Un’insolita dispnea: la sindrome Platipnea – Ortodeossia
di Carmen Tarsia
19 Settembre 2021

L’ortopnea è uno dei primi concetti clinici appresi dallo studente di medicina, a cui la fisiopatologia spiega facilmente il perché nel paziente cardiopatico la dispnea peggiori in posizione supina per migliorare con l’ortostatismo. Meno intuitiva e più rara è la sindrome Platipnea-Ortodeossia, caratterizzata da dispnea (platipnea) e desaturazione arteriosa (ortodeossia) che compaiono in posizione eretta e vanno in remissione con l’assunzione della posizione supina, figurando quindi un quadro clinico opposto a quello della ben più nota ortopnea (1). 
Il primo caso fu segnalato nel 1949 in un paziente che presentava uno shunt arterovenoso polmonare. L’ipossiemia e la conseguente desaturazione arteriosa sono la diretta conseguenza del mescolarsi di sangue ossigenato e deossigenato, cioè di uno shunt artero-venoso che può essere intracardiaco o extracardiaco (1).


Uno shunt intracardiaco si realizza più frequentemente a livello inter-atriale, per la presenza del forame ovale pervio (PFO) o di un difetto del setto interatriale (DIA). Attraverso la comunicazione inter-atriale si realizza un flusso che dall’atrio destro va al sinistro se coesiste l’incremento delle pressioni interne alle sezioni destre, le cui cause possono essere, a loro volta, l’infarto del ventricolo destro, l’embolia polmonare, il mixoma atriale destro (1, 4). Ma cosa spiega l’insorgenza di desaturazione e dispnea solo in posizione eretta? La risposta risiede nella riduzione della compliance ventricolare destra che si realizza nelle condizioni patologiche suddette. Con l’ortostatismo si riduce il ritorno venoso cardiaco e con esso le pressioni interne alle sezioni sinistre, che conservano una normale compliance, mentre la riduzione della compliance ventricolare destra non permette una pari riduzione delle pressioni a destra (1). In tal modo quando il paziente si alza in piedi si realizza un gradiente pressorio che permette lo shunt.
In assenza di un incremento delle pressioni nelle sezioni di destra, lo shunt destro-sinistro può realizzarsi attraverso la comunicazione interatriale se coesiste un’alterazione dei normali rapporti anatomici tale da indirizzare, all’assunzione della posizione eretta, il flusso ematico dalla vena cava inferiore direttamente in atrio sinistro. Una tale distorsione anatomica è stata descritta in caso di aneurisma aortico, dilatazione della radice aortica, gravi deformità toraciche (es. cifoscoliosi severa), alterazioni pericardiche, paralisi idiopatica dell’emidiaframma, dopo una riparazione di ernia paraesofagea. Il prototipo dell’alterazione anatomica che porta a questa sindrome resta tuttavia la resezione polmonare. Il rimodellamento anatomico dopo una pneumectomia totale o parziale sposta il mediastino verso il lato operato e può provocare lo stiramento interatriale, facilitando il flusso dalla cava inferiore in atrio sinistro (5, 6). Da alcune metanalisi pubblicate è emerso che la causa più frequente della sindrome platipnea-ortodeossia è proprio uno shunt intracardiaco (circa 80% dei casi) associato a pneumectomia, paralisi diaframmatica o aneurisma aortico (1, 6). 
Lo shunt extracardiaco si localizza più comunemente nel polmone e nel fegato. Sono cause extracardiache di platipnea-ortodeossia: la sindrome epatopolmonare avanzata, la malformazione arterovenosa polmonare, le malattie parenchimali polmonari ostruttive e restrittive con coinvolgimento preferenziale delle basi. 
I tumori delle vie aeree superiori possono produrre platipnea a causa della compressione posizionale delle vie aeree o delle strutture vascolari (1). Infine alcune condizioni possono portare a questa sindrome attraverso meccanismi inspiegabili, come la neuropatia autonomica correlata al diabete mellito. L’ipotesi è che una grave neuropatia autonomica possa attenuare la normale risposta vasocostrittrice simpatica durante i cambiamenti posturali, determinando così un disadattamento ventilo-perfusivo polmonare responsabile della desaturazione. 
La diagnosi della sindrome richiede un alto grado di sospetto clinico. Il primo passo è misurare la pressione parziale di ossigeno nel sangue arterioso (PaO2) o la saturazione arteriosa (SaO2) in posizione supina ed eretta. Il sospetto viene confermato se, all’assunzione della posizione eretta, si registra una riduzione della PaO2 maggiore di 4 mmHg o una riduzione della SaO2 maggiore del 5%, con miglioramento in decubito supino. Poiché lo shunt intracardiaco è la causa più frequente della sindrome, il primo test diagnostico ad essere eseguito è generalmente l’ecocardiogramma transtoracico con soluzione salina agitata (1, 7). Lo studio dovrebbe essere eseguito sia in posizione sdraiata che eretta mediante l’utilizzo di un lettino inclinabile, a riposo e dopo manovra di Valsalva. L’ecocardiografia transesofagea, con e senza soluzione salina agitata, è utile per la visualizzazione diretta del setto interatriale e viene eseguita se l’ecocardiogramma transtoracico risulta positivo o dubbio. La risonanza magnetica cardiaca è utile invece per la ricerca di alterazioni anatomiche in grado di favorire lo shunt destro-sinistro.
Se non si documenta la presenza di uno shunt intracardiaco, l’attenzione viene rivolta al polmone per la ricerca di uno shunt intrapolmonare. La scintigrafia polmonare è in grado di valutare modificazioni della perfusione polmonare in corrispondenza del cambiamento posturale. Un’angioTC del torace può evidenziare la presenza di una malformazione artero-venosa polmonare. L’arteriografia polmonare resta il gold-standard per la diagnosi di shunt intrapolmonari qualora i test suddetti non siano stati esaustivi (6). 
Mentre la diagnosi di uno shunt artero-venoso extracardiaco comporta l’invio del paziente ad altro specialista per la terapia più adeguata, la presenza di uno shunt intracardiaco pone il cardiologo di fronte ad una scelta terapeutica non sempre facile.  
In caso di DIA e coesistenti segni di sovraccarico ventricolare destro, la decisione se chiudere o meno il difetto segue le attuali linee guida europee e non costituisce in genere un problema per il medico. 
Al contrario se la comunicazione interatriale consiste in un PFO la decisione è più complessa. Le attuali raccomandazioni europee e italiane sulla gestione del paziente con PFO pongono un pregresso ictus criptogenetico come unica indicazione alla procedura di chiusura percutanea. Tuttavia sono diversi gli studi che hanno mostrato l’efficacia della chiusura del PFO sulla risoluzione della sindrome platipnea-ortodeossia. Si tratta di studi retrospettivi che hanno mostrato come la procedura di chiusura migliori rapidamente la sintomatologia di questi pazienti, fatta eccezione per quelli con coesistente patologia respiratoria nei quali la dispnea è almeno in parte di genesi esclusivamente polmonare (3, 4, 7, 8). Ad oggi la chiusura percutanea del PFO può essere eseguita utilizzando il sistema Noble-Stitch, una tecnica innovativa e molto meno invasiva rispetto all’impianto del classico occluder e pertanto con un minor rischio di complicanze peri e post-procedurali. L’esistenza di questa tecnica di chiusura del PFO meno invasiva può e deve essere valutata come valida opzione terapeutica in questi pazienti, sebbene siano necessari studi clinici più ampi in grado di supportare con evidenza scientifica il processo decisionale.  


