Timing della CRT e outcome: dati dallo Swedish ICD and Pacemaker Registry
di Vittoria Rizzello - Christian Basile
28 Ottobre 2025

La terapia di resincronizzazione cardiaca (CRT, Cardiac Resynchronization Therapy) ha dimostrato di ridurre mortalità ed ospedalizzazioni per scompenso cardiaco (SC) nei pazienti con SC a frazione di eiezione ridotta (SCrFE) e blocco di branca sinistro in trial condotti in un’epoca di limitata terapia per lo SC. Sulla base di queste evidenze le linee guida internazionali raccomandano la CRT in classe I nei pazienti con QRS>150msec, persistentemente sintomatici dopo ottimizzazione terapeutica (1-2). Tuttavia, il momento ottimale per eseguire l’impianto dopo che il paziente ha raggiunto una terapia medica stabile (TMS) non è ben definito.

Per chiarire questo aspetto clinicamente molto rilevante, un gruppo internazionale di ricercatori, coordinati dal Prof. Gianluigi Savarese, ha condotto uno studio, che ha utilizzato i dati del Swedish ICD and Pacemaker Registry per analizzare, su una popolazione di pazienti con SCrFE sottoposti ad impianto di CRT, se il tempo trascorso tra il raggiungimento della TMS e l’impianto della CRT influenzasse e come la mortalità e le ospedalizzazioni per scompenso. Inoltre, sono stati identificati i fattori clinici associati a tempi di impianto. I risultati sono stati recentemente pubblicati su JACC-Heart Failure (3).

Il lavoro ha incluso 9.409 pazienti con SCrFE sottoposti, dopo ottimizzazione della terapia farmacologica, a CRT tra il 2007 e il 2020. La stabilità della terapia medica è stata definita in base all’ultimo aumento di dose o al nuovo inserimento dei farmaci raccomandati dalle linee guida (GDMT) per la gestione dei pazienti con SCrFE. Sono stati considerati tre intervalli di tempo diversi tra il raggiungimento della TMS e l’impianto della CRT: <3 mesi, tra 3 e 9 mesi e >9 mesi.  Il 43.8 % dei pazienti ha ricevuto la CRT entro 3 mesi dalla stabilità medica; il 34.9 % tra 3 e 9 mesi e il 21.3 % oltre 9 mesi. Nel corso del periodo di studio, l’intervallo tra TMS e impianto di CRT si è ridotto progressivamente, indicando una tendenza ad impiantare più precocemente nel tempo. Il 51.4% dei pazienti era in triplice GDMT, con il 93.1% di pazienti che assumeva inibitori del sistema renina angiotensina o sacubitril/valsartan (quest’ ultimo nel 30% dei pazienti tra il 2017 e il 2020), l’89.2% beta-bloccanti e 60% anti-aldosteronici.

I fattoririsultati associati a intervalli più brevi tra TMS e impianto di CRT (<3 mesi) sono stati:recente ospedalizzazione per SC, precedente impianto di defibrillatore, maggiore impiego di GDMT. I fattori associati a intervalli di impianto più lunghi sono stati:
la storia di SC di lunga durata (> 6 mesi) e l’origine ischemica dello SC.

Dopo aggiustamento per molteplici variabili confondenti, l’impianto di CRT entro 3 mesi (vs 3-9 mesi) è stato associato a una riduzione del rischio di morte cardiovascolare (CV) del 9% (P = 0.045), per contro, l’impianto oltre 9 mesi (vs 3-9 mesi) è stato associato a:
  +13 % di rischio di morte CV /ospedalizzazione per SC (P=0.003)
  +12 % di rischio di morte CV (P=0.040)
  +11 % di rischio di prima ospedalizzazione per SC (P = 0.013)

Considerazioni

Il lavoro di Villaschi et al. presenta diversi aspetti interessanti, meritevoli di commento.

