SALVE MI CHIAMO PATRIZIA ED HO 57 ANNI.
di Patrizia
13 Aprile 2017

Vi racconto la mia esperienza.
A settembre del 2016, mi è stato diagnosticato un prolasso alla valvola mitralica di grado severo con rottura della corda tendinea e ho appreso che dovevo essere sottoposta quanto prima ad un intervento chirurgico per la ricostruzione di detta valvola.
Su consiglio del cardiologo che ha eseguito l’ecocardiogramma ho fatto una visita con un  cardiochirurgo particolarmente specializzato in questo tipo di interventi. La diagnosi è stata “costosa” e veloce e sono stata messa in lista di attesa per l’intervento che si sarebbe svolto in chirurgia mini-invasiva con il grande vantaggio di ridurre il trauma chirurgico e rendere meno doloroso e più rapido il recupero post-operatorio.

L’attesa prevista era di 6/7 mesi per una struttura, bisognava attendere gli inizi del 2018 in un’altra. Nel frattempo avrei dovuto essere seguita da un cardiologo di mia fiducia non troppo lontano dalla zona dove abito.
Fin dalla prima visita il cardiologo che avevo scelto mi disse che non potevo aspettare così tanto e che rischiavo un edema polmonare. Mi aveva pertanto invitata a rivolgermi ad altri cardiochirurghi fuori città, che eseguono lo stesso intervento in chirurgia mini-invasiva.
Prendere questa decisione era però complesso sotto vari punti di vista.
Mi sottopongo così ad altre visite con altri specialisti per avere la conferma di quanto diagnosticato dal primo cardiologo; tutti hanno confermato la necessità di accelerare i tempi. Essendo una lavoratrice pendolare purtroppo la mia situazione si è aggravata e per uno scompenso cardiaco sono  stata ricoverata.
Ho trascorso tre giorni su una barella in attesa di un posto in cardiologia. Nella sfortuna però ho avuto la fortuna di non aspettare troppo poiché c’erano persone che erano lì da più giorni in attesa di un letto in reparto.
Superare quei momenti è stato complicato soprattutto per la mancanza di servizi igienici adeguati e riservati, visto che l’unico bagno si trovava in un corridoio dove accedevano tutti i pazienti del PS, i parenti, le guardie  ecc.
Finalmente riescono a trovarmi un posto in cardiologia e lì comincia la mia avventura che speravo finisse presto. Era il 4 dicembre. I medici mi avevano detto che sarei stata operata presso questa struttura cancellandomi così dalla lista di attesa nell’altra. Cominciavo a farmi dei calcoli mentali e mi convincevo (inutilmente) che presto tutto sarebbe finito ed io sarei tornata a casa per Natale.
Ma non avevo fatto i conti con le urgenze ed i trapianti dato che la terapia intensiva della cardiochirurgia era occupata dai tanti pazienti in situazioni molto gravi e questo impediva la normale programmazione di altri interventi.
Passavano i giorni. Dopo un inizio “affannato” da tanti punti di vista, per le difficoltà logistiche da un lato e il mio disagio nel respirare dall’altro, il mio stato fisico si andava sistemando, sempre sotto costante controllo medico.
Aumentava però anche uno stato di usura psicologica in quanto non si vedeva luce.
Mi rassegno all’attesa ed organizzo le mie giornate tra tv, libri e socializzazione con altri pazienti che come me erano in attesa dell’intervento.

