Screening della cardiomiopatia dilatativa nei familiari stretti: a chi, come, quando (e dove)
di Vittoria Rizzello intervista Maurizio Pieroni
03 Marzo 2024

Nel corso dell’ultima giornata di Conoscere e Curare il Cuore 2024 è stato affrontato un tema molto attuale, ossia lo screening familiare nei pazienti con cardiomiopatia dilatativa (dilated cardiomyopathy, DCM). Il tema è stato sviluppato dal dott. Maurizio Pieroni, esperto di cardiomiopatie, riconosciuto a livello internazionale.

Rizzello: Maurizio, cosa intendiamo esattamente con il termine DCM?

Pieroni: La DCM è definita dalla presenza di dilatazione e disfunzione sistolica ventricolare sinistra in assenza di malattia coronarica, valvulopatie, cardiopatie congenite o alterate condizioni emodinamiche in grado di determinarla. La dilatazione del ventricolo sinistro (VSin) è codificata da: un diametro telediastolico >58 mm o un volume telediastolico indicizzato (iLVEDV) ≥75 mL/m2 nei maschi e da un diametro telediastolico >52 mm o un iLVEDV ≥62 mL/m2 nelle femmine. La disfunzione sistolica globale del VSin è definita da una frazione di eiezione (LVEF) <50%1.

Rizzello: La DCM può essere determinata da meccanismi eziopatogenetici eterogenei, comprendenti processi infettivi (virus, batteri, protozoi),  danno da sostanze tossiche, meccanismi immunologici e cause genetiche1. Quando una CMD può essere considerata su base genetica?

Pieroni: Negli ultimi anni, numerosi geni codificanti per una varietà di strutture cellulari del cardiomiocita (sarcomero, dischi Z, desmosoma, citoscheletro, canali ionici ed elementi regolatori della trascrizione e traduzione) sono stati associati allo sviluppo di DCM2.  Quando in un probando con un fenotipo dilatato si identifica una variante genica patogena o probabilmente patogena di  tali geni si può concludere che il probando è affetto da una DCM a base genetica. In assenza di informazioni genetiche conclusive, da un punto di vista puramente clinico-anamnestico, la DCM è considerata familiare se:  uno o più parenti di primo o secondo grado hanno DCM o  quando vi è un parente di primo grado di qualsiasi età con una diagnosi accertata di DCM colpito da morte cardiaca improvvisa.

Rizzello: Una volta diagnosticata un DCM a causa genetica, come bisogna procedere nello screening dei  familiari del probando?

Pieroni: Le recenti linee guida ESC1 raccomandano in classe I lo screening clinico-strumentale di tutti i familiari di I grado, in presenza di una diagnosi di DCM.

Una storia familiare di DCM rappresenta sicuramente un fattore di rischio per lo sviluppo della malattia in un familiare sottoposto a screening. Tuttavia, in letteratura la sola storia familiare è in grado di riconoscere una piccola porzione dei familiari affetti (34%), mentre molti familiari possono essere identificati solo tramite un attento e sistematico follow-up clinico-strumentale.

Rizzello: Quali sono quindi le indagini appropriate che è necessario effettuare nei  familiari?

Pieroni: L’ECG è un primo step, in quanto è in grado di identificare molte alterazioni anche precoci che possono fornire importanti informazioni sull’eziologia e sulla prognosi dei pazienti. In particolare, la presenza di blocchi atrioventricolari, bassi voltaggi del QRS, l’insorgenza precoce di fibrillazione atriale e il blocco di branca destra possono suggerire la presenza di un substrato genetico a prognosi infausta: geni desmosomiali, lamina, filamina C, fosfolambano,  distrofina o RNA Binding Motif Protein 20(RBM20).

A seguire è necessario eseguire un ecocardiogramma. Infatti, screening comprensivi di ecocardiografia hanno stimato una prevalenza di DCM del 2.0-4.6% tra parenti di pazienti affetti da DCM3. Negli stessi studi, un numero significativamente maggiore di soggetti (12.0-24%) presentava dilatazione ventricolare sinistra senza disfunzione sistolica alla valutazione basale. Durante il follow-up seriato il 10-13% dei familiari sottoposti a screening sviluppava un quadro di DCM. Ciò indica che, oltre allo screening iniziale, è fondamentale proseguire un  follow-up clinico-strumentale negli anni, dal momento che la penetranza della malattia può essere variabile e il quadro patologico può presentare una significativa variazione dinamica.

Inoltre, studi recenti con tecniche di speckle tracking hanno rilevato ridotti valori di strain longitudinale del ventricolo sinistro nei pazienti portatori di varianti patogenetiche per DCM rispetto ai controlli sani4. Tale metodica ecocardiografica potrebbe quindi identificare la presenza di disfunzione ventricolare subclinica nei familiari di pazienti con DCM e permettere quindi di caratterizzare il fenotipo in modo più preciso e precoce.

