Un caffè al giorno toglie l’aritmia di torno
di Laura Gatto
08 Agosto 2021

Bere più di un caffè al giorno riduce il rischio di sviluppare aritmie, è questo il risultato principale di uno studio pubblicato sull’ultimo numero della rivista internazionale JAMA Internal Medicine [1].

Il caffè rappresenta la prima fonte di caffeina per la maggior parte delle persone ed è opinione comune che la sua assunzione sia correlata al manifestarsi di aritmie. In effetti la caffeina potrebbe comportarsi come agente pro-aritmico in considerazione di alcuni suoi effetti biologici, come ad esempio l’incremento dei livelli sierici di catecolamine ed il rilascio di calcio dal reticolo saracoplasmatico con conseguente ritardo nella depolarizzazione [2]. Studi osservazionali poco numerosi ed ormai datati supportano il concetto che la caffeina si associ ad un aumento del rischio di aritmie [3-4] e per tale motivo le linee guida suggeriscono di limitarne e/o di evitarne l’assunzione soprattutto ai pazienti più suscettibili [5].

Dall’altra parte, tuttavia, il consumo di caffè può esplicare effetti positivi grazie alle proprie proprietà antiossidanti ed antinfiammatorie e ci sono evidenze che si correli ad un ridotto rischio di neoplasie, diabete, morbo di Parkinson e ad una ridotta mortalità. Una recente revisione di 201 metanalisi ha inoltre concluso che bere caffè ha effetti più benefici che dannosi [6].

Lo scopo dello studio di Kim e coll. è stato quello di correlare l’assunzione di caffè con la possibilità di sviluppare episodi aritmici [1]. Si tratta di uno studio prospettico e di coorte che ha analizzato i dati provenienti dalla UK Biobank raccolti tra il 2006 ed il 2018. I partecipanti hanno completato un questionario riguardo le proprie abitudini di assunzione quotidiana di caffè ed in base alle quali sono stati raggruppati in otto categorie: zero, minore di uno, 1,2, 3, 4, 5, 6, più di 6 tazze al giorno. L’endpoint primario dello studio è stato il verificarsi, durante il periodo di osservazione, di qualsiasi tipo di aritmia: fibrillazione atriale, flutter atriale, tachicardia sopraventricolare, tachicardia ventricolare, extrasistoli ventricolari e sopraventricolari. I soggetti con pregressa diagnosi di queste aritmie sono stati esclusi.

Tra i 502.543 soggetti inseriti nella UK Biobank il consumo medio di caffè è stato di due tazze al giorno e dopo l’applicazione dei criteri di esclusione, 386.258 soggetti sono stati inseriti nell’analisi finale e suddivisi in tre gruppi: non bevitori di caffè (83.228), coloro che assumevano meno di 2 caffè al giorno (105.187) e coloro che assumevano ≥ 2 caffè al giorno (195.555). L’età media è stata di 56 anni, con il 52.3% di donne. I pazienti arruolati nel sottogruppo ≥ 2 caffè al giorno erano generalmente più anziani, mostravano una maggiore incidenza di vasculopatia periferica e neoplasie, erano più frequentemente fumatori attivi e consumatori di bevande alcoliche, ma presentavano un minor tasso di ipertensione arteriosa, diabete ed insufficienza renale cronica.

Durante il periodo di osservazione di circa 4 anni, si sono verificati 16.369 episodi aritmici: 12.811 fibrillazione/flutter atriale, 1920 tachicardie sopraventricolari, 909 tachicardie ventricolari, 97 extrasistoli sopraventricolari, 632 extrasistoli ventricolari e 610 aritmie non specificate. Dopo aggiustamento per le principali caratteristiche cliniche (età, sesso, razza, etnia, ipertensione, diabete, dislipidemia, coronaropatia, scompenso cardiaco, valvulopatia significativa, arteriopatia periferica, insufficienza renale cronica, neoplasia, livello educazionale, fumo, consumo di alcool e di the, attività fisica), l’assunzione di ogni tazza addizionale di caffè è risultata associata ad una riduzione di circa il 3% del verificarsi di qualsiasi aritmia (hazard ratio [HR], 0.97; CI, 0.96-0.98;P < .001). Per quanto riguarda la correlazione con i diversi tipi di aritmia, è stata riscontrata una riduzione statisticamente significativa per la fibrillazione/flutter atriale (HR,0.97; 95% CI,0.96-0.98; P < .001) e per le tachicardie sopraventricolari (HR,0.96; 95% CI, 0.94-0.99; P = .002); per le aritmie ventricolari è stato osservato un trend che non ha però raggiunto la significatività statistica.