Gli infermieri erano molto pazienti e continuavano ad esercitare il proprio lavoro con professionalità, nonostante le evidenti difficoltà lavorative per i doppi turni che a volte svolgevano, o per mancanza di materiale di prima necessità. Ma sempre instancabili. Io li ho definiti angeli.
Passa Natale con tutte le sue festività ormai vivevo in nuovo habitat dove anche il cibo era diventato buono.
Finalmente l’anno nuovo mi porta il regalo che aspettavo: un posto in cardiochirurgia.
Ricominciano i conteggi dei giorni.
Con mia grande meraviglia ritrovo al reparto i pazienti che erano stati chiamati prima di me e che ancora erano in attesa di essere sottoposti ad intervento chirurgico e che si trovavano in uno stato peggiore del mio.
Mi rassegnavo a veder scorrere le giornate.
Finalmente giunge la lista in cui compare il mio nome.
Ero in programma per il 24 gennaio. Sarei stata la seconda.
Arriva il giorno programmato ed affronto l’intervento con molta tranquillità. Purtroppo l’attesa era stata tanta ed io volevo al più presto risolvere il mio problema.
Quello che non dimenticherò mai sono gli occhi lucidi sul volto dei miei figli nel momento in cui mi portavano via con la barella. Per mio marito ed i miei figli sono state le ore più lunghe della loro vita, in tutto 6 ore prima di avere mie notizie: avevo subito la ricostruzione della valvola mitralica, della tricuspide e le corde tendinee. Tutto era andato bene e questa era la cosa più importante. Dopo pochi giorni potevo già mettermi in piedi. Grazie alla pazienza della fisioterapista e anche alla mia determinazione ho fatto presto a ritrovare la mia autonomia.
Purtroppo però gli imprevisti sono sempre in agguato.
Il drenaggio doveva essere tolto nel giro di pochi giorni ma per il sopraggiungere di qualche problema questo non è stato possibile e mentre i giorni passavano, i dolori aumentavano.
Si allungava la mia degenza sempre di più mentre il mio stato psicologico peggiorava.
Ero stanca di stare in ospedale volevo solo tornare a casa, ma mi aspettava ancora la riabilitazione che avrei dovuto fare in una struttura collegata all’ospedale.  Ma proprio la mattina delle mie dimissioni, mentre ero in attesa dell’ambulanza che mi avrebbe portato via, il mio elettrocardiogramma non era regolare. Decidono pertanto di rimandarmi al reparto di cardiologia per approfondire meglio il quadro.
Altri tre giorni in ospedale, ma per fortuna tutto era a posto, e così finalmente mi hanno spostato nella struttura di riabilitazione.
La mia vita cominciava a riprendere e tra esercizi di respirazione, tapis roulant e cyclette ho ripreso la mia forza.
Unico handicap erano le scale che ancora oggi mi creano fatica.
Finalmente il 4 marzo  lasciavo definitivamente l’ospedale.
Cosa mi aspettava? In tre mesi la mia famiglia si era ormai organizzata a non dipendere più da me.

In molti  hanno detto che sono stata brava, che ho avuto tanta pazienza.
In realtà, “guardarsi intorno” in ospedale dà tanta forza.
Non dimenticherò mai le persone che mi hanno aiutato in questo, gli infermieri, angeli che in ospedale ci hanno sostenuto ed hanno asciugato anche le nostre lacrime, i medici, le persone che si occupavano di tenere pulito, coloro che ci portavano da mangiare, i portantini che ci portavano in giro per l’ospedale per i vari esami, anche gli studenti che facevano tirocinio. Insomma tante persone e tanta umanità.
E per concludere la mia grande famiglia che non mi ha lasciato mai sola, gli amici vicini e lontani e posso dire che sono stati proprio tanti.
Per tanto tempo mi sono trascurata pensando che i malesseri che provavo passassero presto, e che tutto fosse dovuto ad un periodo molto stressante che avevo vissuto. Solo adesso mi rendo conto di quanta fatica facevo nel muovermi e di quanto mi stancassi con facilità; io, una donna dinamica ed attiva, mi sentivo distrutta al minimo sforzo.
Ora ho ripreso la vita di sempre, ritrovando finalmente tutta la mia energia ed efficienza.
Il primo cardiologo che mi diagnosticò il problema mi disse che sarei stata meglio dopo l’intervento e che non dovevo aver paura di affrontarlo. E’ stato proprio così!!!

Patrizia