenso cardiaco e mortalità o ricovero per cause non cardiovascolari.

75 pazienti (71% dell’intera coorte) sono stati sottoposti a studio coronarografico e 52 (49%) a risonanza magnetica cardiaca. 62 (58%) dei soggetti sottoposti a studio emodinamico sono stati sottoposti ai test di funzione coronarica e 41 (39%) ai test di vasoreattività. Dei 52 pazienti che hanno eseguito risonanza magnetica 42 (42% di tutti i partecipanti e l’85% dei pazienti sottoposti a risonanza) hanno eseguito sia angiografia coronarica che la risonanza magnetica cardiaca. L’età media dei pazienti era 72 anni (50% donne) con il 56% aventi una classe NYHA III ed il 42% una classe IV. Una malattia coronarica è stata evidenziata in 38 (51%) dei 75 pazienti sottoposti a studio coronarografico ed oltre la metà di questi avevano una malattia monovasale ed 1/3 circa bivasale. Una disfunzione microvascolare endotelio indipendente era presente in 41 (66%) dei 62 sottoposti ai test di funzionalità coronarica ed in particolare 13 pazienti (15%) avevano una normale riserva di flusso coronarica ma un alto indice di resistenza microvascolare, 9 pazienti (15%) avevano una bassa riserva di flusso coronarica e un normale indice di resistenza microvascolare e 19 pazienti (31%) avevano una bassa riserva di flusso coronarica ed un alto indice di resistenza microvascolare. 10 pazienti (24%), più spesso donne, hanno avuto un vasospasmo microvascolare dopo l’infusione di acetilcolina (endotelio dipendente) sebbene nessuno abbia avuto una vasocostrizione delle coronarie epicardiche. Una qualsiasi forma di disfunzione del microcircolo si è evidenziata in 45 (85%) dei 53 soggetti e 29 (81%) dei 36 pazienti senza ostruzioni coronariche avevano disfunzione microvascolare. 29 (71%) dei 41 soggetti sottoposti a risonanza magnetica con infusione di adenosina avevano un indice di riserva di perfusione miocardica uguale o inferiore a 1.84 e 14 (27%) pazienti avevano un difetto di perfusione inducibile (soggetti più giovani con anamnesi positiva per pregresso infarto miocardico, rivascolarizzazioni coronariche e fumatori). Infine, 20 pazienti (42%) avevano un volume extracellulare oltre il 30% suggestivo per fibrosi miocardica diffusa. Dopo un follow-up di 18 mesi gli outcome compositi erano più frequenti in pazienti con coronaropatia epicardica rispetto a quelli senza, con più eventi avversi durante lo studio, tra cui i ricoveri (74% vs 46%). Similmente gli outcome compositi erano più frequenti nei pazienti con rispetto a quelli senza alterazioni dell’indice di riserva di perfusione miocardica.

Sebbene con un campione non particolarmente numeroso, questo trial consente di aggiungere importanti informazioni sulla popolazione di pazienti ricoverati per scompenso cardiaco e funzione sistolica preservata. Innanzitutto, un dato che emerge abbastanza chiaro è che il 91% dei pazienti ha una malattia delle coronarie epicardiche o una disfunzione del microcircolo o entrambe. In particolare, dei soggetti senza malattia delle coronarie epicardiche oltre l’80% ha una disfunzione microvascolare (endotelio dipendente o indipendente). Inoltre, circa la metà dei pazienti con coronaropatia epicardica non avevano storia di malattia coronarica, suggerendo un’alta percentuale di pazienti con malattia misconosciuta. Lo studio non invasivo con risonanza magnetica non è in grado di predire con sufficiente accuratezza la presenza di malattia coronarica epicardica (a causa probabilmente di una anomala perfusione per disfunzione microvascolare, per l’assenza di ischemia reversibile nel contesto di un miocardio non vitale o per la presenza di perfusione collaterale del territorio irrorato dalla coronaria malata). L’angiografia coronarica sembra pertanto necessaria, sebbene invasiva, per diagnosticare una coronaropatia in questa popolazione di pazienti. Ancora, circa 2/3 dei soggetti dello studio avevano una disfunzione microvascolare endotelio indipendente (causata da rimodellamento vascolare anomalo, compressione vascolare estrinseca e rarefazione del microcircolo) con una prevalenza simile nel gruppo con (62%) e senza (69%) coronaropatia epicardica mentre solo il 24% aveva uno spasmo coronarico suggerendo una disfunzione del microcircolo endotelio dipendente. In aggiunta lo studio di risonanza ha mostrato come circa il 27% dei pazienti avevano evidenza di pregresso infarto miocardico misconosciuto nel 18% dei casi e quindi clinicamente silente. La risonanza magnetica è stata in grado anche di mostrare, attraverso la quantificazione del volume extracellulare come indice di fibrosi, come il 42% dei pazienti avessero un alto valore (superiore a 30). Si confermava quindi il contributo della fibrosi al peggioramento della funziona diastolica ventricolare, che rappresenta una base fisiopatologica dello scompenso a funzione sistolica preservata. Non da ultimo, i pazienti con coronaropatia epicardica sembrano avere peggiori outcome clinici, soprattutto per quanto concerne i ricoveri anche se il numero degli eventi, probabilmente a causa del numero ridotto della coorte, è stato basso.