Fonti:
1. Platypnea-Orthodeoxia Syndrome in Review: Defining a New Disease? Patrícia Rodrigues P., Palma P., Sousa-Pereira L.  Cardiology 2012;123:15–23
2. Burchell H.B., Wood E.H., Reflex orthostatic dyspnea associated with pulmonary hypotension. Am J Physiol 1949; 159:563–564.
3. Sanikommu V., Lasorda D., Poornima I. Anatomical factors triggering platypnea-orthodeoxia in adults, Clin. Cardiol. 2009; 32:E55-E57
4. Delgado G, Inglessis I, Martin-Herrero F, et al: Management of platypnea-orthodeoxia syndrome by transcatheter closure of atrial communication: hemodynamic characteristics, clinical and echocardiographic outcome. J Invasive Cardiol 2004; 16: 578–582.
5. Aigner C., Lang G., Taghavi S., Reza-Hoda M.A., Marta G., Baumgartner H., et al. Haemodynamic complications after pneumonectomy: atrial inflow obstruction and reopening of the foramen ovale. Eur J Cardio-Thoracic Surg Off J. Eur Assoc Cardio-Thoracic Surg. 2008; 33:268-271.
6. Agrawal A., Palkar A., Talwar A. The multiple dimensions of Platypnea-Orthodeoxia syndrome: A review. Respir Med. 2017 Aug;129:31-38
7. Aigner C., Lang G., Taghavi S., Reza-Hoda M.A., Marta G., Baumgartner H., et al. Haemodynamic complications after pneumonectomy: atrial inflow obstruction and reopening of the foramen ovale. Eur J Cardio-Thoracic Surg Off J. Eur Assoc Cardio-Thoracic Surg. 2008; 33:268-271.
8. Mojadidi M.K., Gevorgyan R., Noureddin N., Tobis J.M. The Effect of Patent Foramen Ovale Closure in patients With Platypnea-Orthodeoxia Syndrome. Catheter Cardiovasc Interv. 2015 Oct;86(4):701


Carmen Tarsia
Cardiologa 
Ospedale Sant’ Eugenio, Roma