Nei pazienti fragili e con fibrillazione atriale non valvolare lo switching dalla terapia con anticogulanti antagonisti della vitamina K agli anticoagulanti diretti si associa ad un incremento del rischio emorragico in assenza di benefici sulle complicanze tromboemboliche: sono questi i risultati principali del FRAIL-AF trial, presentati durante l’ultimo congresso della Società Europea di Cardiologia tenutosi ad Amsterdam e contemporaneamente pubblicati sulla prestigiosa rivista Circulation [1].
Si tratta di un trial randomizzato, open label, pragmatico, di superiorità, che ha coinvolto otto diversi centri olandesi. Sono stati arruolati pazienti con età ≥ 75 anni, già in trattamento anticoagulante orale con antagonisti della vitamina K per fibrillazione atriale non valvolare e definiti fragili per la presenza di un Groningen Fraill Indicator (GFI) > 3. Il GFI è un questionario che definisce la fragilità in base a 15 semplici domande che valutano differenti aspetti (mobilità, stato cognitivo, stato nutrizionale, attività psicosociali, comorbidità) ed ampiamente validato in differenti popolazioni [2]. Sono stati esclusi pazienti con fibrillazione atriale valvolare (protesi valvolari meccaniche e/o con stenosi valvolare mitralica reumatica severa) e quelli con insufficienza renale (EGFR < 30 ml/min/1.73m2).
I pazienti eleggibili sono stati randomizzati a continuare con una strategia anticoagulante basata sull’impiego di antagonisti della vitamina K con INR compreso tra 2 e 3 (gruppo controllo) oppure ad effettuare lo switching verso una strategia anticoagulante basata sull’impiego di anticoagulanti diretti (DOAC) (gruppo switching). Inizialmente lo switching veniva effettuato quando i valori di INR erano inferiori a 2, tuttavia dopo una prima analisi del trial che ha suggerito una maggiore incidenza di eventi emorragici proprio durante il periodo in cui veniva effettuato il passaggio, è stato stabilito che lo switching tra i due regimi di anticoagulante venisse fatto solo in presenza di valori di INR < 1.3. La scelta del tipo di DOAC e del dosaggio veniva lasciata a discrezione dell’operatore in base alle caratteristiche del paziente ed alle schede tecniche dei 4 differenti principi attivi disponibili.
L’endpoint primario dello studio è stato il verificarsi di sanguinamenti maggiori o di sanguinamenti non maggiori ma clinicamente rilevanti (CRNM) secondo la definizione ISTH [3]. Isanguinamenti maggiori sono stati considerati quelli fatali, quelli in organi critici (intracranici, intraspinali, oculari, retroperitoneali, articolari, pericardici o muscolari con sindrome compartimentale), quelli con riduzione dell’emoglobina di almeno 2 g/dl e quelli che hanno richiesto la trasfusione di almeno 2 sacche di emazie concentrate. I sanguinamenti CRNM sono stati considerati quelli non maggiori ma che abbiano richiesto un qualsiasi tipo di intervento medico. Gli endpoint secondari hanno incluso: la mortalità per tutte le cause, le complicanze emorragiche (maggiori e CRNM valutate singolarmente), gli eventi tromboemboilici (ictus, attacco ischemico transitorio, eventi tromboembolici periferici), il composito di eventi ischemici ed emorragici ed il composito di stroke ischemico ed emorragico.
Da Giugno 2018 ad Aprile 2022 2621 soggetti sono stati screenati, ma lo studio ne ha randomizzato solo 1330. Dopo la randomizzazione 7 pazienti sono stati esclusi, pertanto la popolazione finale “intention to treat” (ITT) su cui sono state effettuate tutte le analisi ha incluso 661 pazienti nel gruppo controllo e 663 pazienti nel gruppo switching. L’età media è stata di 83 anni, mentre il GFI score medio è stato pari a 4. Nel gruppo switching: 57 pazienti (8.6%) sono passati a dabigatran, 332 (50.2%) a rivaroxaban, 115 (17.4%) ad apixaban e 109 (16.5%) ad edoxaban; in 22 casi (3.3%) lo switching non è stato effettuato nonostante il risultato della randomizzazione; nei soggetti rimanenti non si hanno notizie del DOAC scelto. Nella maggior parte dei casi il dosaggio del DOAC è stato stabilito seguendo le indicazioni delle linee guida, in 44 pazienti (6.6%) la scelta del basso dosaggio è stata giudicata off-label. La durata media del follow-up è stata di 344 giorni, in cui sono stati documentati 90 decessi (44 nel gruppo switching e 46 nel gruppo controllo), di cui 31 sono stati attributi a causa cardiovascolare (12 nel gruppo switching e 19 nel gruppo controllo). L’incidenza di sanguinamenti fatali è stata la stessa (5 in entrambi i gruppi).