Per confermare questi risultati è stata eseguita anche un’analisi genetica per individuare i soggetti con mutazioni associate ad un ridotto metabolismo della caffeina. È noto come più del 95% di tale sostanza venga metabolizzata dal citocromo CYP1A2 e la variabilità di questo enzima è fortemente correlata con variazioni nel metabolismo della caffeina e conseguentemente con l’assunzione quotidiana di caffè, che tende ad essere ridotta in coloro che lo metabolizzano più lentamente [7]. Le analisi condotte hanno escluso qualsiasi associazione significativa tra le mutazioni genetiche associate con il ridotto metabolismo della caffeina ed il rischio di manifestare aritmie.

Gli autori hanno quindi concluso che in questo numeroso studio prospettico l’assunzione abituale di maggiori quantità di caffè è inversamente associato al rischio di andare incontro ad episodi aritmici, soprattutto aritmie atriali e tachicardie sopraventricolari. Molteplici fattori sono stati chiamati in causa per spiegare questo possibile effetto protettivo: per esempio la fibrillazione atriale tende ad insorgere nel contesto di un periodo refrattario atriale più breve e la caffeina sembra allungare il periodo refrattario atriale. Inoltre la caffeina blocca i recettori dell’adenosina, sostanza che si comporta da trigger per l’insorgenza di aritmie atriali. Le proprietà antiossidanti ed antinfiammatorie del caffè possono svolgere un ruolo altrettanto importante, dal momento che l’infiammazione rappresenta un substrato importante per l’insorgenza di aritmie attraverso diversi meccanismi. Infine, le proprietà catecolaminergiche della caffeina potrebbero proteggere dalle aritmie ventricolari oppure dagli episodi aritmici suscitati dall’ ipertono vagale [1].

Lo studio presenta sicuramente il limite che si tratta di un non randomizzato ed i cui risultati si basano sulla raccolta di informazioni fornite dai soggetti inclusi e non ulteriormente verificate, ma trova i suoi punti di forza nella numerosità della popolazione, nella durata del follow-up  e nel fatto che gli episodi aritmici sono stati documentati con accuratezza. Tali dati si inseriscono nel contesto di altre evidenze sugli effetti positivi della caffeina e potranno contribuire a sfatare alcuni falsi miti tradizionalmente correlati all’assunzione di questa sostanza.

Bibliografia

  1. Kim EJ, Hoffmann TJ, Nah G, et al. Coffee Consumption and Incident Tachyarrhythmias: Reported Behavior, Mendelian Randomization, and Their Interactions. JAMA Intern Med 2021 Jul 19.  doi: 10.1001/jamainternmed.2021.3616. Online ahead of print
  2. Robertson D, Frolich JC, Carr RK, et al. Effectsof caffeine on plasma renin activity, catecholamines and blood pressure. N Engl J Med. 1978;298:181-186
  3. Prineas RJ, Jacobs DR Jr, Crow RS, Blackburn H. Coffee, tea and VPB. J Chronic Dis. 1980;33:67-72
  4. Wilhelmsen L, Rosengren A, Lappas G. Hospitalizations for atrial fibrillation in the general male population: morbidity and risk factors. J Intern Med. 2001;250:382-389
  5. Al-Khatib SM, StevensonWG, Ackerman MJ, et al. 2017 AHA/ACC/HRS guideline for management of patients with ventricular arrhythmias and the prevention of sudden cardiac death: a report of the American College of Cardiology/American Heart Association Task Force on Clinical Practice Guidelines and the Heart Rhythm Society. Circulation. 2018;138:e272-e391.
  6. Poole R, Kennedy OJ, Roderick P, Fallowfield JA, Hayes PC, Parkes J. Coffee consumption and health: umbrella review of meta-analyses of multiple health outcomes. BMJ. 2017;359:j5024
  7. Thorn CF, Aklillu E, Klein TE, Altman RB. PharmGKB summary: very important pharmacogene information for CYP1A2. Pharmacogenet Genomics. 2012;22:73-77