L’utilizzo della Risonanza Magnetica Cardiaca (CMR), attraverso l’analisi di differenti parametri, è in grado di migliorare la predizione del rischio di eventi clinici nei pazienti con cardiomiopatia dilatativa non ischemica (NIDCM). Questo è quanto emerge da una meta-analisi recentemente pubblicata su JAMA (1).
La NIDCM presenta una mortalità a 5 anni che raggiunge il 20%, sia per insufficienza cardiaca progressiva che per morte cardiaca improvvisa (SCD). In particolare la NIDCM, con un’incidenza annuale del 2% al 3%, è responsabile di proporzioni considerevoli di SCD. Per ridurre tale evento circa 100.000 defibrillatori (ICD) vengono impiantati in prevenzione primaria, ogni anno, in soggetti con NIDCM nei soli Stati Uniti. E ciò avviene nonostante che gli studi clinici abbiano ripetutamente fallito nel dimostrare i benefici di sopravvivenza a lungo termine dell’impianto profilattico di ICD guidato dagli attuali criteri di selezione dei pazienti che si basano sul valore di frazione d’eiezione ventricolare sinistra (FEVS) pari o inferiore al 35% come unico criterio di imaging (2-4). Solo il trial DANISH (5) ha infatti dimostrato un beneficio nella mortalità per tutte le cause ma esclusivamente per il sottogruppo di pazienti di età pari o inferiore a 70 anni. Da notare, inoltre, che la maggior parte dei pazienti con NIDCM che ricevono un ICD in prevenzione primaria non ricevono shock appropriati dopo una durata media di follow-up di 5,3 anni. Per di più continua ad esserci un rischio sproporzionato di SCD in pazienti con una riduzione della contrattilità solo lieve o moderata. Tutto ciò dimostra che la corretta stratificazione del rischio resta una delle principali esigenze cliniche insoddisfatte per i pazienti affetti da questa malattia complessa ed eterogenea. La CMR con le sue potenzialità uniche di valutazione non invasiva e multiparametrica della funzione miocardica, della morfologia e delle caratteristiche tessutali potrebbe rappresentare una possibile soluzione.
Nella meta-analisi di JAMA, condotta su 103 studi per un totale di 29.687 pazienti, si è valutata l’associazione tra diversi parametri desunti dalla CMR [FEVS, presenza ed estensione del Late Gadolinium Enhanchement (LGE), tempi di rilassamento T1 nativi, quantificazione della frazione di volume extracellulare (ECV), e stress longitudinale globale (GLS)] e gli esiti clinici avversi in pazienti con NIDCM. LGE ed ECV sono markers di fibrosi, il tempo di rilassamento T1 è indice di caratterizzazione tessutale mentre il GLS, infine, è spia di iniziale disfunzione contrattile. La maggior parte degli studi inclusi erano prospettici (51%) e monocentrici (77%). La durata mediana del follow-up è stata di 37,8 mesi. I pazienti erano prevalentemente maschi (71,1%) con età mediana di 55 anni e FEVS gravemente ridotta (FEVS, 29,5%).
La presenza di LGE si è associata con un aumento statisticamente significativo del rischio di mortalità per tutte le cause (HR, 1,81; P < 0,001), mortalità cardiovascolare (HR, 2,43; P < .001), eventi aritmici (HR, 2,69; P < ,001), insufficienza cardiaca (HR, 1,98; P < 0,001) e MACE (HR, 2,09; P < 0,001).
Rischi statisticamente significativamente più elevati di mortalità per tutte le cause (HR, 1,07; P = 0,02), mortalità cardiovascolare (HR, 1,15; P = 0,01), eventi aritmici (HR, 1,07; P = .004), eventi di insufficienza cardiaca (HR, 1,06; P = 0,02) e MACE (HR, 1,03; P < 0,001) sono stati osservati per ogni aumento dell’1% dell’estensione del LGE.
Nessuna associazione significativa è stata invece osservata tra mortalità per tutte le cause (HR, 0,99; P = .47), mortalità cardiovascolare (HR, 0,97; P = 0,05) ed eventi aritmici (HR, 0,99 [95% CI, 0,97-1,01]; P = 0,34) per ogni aumento dell’1% della FEVS.
