La straordinaria dieta italiana – così ricca in elementi benefici per il cuore, il cervello, il metabolismo ed i vasi – è stata spesso guastata nel passato dalla disponibilità economica di chi poteva permettersi di alterarla rendendola esageratamente ricca in carni rosse, a scapito dei vegetali. Più recentemente, con la fine della seconda guerra mondiale l’arrivo degli americani portò tante cose interessanti insieme alla libertà, da Scott Fitzgerald al Rock&Roll, ma anche errori dietetici tanto dannosi quanto di rapido successo. Ciò ha coinvolto anche la componente liquida presente da secoli sulla nostra tavola.
Spesso si dimentica, infatti, come della dieta italiana facciano parte anche le nostre acque, così diverse da regione a regione, l’olio extravergine di oliva, il vino ed il caffè. Tutti, come è noto, sono alimenti salubri, purché ingeriti cum grano salis. Purtroppo, essi sono anche spesso sostituiti con la ormai imperante birra – ottima, ma pur sempre dalle proprietà benefiche meno accertate e comunque apparentemente minori rispetto al vino (altrimenti, il paradosso sarebbe tedesco e non francese) – e/o le luciferine bevande addizionate surrettiziamente di glucosio oppure, peggio ancora, di fruttosio.
Il tè, in tale ambito, non è certo diventato una bevanda tipicamente italiana come il vino ed il caffè, ma sta senz’altro lentamente divenendo più comune. Ciò è un bene, poiché – a patto che non venga addizionato di inutili e perniciosi zuccheri – lo scuro o verde derivato dalle foglie Camellia sinensis è caratterizzato da una serie di proprietà protettive per il cuore, il cervello ed i vasi.
In un nostro recentissimo studio (1), la somministrazione di una piccola quantità di gustoso tè nero ha consentito di ridurre nel breve periodo la rigidità arteriosa (p < 0.0001) e la pressione arteriosa sistolica (-3.2 mmHg, p < 0.005) e diastolica (-2.6 mmHg, p < 0.0001) di un gruppo di pazienti ipertesi.
Particolare tanto curioso quanto attrattivo culturalmente nello stesso studio abbiamo anche dato a questi pazienti – ovviamente dopo approvazione del Comitato Etico – una dose di gustosissimo e nocivissimo “cibo spazzatura”, carico cioè di grassi, zuccheri e calorie. Orbene, non che con questo si voglia invitare i cardiologi a mangiare e far mangiare detto cibo, tutt’altro, ma è pur vero che il tè nero – in modo controllato versus placebo, randomizzato, cross-over ed in doppio cieco – è risultato in grado di ridurre in modo significativo l’impatto vascolare della “munnezza” in forma di cibo, impedendo l’”irrigidimento” acuto delle arterie e la salita di sistolica e diastolica.
Oggi, pertanto, dobbiamo ricordare quanto la dieta mediterranea sia in continuo divenire da almeno due millenni. I puristi, pertanto, non storcano il naso e non considerino l’ingresso lento, ma progressivo del tè tra le nostre bevande preferite come qualcosa da ostacolare. Melanzane, pomodori, caffè… tutto è arrivato gradualmente nei secoli sulle nostre tavole.
Ora “sdoganiamo” anche il tè: consumato senza avvelenarlo con lo zucchero o per annegare pasticcini ci farà solo bene.
Fonti:
Grassi D, Draijer R, Desideri G, Mulder T, Ferri C. Black tea lowers blood pressure and wave reflections in fasted and postprandial conditions in hypertensive patients: A randomised study. Nutrients 2015, 7, 1037-1051
Prof. Claudio Ferri
Direttore della Scuola di Medicina Interna
Università degli Studi L’Aquila