Naturalmente siamo ancora lontani dal poter affermare di aver ben caratterizzato la popolazione di pazienti con scompenso cardiaco a funzione sistolica preservata ma certamente lo studio citato getta luce sulla complessa eziologia alla base di questa sindrome e evidenzia come in un numero non trascurabile di casi si tratti in effetti anche di una forma di cardiopatia ischemica intesa sia come malattia coronarica epicardica che del microcircolo. 

Bibliografia

  1. Fonarow GC, Stough WG, Abraham WT, Albert NM, Gheorghiade M, Greenberg BH, O’Connor CM, Sun JL, Yancy CW, Young JB; OPTIMIZE-HF Investigators and Hospitals.
    Characteristics, treatments, and outcomes of patients with preserved systolic function hospitalized for heart failure: a report from the OPTIMIZE-HF Registry. J Am Coll Cardiol. 2007 Aug 21;50(8):768-77.
  2. Metra M, Teerlink JR, Cotter G, Davison BA, Felker GM, Filippatos G, Greenberg BH, Pang PS, Ponikowski P, Voors AA, Adams KF, Anker SD, Arias-Mendoza A, Avendaño P, Bacal F, Böhm M, Bortman G, Cleland JGF, Cohen-Solal A, Crespo-Leiro MG, Dorobantu M, Echeverría LE, Ferrari R, Goland S, Goncalvesová E, Goudev A, Køber L, Lema-Osores J, Levy PD, McDonald K, Manga P, Merkely B, Mueller C, Pieske B, Silva-Cardoso J, Špinar J, Squire I, Stępińska J, Van Mieghem W, von Lewinski D, Wikström G, Yilmaz MB, Hagner N, Holbro T, Hua TA, Sabarwal SV, Severin T, Szecsödy P, Gimpelewicz C; RELAX-AHF-2 Committees Investigators. Effects of Serelaxin in Patients with Acute Heart Failure. N Engl J Med. 2019 Aug 22;381(8):716-726.
  3. Gheorghiade M, Blair JE, Filippatos GS, Macarie C, Ruzyllo W, Korewicki J, Bubenek-Turconi SI, Ceracchi M, Bianchetti M, Carminati P, Kremastinos D, Valentini G, Sabbah HN; HORIZON-HF Investigators. Hemodynamic, echocardiographic, and neurohormonal effects of istaroxime, a novel intravenous inotropic and lusitropic agent: a randomized controlled trial in patients hospitalized with heart failure. J Am Coll Cardiol. 2008 Jun 10;51(23):2276-85.
  4. Packer M, Butler J, Zannad F, Filippatos G, Ferreira JP, Pocock SJ, Carson P, Anand I, Doehner W, Haass M, Komajda M, Miller A, Pehrson S, Teerlink JR, Schnaidt S, Zeller C, Schnee JM, Anker SD.
    Effect of Empagliflozin on Worsening Heart Failure Events in Patients With Heart Failure and Preserved Ejection Fraction: EMPEROR-Preserved Trial. Circulation. 2021 Oct 19;144(16):1284-1294.
  5. Rush CJ, Berry C, Oldroyd KG et al. Prevalence of Coronary Artery Disease and Coronary Microvascular Dysfunction in Patients With Heart Failure With Preserved Ejection Fraction. JAMA Cardiol. 2021;6(10):1130-1143.