L’elettrocardiogramma (ECG) è nato con molte difficoltà, da parto distocico direbbe l’ostetrico, sia per la laboriosità di assemblare il registratore sia soprattutto per quella di interpretarne i segnali. Nella sua lunga vita, 120 anni, ha avuto fasi alterne di entusiasmo come durante i 20 anni in cui lo scopritore Einthoven, che non era medico, confezionò la prima grammatica di interpretazione assieme a un grande clinico di Londra, Sir Thomas Lewis. Ma già nel 1927, anno del Nobel allo scopritore, l’inglese se ne distaccava convinto che la tecnica avesse già dato il massimo.
Seguirono invece periodi di grandi scoperte e correlazioni con la clinica, che fecero capire sempre meglio come quei segnali tanto complicati esprimessero i cambiamenti nelle varie età e nelle differenti patologie, perfino nei due sessi e in altre razze. Un continuo rinnovamento quindi anche quando le nuove tecniche diagnostiche (ecocardiogramma, scintigrafie, RMN) pareva lo stessero archiviando.
Come succede di questi tempi, in cui alcuni giovani affascinati dal modernismo, quelli che portano lo stetoscopio a tracolla, ma spesso non lo sanno usare, vorrebbero andare subito alla risonanza magnetica per vedere cosa c’è dentro al cuore che non va. Tempi nei quali l’ECG, più facile da eseguire ma più difficile da interpretare, pone troppi dubbi e secondo loro fa perdere tempo. Al contrario invece, esso continua darci preziose informazioni, come durante la scoperta del QT lungo e di altre misteriose anomalie esiziali. E come quella per l’appunto pubblicata sul New England Journal of Medicine di novembre 2018, che ho intitolato come un allarme. E lo è effettivamente, ma per fortuna tra le evenienze più rare, poiché sono stati finora individuati solo alcuni casi in cinque famiglie. Quindi un allarme ben circoscritto, il quale tuttavia impone, oltre alla vigile attenzione del medico, alcune interessanti speculazioni.
Gli sventurati pazienti di queste famiglie mostravano casualmente, o durante un banale controllo, o dopo uno svenimento un’alterazione dell’ECG, che di per sé non era affatto originale: l’abbassamento di un suo tratto, lo stesso che il medico ricerca nelle prove da sforzo per la diagnosi di sospetta sofferenza coronarica; ma possibile anche in certi ingrossamenti del cuore per nulla preoccupanti o sotto l’azione di alcuni farmaci. In altre parole, un segno che, anche quando rivela un’ischemia coronarica, dà tempo agli accertamenti per quantificarne l’urgenza e il da farsi. Non è mai quindi così insidioso come è successo in quei nuovi casi riferiti dall’autorevole gruppo di ricercatori danesi e olandesi.
Quel segno, lo dico per la precisione, è un sottoslivellamento del tratto che ho sopra accennato e che si indica con le lettere ST, ma, ripeto, non è specifico dell’ischemia. In quei casi l’allarme del cardiologo era dovuto alla sua presenza in molte derivazioni, ossia su gran parte del cuore, in soggetti che non avevano motivo per averlo e soprattutto persisteva costante e immodificato nel tempo, anche di molti anni. Quest’ultimo dato, che si dissociava dai comuni eventi coronarici in cui gli spostamenti dell’ST seguono invece quelli delle sofferenze ischemiche del cuore, era guardato, sia pure con sospetto, come una specie di strana impronta personale in cuori “sani”, da controllare però nel tempo. E il tempo, sempre galantuomo, ha dato ragione all’allarme perché in una di quelle prime sventurate famiglie un paziente, dopo 19 anni di osservazione, all’età di 55, ebbe una fibrillazione atriale e otto anni dopo, ai 63, un arresto cardiaco da aritmia maligna, per fortuna rianimato; ma due anni dopo dovette arrendersi all’exitus. Due suoi parenti erano deceduti improvvisamente, indiagnosticati, due figli avevano il suo stesso ECG anomalo, e altri tre famigliari a un’età ancora giovane, tra i 40 e i 50, ebbero fibrillazione atriale.
In un’altra famiglia un giovane sedicenne fu colto da sincopi, aveva nell’ ECG quelle alterazioni e gli fu tentato il trapianto cardiaco, che purtroppo non superò; il padre e uno zio con analogo ECG ai 60 anni cominciarono ad avere fibrillazioni atriali e, dati i precedenti, al padre venne piantato un defibrillatore. Analoghi reperti e odissee si verificarono nelle altre tre famiglie riportate in quella pubblicazione.
In conclusione l’elettrocardiogramma ha consentito ancora oggi, epoca di nuove meraviglie tecnologiche, di individuare nuovi casi a rischio di morte improvvisa. Che sono evidentemente su base genetica, benché finora non sia stato possibile precisarne il profilo cromosomico. Sui quali casi tuttavia, in attesa di capire meglio il perché di quelle misteriose alterazioni dell’ECG, i moderni interventi terapeutici sono in grado di apportare qualche rimedio.
Per ora ci rimane la riflessione che anche quell’esame vecchio di 120 anni conferma il detto di Seneca “cotidie morimur”, ogni giorno può succedere.
Eligio Piccolo
Cardiologo