STEMI tardivo: siamo sicuri che sia meglio evitare la rivascolarizzazione?
di Flavio G. Bicciré intervista L. Bolognese
09 Ottobre 2021

F. G. Biccirè: Prof. Bolognese qual è l’incidenza di presentazione tardiva dello STEMI nel nostro paese?

L. Bolognese: Sebbene la percentuale di presentazioni tardive tra i pazienti con infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) sembra essere diminuita nel corso dei decenni, dal 10% al 12% dei pazienti con STEMI si presenta ancora oggi dopo 12 ore dall’insorgenza dei sintomi.

F. G. Biccirè: qual è la prognosi di questi pazienti?

L. Bolognese: In un recente, ampio, registro nazionale prospettico coreano, i pazienti con STEMI e presentazione tardiva (da 12 a 48 ore dall’insorgenza dei sintomi) hanno avuto esiti clinici notevolmente peggiori rispetto ai pazienti con presentazione precoce, anche se la presentazione ≥12 ore dall’insorgenza dei sintomi non era indipendentemente associata all’aumento della mortalità. Veniva inoltre riscontrata una relazione inversa fra il ricorso all’angioplastica coronarica (PCI) e il tasso di mortalità tra presentazioni precoci (<12 h) e tardive (da 12 a 48 h), indicando che il diverso approccio terapeutico e in particolare il ricorso alle procedure interventistiche potrebbe influenzare gli esiti clinici dei pazienti con STEMI e presentazione tardiva

F. G. Biccirè: si potrebbe quindi pensare che il limite delle 12 ore non sia attendibile?

L. Bolognese: il limite di 12 ore è stato identificato sulla base degli studi sulla fibrinolisi che non hanno dimostrato una riduzione della mortalità nei pazienti con STEMI a presentazione tardiva e sui modelli animali che riportano una evoluzione verso la necrosi di tutto il miocardio a rischio ben prima delle 12 ore di occlusione coronarica. Tuttavia, tali dati potrebbero essere inadeguati nell’era moderna della PCI primaria

F. G. Biccirè: quali potrebbero essere i benefici della riperfusione tardiva?

L. Bolognese: mentre l’ipotesi dell’arteria aperta “precoce” è stata costantemente confermata, l’ipotesi dell’arteria aperta “tardiva” (cioè, la riperfusione di un’arteria occlusa correlata all’infarto in un momento troppo tardivo per il salvataggio miocardico e in pazienti senza sintomi in atto) è rimasta controversa per anni. Il razionale di un eventuale beneficio è rappresentato dalla possibilità che la pervietà del vaso infartuato possa migliorare la funzione sistolica ventricolare sinistra e prevenire il rimodellamento ventricolare e lo sviluppo tardivo di aritmie. L’occlusione coronarica iniziale è generalmente equiparata all’insorgenza dei sintomi e il tempo dall’insorgenza dei sintomi alla presentazione in ospedale è generalmente equiparato ad un periodo di occlusione coronarica continua. Queste equazioni sono probabilmente sbagliate: l’instabilità della placca è un processo dinamico e non facilmente riconducibile ad una precisa ristretta finestra temporale. La propagazione del trombo all’inizio di una sindrome coronarica acuta può provocare occlusione coronarica dinamica e riperfusione con conseguente precondizionamento ischemico e un conseguente ritardo della progressione verso un danno miocardico irreversibile.

F. G. Biccirè: escludendo il recupero del tessuto miocardico ischemico, quali sono i processi fisiopatologici attraverso cui la riapertura del vaso culprit tardivamente possa portare a benefici clinici?

L. Bolognese: un primo meccanismo agisce sulla risposta infiammatoria, il ripristino del flusso sanguigno e il conseguente afflusso di cellule infiammatorie nella zona infartuata può migliorare la guarigione del tessuto infartuato e prevenire il rimodellamento ventricolare. Un secondo meccanismo è di tipo meccanico, un’arteria e un letto vascolare pervi e repleti di sangue possono fornire un’impalcatura di supporto che aiuta a mantenere l’integrità strutturale del miocardio necrotico limitando l’espansione dell’area infartuale e il rimodellamento ventricolare. Un altro meccanismo di tipo meccanico proposto suggerisce che la riperfusione tardiva provochi emorragia intramiocardica, edema e necrosi a bande di contrazione, al cui interno persistono i tubi sarcolemici che possono prevenire il collasso del tessuto necrotico. Anche la rivascolarizzazione tardiva del miocardio “ibernato” presente all’interno della regione perinfartuale è un possibile beneficio di una riperfusione tardiva. Inoltre, è stato dimostrato che il turnover del collagene è più pronunciato nei pazienti con occlusione del vaso responsabile dell’infarto e quindi la sua ricanalizzazione, prevenendo il turnover interstiziale del collagene, può risultare in effetti favorevoli. Infine, uno studio recente ha riportato un tasso significativamente più alto di apoptosi tra i cardiomiociti in pazienti con occlusione persistente dell’arteria correlata all’infarto; questo aumento dell’apoptosi appare evidente ben oltre la fase acuta dell’infarto miocardico, suggerendo che la riperfusione tardiva possa inibire la perdita apoptotica dei cardiomiociti.

F. G. Biccirè: qual è la posizione delle linee guida internazionali?

L. Bolognese: le linee guida europee del 2017 raccomandano l’angioplastica primaria nei pazienti instabili che si presentano a 12-24 h dall’insorgenza dei sintomi e che mostrano segni di ischemia in atto (Classe di raccomandazione I con livello di evidenza C) e suggeriscono l’impego dell’angioplastica primaria di routine per pazienti STEMI stabili che si presentano da 12 a 48 h dall’insorgenza dei sintomi (Classe di raccomandazione IIa con livello di evidenza B.

F. G. Biccirè: l’imaging può avere un ruolo?

L. Bolognese: Certamente, in particolare la risonanza magnetica cardiaca con mezzo di contrasto può consentire la tipizzazione dello stato funzionale del tessuto miocardico prima della PCI primaria nei pazienti che si presentano in ritardo realizzando un approccio più personalizzato al trattamento dello STEMI acuto a presentazione tardiva.

F. G. Biccirè: Concludendo quale pensa sia la strategia più efficace da attuare?

L. Bolognese: In generale la presentazione tardiva è associata ad una peggiore evoluzione clinica ed un aumento della mortalità rispetto alla presentazione precoce. I pazienti che si presentano tardivamente rappresentano una popolazione eterogenea e la decisione clinica riguardo al ricorso alla riperfusione meccanica non dovrebbe essere la stessa per tutti. Elementi cruciali nel processo decisionale sono la presenza di instabilità emodinamica o elettrica e segni o sintomi ischemici in atto che fanno pendere la bilancia a favore dell’angioplastica primaria. Tra i pazienti clinicamente stabili e con presentazione tardiva, la valutazione della vitalità miocardica e i test funzionali possono identificare un altro sottogruppo che potrebbe trarre beneficio dall’angioplastica primaria tardiva. I pazienti che sono veramente stabili e asintomatici oltre le 48 ore dall’insorgenza dei sintomi, senza evidenza di ischemia silente o vitalità, possono essere trattati in sicurezza con la terapia medica.