Rizzello: La risonanza magnetica cardiaca (CMR) ha un ruolo nello screening dei familiari?

Pieroni: La CMR è una metodica non invasiva in grado di fornire informazioni fondamentali per orientare l’iter diagnostico e terapeutico dei pazienti con cardiomiopatia. Rappresenta, infatti, il gold-standard per la valutazione della morfologia e della funzione cardiaca, nonché uno strumento unico per effettuare in maniera non invasiva la caratterizzazione tissutale  (presenza/assenza di edema, fibrosi, infiltrazione adiposa, accumulo di ferro o di sostanza amiloide) e quantificare l’estensione dello spazio extracellulare, conferendo al clinico utili informazioni sulla stratificazione del rischio aritmico nei pazienti con DCM familiare.

Attualmente non vi è un’indicazione tassativa ad effettuare una CMR nel contesto di uno screening dei familiari affetti da DCM. Tuttavia, esistono delle situazioni in cui la CMR svolge un ruolo decisivo anche nei familiari di primo o di secondo grado di pazienti affetti da DCM.

La CMR svolge un ruolo importante nella diagnosi differenziale tra cuore d’atleta e forme iniziali di DCM nei familiari che presentino una isolata dilatazione ventricolare sinistra e siano anche atleti agonisti. Reperti di imaging più evidenti sono rappresentati da una dilatazione ventricolare sinistra non bilanciata, dalla disfunzione ventricolare sinistra e dalla presenza di LGE. Tuttavia, in forme molto iniziali, l’aumento del T1 mapping o del volume extracellulare (ECV) costituisce un marker precoce di malattia. Nei cuori di atleti agonisti, infatti, i valori di T1 o ECV sono tipicamente ai limiti inferiori di norma e talvolta lievemente ridotti 5. Un altro contesto nel quale la CMR può rivestire un ruolo cruciale è la diagnosi precoce nei familiari portatori di varianti patogenetiche: in questi casi la CMR può rilevare iniziali cambiamenti nelle dimensioni, funzione e struttura del tessuto miocardico come l’incremento delle dimensioni endoventricolari, l’aumento del T1, l’incremento dell’ECV e/o la comparsa di LGE. In particolare, nei familiari di pazienti affetti da cardiomiopatia da lamina A/C o filamina C, la CMR nello screening può riconoscere elementi iniziali di malattia quali l’incremento dell’ECV, le alterazioni dello strain settale basale-medio con aumento dei tempi di dispersione, la presenza di LGE settale medio-basale o pattern “ring-like”. Tali caratteristiche tissutali possono essere presenti prima dell’esordio del fenotipo classico dilatativo-ipocinetico, evidente all’indagine ecocardiografica, e sono associate a prognosi sfavorevole6

Rizzello: L’analisi genetica nei familiari deve quindi essere effettuata solo nei soggetti che presentino delle alterazioni elettro/ecocardiografiche e/o alla CMR ?

Pieroni: No, l’analisi genetica è raccomandata in tutti i familiari di I grado dei pazienti con DCM che presentino una variante patogenetica o verosimilmente patogenetica2. Infatti,  anche in assenza di un fenotipo manifesto, il riscontro della variante genetica può comportare la necessità di un follow-up più stretto nel soggetto in esame. Inoltre, il riscontro di alcune specifiche varianti, quali quelle legate a geni desmosomiali, può influenzare alcuni elementi della gestione clinica del soggetto anche in assenza di evidente fenotipo, ad esempio per quanto riguarda l’idoneità a sport agonistici. Al contrario, l’assenza della variante permette di escludere con ragionevole certezza la presenza della malattia nel familiare e di interrompere o quantomeno dilazionare significativamente nel tempo il follow-up.

Invece, nel caso di identificazione nel probando di una variante ad incerto significato (variant of uncertain significance, VOUS), l’analisi genetica dovrebbe essere considerata solo nel caso vi siano altri familiari con fenotipo compatibile con DCM, al fine di caratterizzare una eventuale segregazione familiare della variante e determinarne la patogenicità2.

Rizzello: L’analisi genetica come screening deve essere effettuata anche in età pediatrica?

Pieroni: L’esecuzione di un test genetico nei pazienti pediatrici può essere considerata ogni qual volta possa avere un impatto significativo sulla gestione clinica del soggetto, ad esempio, quando nella famiglia è presente una variante genetica associata ad esordio clinico in età pediatrica o ad elevata incidenza di aritmie ventricolari maligne. Tuttavia, è sempre necessario considerare il potenziale impatto psicologico che l’informazione derivante da tale test può avere sul minore e sui familiari, specie in caso di esito positivo.

Rizzello: Grazie ai progressi della tecnologia, oggi si possono effettuare diversi tipi di analisi genetiche, su pannelli più o meno estesi e anche sull’intero esoma o sull’intero genoma. Quale viene effettuata ai fini di uno screening familiare?