Ogni aumento di 10 ms dei tempi di rilassamento T1 nativi, infine, è risultato associarsi ad un aumento statisticamente significativo del rischio di eventi aritmici (HR, 1,07; P = 0,04) e MACE (HR, 1,06; P = 0,03).
La scarsità di dati ha invece impedito la valutazione dell’associazione tra ECV e GLS con gli eventi clinici.
Il significato della meta-analisi è sicuramente limitato dall’elevata percentuale di studi retrospettivi e monocentrici, dall’eterogeneità tra gli studi, sia metodologica che tecnologica, nonché dall’inclusione prevalente di pazienti con compromissione contrattile avanzata che impedisce l’estrapolazione dei risultati ai pazienti in stadi precoci della malattia. Ciò nonostante dallo studio si ricavano importanti informazioni e i principali risultati possono essere così riassunti:
1) Sia la presenza che l’estensione dell’LGE si associano con mortalità per tutte le cause, mortalità cardiovascolare, aritmie, insufficienza cardiaca e MACE;
2) è stata riscontrato che una FEVS più elevata si associa a un minor rischio di eventi di insufficienza cardiaca e MACE ma non è stata riscontrata alcuna associazione significativa con la mortalità per tutte le cause, la mortalità cardiovascolare e il rischio aritmico; ossia la FEVS non era significativamente associata alla mortalità per tutte le cause e agli eventi aritmici con solo una tendenza verso un minor rischio di mortalità cardiovascolare (HR, 0,97; P = 0,05) per valori più elevati di LVEF.
3) rischi più elevati di eventi aritmici e MACE sono stati osservati con tempi di rilassamento T1 nativi più elevati;
Nel complesso, questi risultati da un lato gettano ulteriori dubbi sull’utilità della FEVS nella stratificazione del rischio e nella selezione dei pazienti candidati ad ICD e dall’altro rafforzano il concetto di incorporazione del rilevamento e della quantificazione del LGE nell’algoritmo decisionale.
Gli studi randomizzati in corso (CMR-ICD e BRITANNICO) in pazienti con NIDCM, FEVS < 35% ed evidenza di LGE alla CMR, forniranno probabilmente risposte definitive alla domanda se la valutazione LGE può migliorare concretamente la gestione di questi pazienti ma non potranno chiarire il significato della valutazione LGE come criterio di selezione per l’impianto profilattico di ICD nei pazienti con funzione sistolica non gravemente ridotta (FEVS >35%). Studi prospettici su larga scala, infine, saranno anche necessari per determinare se altre misure della fibrosi interstiziale, come i tempi di rilassamento T1 e l’ECV, possono fornire valore prognostico incrementale rispetto alla rilevazione del LGE.
Bibliografia:
- Eichhorn C, Koeckerling D, Reddy RK et al. Risk Stratification in nonischemic Dilated Cardiomyopathy Using CMR Imaging A Systematic Review and Meta-Analysis. JAMA. doi:10.1001/jama.2024.13946
- Poole JE, Olshansky B, Mark DB, et al; SCD-HeFT Investigators. Long-term outcomes of implantable cardioverter-defibrillator therapy in the SCD-HeFT. J AmColl Cardiol. 2020;76(4):405-415.
- Kadish A, Dyer A, Daubert JP, et al; Defibrillators in Non-Ischemic Cardiomyopathy Treatment Evaluation (DEFINITE) Investigators. Prophylactic defibrillator implantation in patients with nonischemic dilated cardiomyopathy. N Engl J Med. 2004;350(21):2151-2158.
- Kober L, Thune JJ, Nielsen JC, et al; DANISH Investigators. Defibrillator implantation in patients with nonischemic systolic heart failure. N Engl J Med. 2016;375(13):1221-1230
- Yafasova A, Butt JH, Elming MB, et al. Long-term follow-up of DANISH (The Danish Study to Assess the Efficacy of ICDs in Patients With Nonischemic Systolic Heart Failure on Mortality). Circulation. 2022;145(6):427-436.