Dopo il verificarsi di 163 eventi emorragici inclusi nell’outcome primario (101 nel gruppo switching e 62 nel gruppo controllo), il comitato del trial ha deciso di interromperlo prematuramente per “futilità”, in considerazione del fatto che non era possibile raggiungere l’obiettivo principale dello studio, vale a dire che una strategia anticoagulante basata sullo switching da anticoagulanti tradizionali ad anticoagulanti diretti fosse superiore nella prevenzione dei sanguinamenti in una popolazione di anziani fragili affetti da fibrillazione atriale non valvolare. Dopo la chiusura anticipata, il follow-up è stato comunque completato nei pazienti arruolati ed alla fine il gruppo switching ha presentato, rispetto al gruppo controllo, un rischio di emorragie maggiori e CRNM aumentato di 1.69 volte (p= 0.00112). Il braccio trattato con DOAC ha dimostrato una maggiore incidenza di sanguinamenti gastrointestinali (17 vs 4) ed urogenitali (20 vs 11), tuttavia non ci sono state differenze negli stroke emorragici (7 vs 6). Le curve di Kaplan Meier dimostrano che per quanto riguarda il timing dei sanguinamenti, il rischio maggiore si è verificato nella seconda parte del follow-up (a partire dal 100° giorno). Le analisi per sottogruppi non hanno mostrato differenze significative in base ad età, genere, GFI score e funzione renale. Sono state invece riscontrate delle differenze in merito al tipo di DOAC: il rischio di eventi emorragici è stato infatti similmente elevato per rivaroxaban (HR 1.95) ed apixaban (HR 2.17) ed apparentemente più basso per edoxaban (HR 1.10). Tuttavia gli stessi autori sottolineano come questi risultati debbano essere interpretati con molta cautela dal momento che si tratta di un’analisi post-hoc e la scelta del tipo di DOAC non è stata randomizzata. L’analisi degli endpoint secondari ha rilevato che l’endpoint emorragico è stato guidato soprattutto dal verificarsi, nel braccio DOAC, dei sanguinamenti CRNM (HR 1.77). L’incidenza di eventi tromboembolici è stata invece sovrapponibile tra i due gruppi (HR 1.26), così come la mortalità per tutte le cause (HR 0.96) e l’endpoint combinato ictus ischemico ed emorragico (HR 1.3).
Gli autori del FRAIL AF trial hanno quindi concluso che in pazienti anziani fragili, affetti da fibrillazione atriale non valvolare, già in trattamento con antagonisti della vitamina K, lo switching ad anticoagulanti diretti si associa ad un aumento significativo dei sanguinamenti, in assenza di beneficio in temini di riduzione di eventi tromboembolici. I risultati di questo studio hanno suscitato grande scalpore, in quanto sin dalla loro introduzione nell’arena clinica, i DOAC hanno dimostrato un eccellente profilo di sicurezza, anche nei pazienti a maggior rischio emorragico, tanto da essere considerati i farmaci di scelta nel momento in cui si decide di intraprendere un regime di anticoagulazione in assenza di controindicazioni alla loro prescrizione. Questo studio ha sicuramente avuto il grande merito di essersi concentrato su un sottogruppo di pazienti, quelli anziani e con fragilità, che tradizionalmente sono stati esclusi dai trial registrativi sui DOAC. Gli studi di real word hanno però dimostrato che in questo setting l’impiego dei DOAC è sicuro, soprattutto quando si tratti di pazienti naive, cioè mai sottoposti a terapia anticoagulante. Probabilmente proprio questo è un punto chiave per spiegare i risultati di questo studio: il fatto che i soggetti in cui veniva effettuato lo switching erano già in trattamento con inibitori della vitamina k da diverso tempo (la media di durata della fibrillazione atriale era di 12 anni) ha potuto creare una sorta di bias di selezione, in quanto sono stati individuati quei soggetti che per quanto fragili e con età avanzata, comunque erano capaci di gestire l’assunzione della terapia, dimostrando una buona tolleranza e valori di INR a target in almeno il 70% delle misurazioni. Anche questo dato contraddice quelli della real life, in cui la percentuale di i pazienti con INR a target è di gran lunga inferiore. L’atro punto da sottolineare riguarda la tipologia dei sanguinamenti: si è registrata una incidenza maggiore di quelli CRNM, soprattutto a carico del tratto gastrointestinale che magari potevano essere sensibilmente ridotti con una gastroprotezione adeguata o potenziata. Non ci sono state invece differenze significative nei sanguinamenti fatali ed intracranici, che tradizionalmente sono quelli che impattano maggiormente sulla prognosi. Infine la numerosità del campione, troppo esigua per poterci portare a delle conclusioni definitive sull’argomento. Lo studio FRAIL AF, a mio avviso, ci fornisce un suggerimento: nei pazienti fragili ed anziani in cui la terapia con anticoagulanti tradizionali è già stata intrapresa, è ben tollerata e con target di INR adeguato, la scelta di continuare con questa strategia rappresenta, al momento, un’opzione sicura e percorribile.
Bibliografia di riferimento
- Joosten LPT, van Doorn S, van de Ven PM, Köhlen BTG, Nierman MC, Koek HL, Hemels MEW, Huisman MV, Kruip M, Faber LM, Wiersma NM, Buding WF, Fijnheer R, Adriaansen HJ, Roes KC, Hoes AW, Rutten FH, Geersing GJ.Safety of Switching from a Vitamin K Antagonist to a Non-Vitamin K Antagonist Oral Anticoagulant in Frail Older Patients with Atrial Fibrillation: Results of the FRAIL-AF Randomized Controlled Trial. Circulation. 2023 Aug 27. doi:10.1161/CIRCULATIONAHA.123.066485. Online ahead of print.
- Steverink N, Slaets J, Schuurmans H, van Lis M. Measuring frailty: Developing and testing the GFI (Groningen Frailty Indicator). Gerontologist. 2001;41:236–237.
- Schulman S, Kearon C. Definition of major bleeding in clinical investigations of antihemostatic medicinal products in non-surgical patients. Journal of Thrombosis and Haemostasis. 2005;3:692–694.
- Kaatz S, Ahmad D, Spyropoulos AC, Schulman S. Definition of clinically relevant non-major bleeding in studies of anticoagulants in atrial fibrillation and venous thromboembolic disease in non-surgical patients: Communication from the SSC of the ISTH. Journal of Thrombosis and Haemostasis. 2015;13:2119–2126.