Pieroni:  In caso di riscontro di una variante patogenetica o verosimilmente patogenetica per DCM in un probando, è indicato testare i parenti di primo grado per la ricerca della variante familiare mediante una classica metodica Sanger. L’utilizzo di pannelli più estesi e di next generation sequencing non è attualmente indicato, in quanto può potenzialmente creare problematiche relative al riscontro di ulteriori varianti di difficile interpretazione clinica1.

Rizzello: Il tasso di positività del test genetico dei familiari di pazienti affetti da DCM con nota variante patogenetica o verosimilmente patogenetica in letteratura si aggira attorno al 40%. Esistono delle strategie che consentano di aumentare le percentuali di positività, visto che comunque i costi delle analisi genetiche, per quanto ridotti rispetto al passato, non sono ancora trascurabili?

Pieroni: A questo scopo è possibile utilizzare degli score. Recentemente, ad esempio, è stato proposto il Madrid DCM Genotype Score con l’obiettivo di identificare i pazienti con DCM con un’alta probabilità di un genotipo positivo e focalizzare l’analisi genetica in questi soggetti. Nel Madrid score elementi suggestivi di una genetica positiva sono rappresentati dalla presenza di storia familiare di DCM, dalla concomitanza di miopatia, dai bassi voltaggi all’ecg e dalla assenza di blocco di branca sinistra ed ipertensione arteriosa7.

Rizzello: Maurizio, qual è il setting assistenziale più appropriato per effettuare lo screening dei familiari di primo grado dei pazienti con DCM a base genetica?

Pieroni:  Come indicato dalle recenti linee guida ESC1, lo screening deve essere eseguito presso Unità per lo studio e la cura delle Cardiomiopatie (Cardiomyopathy Units), che abbiano esperienza nella valutazione clinico-anamnestica e nella esecuzione ed interpretazione degli esami di imaging multimodale e dell’analisi genetica. Riguardo la analisi genetica è importante sottolineare l’importanza del counseling pre- e post-test che deve essere effettuato da specialisti in genetica medica affiancati da cardiologi con esperienza nella gestione dei pazienti con cardiomiopatie familiari. È infatti fondamentale fornire una corretta informazione al paziente riguardo le implicazioni del test genetico prima della sua esecuzione, così come una corretta interpretazione del risultato e delle sue ricadute prognostiche e terapeutiche. Tale counseling dovrebbe possibilmente avvalersi anche del supporto di uno psicologo. Analogamente il follow-up dei familiari, soprattutto dei portatori di variante patogenetica che non abbiano ancora sviluppato un fenotipo, dovrebbe essere eseguito in centri di riferimento che possano rilevare prontamente, ed eventualmente trattare, le prime manifestazioni fenotipiche. I familiari portatori della variante genetica devono essere sottoposti ad una valutazione clinico-strumentale completa comprensiva di imaging multimodale ed altri esami in base al fenotipo ed al genotipo. Tali soggetti, anche nel caso in cui non presentino alcun fenotipo, devono essere inoltre inseriti in un programma di regolare follow-up clinico-strumentale.

REFERENCES

  1. Arbelo E, Protonotarios A, Gimeno JR, Arbustini EE, Barriales-Villa R, Basso C et al. 2023 ESC Guidelines for the management of cardiomyopathies. Eur Heart J. 2023;44:3503-3626.
  2. Jordan E, Peterson L, Ai T, Asatryan B, Bronicki L, Brown E, et al. Evidence-Based Assessment of Genes in Dilated Cardiomyopathy. Circulation. 2021;144:7-19.
  3. Ni H, Jordan E, Kinnamon DD, Haas GJ, Hofmeyer M, Kransdorf E, et al; DCM Precision Medicine Study of the DCM Consortium. Screening for Dilated Cardiomyopathy in At-Risk First-Degree Relatives. J Am Coll Cardiol. 2023;81:2059-2071.
  4. Van der Bijl P, Bootsma M, Hiemstra YL, Ajmone Marsan N, Bax JJ, Delgado V. Left ventricular 2D speckle tracking echocardiography for detection of systolic dysfunction in genetic, dilated cardiomyopathies. Eur Heart J Cardiovasc Imaging. 2019 Jun 1;20:694-699.  
  5. Graham-Brown MP, McCann GP. T1 Mapping in Athletes: A Novel Tool to Differentiate Physiological Adaptation From Pathology? Circ Cardiovasc Imaging. 2016;9:e004706.
  6. Captur G, Arbustini E, Bonne G, Syrris P, Mills K, Wahni K et al. Lamin and the heart. Heart. 2018;104:468-479.
  7. Escobar-Lopez L, Ochoa JP, Royuela A, Verdonschot JAJ, Dal Ferro M, Espinosa MA, et al. Clinical Risk Score to Predict Pathogenic Genotypes in Patients With Dilated Cardiomyopathy. J Am Coll Cardiol. 2022;80:1115-1126.