Short Term DAPT in pazienti con sindrome coronarica acuta
di Simone Budassi
29 Ottobre 2024

In pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS) tre mesi di doppia terapia antiaggregante (DAPT) seguita da inibitore del P2Y12 potente in monoterapia è associata ad una riduzione dei sanguinamenti senza contemporaneo aumento degli eventi ischemici. Questo il risultato principale di una recente metanalisi condotta da Pedro E.P. Carvalho e colleghi e recentemente pubblicata su JAMA Cardiology [1].

La terapia antiaggregante doppia (DAPT) riduce il rischio di eventi ischemici e di stent trombosi ma il rovescio della medaglia è l’aumentato rischio di sanguinamenti in maniera proporzionale alla durata e all’intensità del trattamento [2].

15 trial randomizzati sono stati inclusi in questa metanalisi per un totale di 35326 pazienti. La strategia DAPT a 12 mesi è stato confrontata con una strategia breve che comprendeva: 1 mese di DAPT seguita da P2Y12 inibitore per un anno, 3 mesi di DAPT seguita da inibitore P2Y12 per un anno, 3 mesi di DAPT seguita da aspirina, 6 mesi di DAPT seguita da aspirina. L’endpoint primario di efficacia era rappresentato dagli eventi cardiovascolari maggiori (mortalità per tutte le cause, infarto miocardico, TVR, trombosi di stent e ictus). L’endpoint di sicurezza includeva sanguinamenti maggiori BARC 3 o 5  o TIMI maggiore. Il 70% dei pazienti assumeva ticagrelor o prasugrel.   

Nel confronto con DAPT a 12 mesi i migliori risultati si sono osservati con le seguenti strategie:

– DAPT ad un mese seguita da inibitore del P2Y12,  rischio di sanguinamenti ridotto (RR 0.47; 95%CrI,0.26-0.74) nessuna differenze per quanto riguarda i MACCE (RR 1.00;95%CrI,0.70-1.41).

– DAPT a 3 mesi seguita da inibitore del P2Y12, riduzione dei sanguinamenti (RR 0.53; 95%Crl, 0.26-1.03) senza differenze di MACCE 0.84 (RR 0.0.84,95%Crl, 0.56-1.20).

Sintetizzando la migliore strategia per ridurre i MACCE sarebbe la DAPT per 3 mesi seguita da inibitore potente del P2Y12 in monoterapia mentre la strategia di sospensione ad un mese era la migliore per ridurre il rischio di sanguinamenti. Nessuna differenza si è osservata nell’analisi per sottogruppi di tipologia di ACS.

L’introduzione della DAPT è stato un baluardo nel trattamento della cardiopatia ischemica: la rivascolarizzazione percutanea con impianto di stent induce un danno infiammatorio nella parete dell’arteria trattata [3], questa condizione (soprattutto nel primo periodo  post intervento in cui ancora non si è ancora formato un neoendoelio nello stent) può facilitare la trombosi dello stent, rischio mitigato fortemente con l’introduzione della DAPT. Con l’avvento degli stent medicati (DES) di prima generazione, essendo rallentato (dal farmaco), il processo di endotelizzazione è stato necessario aumentare la durata della DAPT.  Le nuove generazioni di DES sono più biocompatibili, sottili e in alcune tipologie prive di polimero per il rilascio del farmaco, evoluzioni tecniche che hanno portato ad un riduzione in termini di infiammazione di parete, trombosi di stent, infarto miocardico, TVR, in confronto agli stent metallici e alla prima generazione di DES [3,4].  Nell’analisi di Carvalho il 98.2% dei pazienti ha ricevuto DES di ultima generazione, segno che i tempi potrebbero essere maturi per iniziare a pensare ad una riduzione della DAPT . Va inoltre ricordato che la raccomandazione di DAPT 12 mesi deriva da studi che hanno utilizzato il clopidogrel in associazione all’aspirina. La compresenza di un ridotto rischio di eventi ischemici con i nuovi DES e l’utilizzo di potenti inibitori piastrinici, potrebbe non giustificare l’aumentato rischio emorragico della DAPT prolungata a fronte di un già mitigato rischio di eventi ischemici.

Probabilmente  non è ancora il momento per estendere a tutti una raccomandazione cosi forte, alcune condizioni squisitamente tecnico-procedurali (ad esempio trattamento del tronco comune, biforcazioni, stent lunghi e piccoli) e cliniche del paziente (ad esempio la presenza di diabete) possono far protendere la bilancia verso un più alto rischio ischemico e quindi necessitare di una strategia antipiastrinica più aggressiva e personalizzata.

Bibliografia:

[1] Carvalho PEP, et al. Short-Term Dual Antiplatelet Therapy After Drug-Eluting Stenting in Patients With Acute Coronary Syndromes: A Systematic Review and Network Meta-Analysis. JAMA Cardiol. 2024 Oct 9. doi: 10.1001/jamacardio.2024.3216. Epub ahead of print. PMID: 39382876.

[2] CapodannoD,et al. Defining strategies of modulation of antiplatelet therapy in patients with coronary artery disease: a consensus document from the academic research consortium. Circulation. 2023;147(25):1933-1944.

[3] [A] Chaabane,Otsuka,Virmani, Bochaton-Piallat ML. Biological responses in stented arteries. Cardiovasc Res. 2013;99(2):353-363

[4] LeeDH et al The newest generation of drug-eluting stents and beyond.Eur Cardiol. 2018;13(1):54-59.

[5] Jensen LO et al; SORT OUT IV Investigators. Safety and efficacy of everolimus- vs sirolimus-eluting stents: 5-year results from SORTOUTIV.JAmCollCardiol.2016; 67(7):751-762