Innanzitutto, i dati presentati chiaramente indicano la presenza, nel mondo reale, di una latenza non irrilevante tra il raggiungimento della terapia ottimizzata o tollerata e l’impianto della CRT. Questa latenza può essere determinata da molteplici fattori che possono essere associati alle caratteristiche cliniche dei pazienti, all’approccio dei medici che hanno in cura i pazienti e all’organizzazione dei vari setting assistenziali in cui i pazienti con SC sono gestiti. In effetti, fattori predittivi di impianto più precoce sono risultati la recente ospedalizzazione per SC e il precedente impianto di ICD che identificano pazienti sicuramente più gravi, in cui l’intervento è ragionevolmente prioritizzato, mentre in pazienti più stabili può esserci una tendenza a ritardare la CRT. E’ infatti noto che purtroppo il raggiungimento di una fase di stabilità clinica nello SC può erroneamente far considerare il paziente meno a rischio e ciò può portare ad inerzia terapeutica che in questo contesto può tradursi in un allungamento dei tempi dell’impianto. Inoltre, l’accessibilità all’intervento di CRT può non essere uniforme e condizionare in alcuni contesti assistenziali tempi più lunghi.

L’associazione tra ritardo nell’impianto e maggiore durata dello SC o un’origine ischemica può essere dovuta alla diffusa percezione di ridotta efficacia della CRT in pazienti con storia più lunga di SC o in pazienti con origine ischemica. In realtà, mentre non vi siano certezze circa un esito sfavorevole della CRT nei pazienti con SC di più lunga data, una recente meta-analisi di sette trial randomizzati ha documentato nessuna differenza di efficacia della CRT tra eziologia ischemica e non ischemica dello SC (4).

Molto rilevante è l’osservazione di un importante impatto prognostico della tempistica di impianto della CRT che si traduce in una significativa riduzione della mortalità CV con un impianto precoce rispetto a intervalli di tempo più lunghi. Al contrario, procrastinare l’impianto oltre nove mesi dalla stabilizzazione terapeutica comporta un aumento del rischio di morte CV e di ospedalizzazione per SC rispetto a quanto osservato nei pazienti sottoposti all’intervento in tempi intermedi. Questi risultati sottolineano l’importanza di implementare precocemente la CRT, una volta ottimizzata la terapia farmacologica, per massimizzare i benefici clinici e ridurre il rischio di eventi avversi. L’attuazione delle recenti raccomandazioni delle linee guida (1-2), basate sui risultati del trial STRONG-HF (5), che raccomandano l’ implementazione precoce (entro 6 settimane) e possibilmente simultanea della GDMT potrebbe facilitare un più precoce utilizzo della CRT con conseguente probabile beneficio prognostico.

Ovviamente i dati del registro svedese, essendo necessariamente retrospettivi, non possono confermare il ruolo causale della tempestività dell’impianto nel miglioramento dell’outcome dei pazienti con SCrFE trattati con CRT.  Pertanto, sono sicuramente auspicabili studi randomizzati che valutino le tempistiche della CRT rispetto all’implementazione delle più attuali GDMT (comprensive di SGLT2-inibitori e di alte percentuali di ARNI).

REFERENCES

  1. McDonagh T.A., Metra M., Adamo M., et al. 2021 ESC Guidelines for the Diagnosis and Treatment of Acute and Chronic Heart Failure. Eur Heart J. 2021;42(36):3599-3726.
  2. Heidenreich P.A., Bozkurt B., Aguilar D., et al. 2022 AHA/ACC/HFSA Guideline for the Management of Heart Failure: A Report of the American College of Cardiology/American Heart Association Joint Committee on Clinical Practice Guidelines. Circulation. 2022;145(18):e895-e1032.
  3. Villaschi A, Basile C, Benson L, et al.Timing of Cardiac Resynchronization Therapy Following Stable Medical Therapy in Patients With Heart Failure. JACC Heart Fail. 2025 Oct;13:102515. doi: 10.1016/j.jchf.2025.102515.
  4. Sudesh S, Abraham WT, Cleland JGF, et al. Cardiac Resynchronization Therapy in Ischemic Versus Nonischemic Cardiomyopathy: Patient-Level Meta-Analysis of 7 Randomized Clinical Trials. JACC Heart Fail. 2024;12:1915-1924.
  5. Mebazaa A, Cotter G, Davison B, et al. Safety, tolerability and efficacy of up-titration of guideline-directed medical therapies for acute heart failure (STRONG-HF): a multinational, open-label, randomised, trial. Lancet. 2022;400:1938-1952.