Risonanza magnetica cardiaca nei pazienti con NSTEMI, può cambiare la diagnosi? I risultati dello studio OxAMI
di Camilla Cavallaro
01 Settembre 2024

Le varie tecniche di imaging, oltre ai principali biomarcatori, sono di grande supporto nella definizione diagnostica dei pazienti che accedono in pronto soccorso con diagnosi di infarto senza sopraelevamento del tratto ST (NSTEMI) (1). Tra queste, la risonanza magnetica cardiaca (RMC) consente una visione sicuramente completa e articolata del danno cardiaco; per questo motivo potrebbe idealmente essere uno strumento da utilizzare nei pazienti con NSTEMI in attesa di coronarografia. Purtroppo, però, l’accesso a questa metodica è ancora molto limitato nella maggior parte dei centri europei, soprattutto nell’ambito delle emergenze.

Frequentemente ci troviamo davanti a casi di sospetto infarto miocardico NSTEMI la cui diagnosi non è sempre chiara; una proporzione significativa di pazienti risulta avere coronaropatia non ostruttiva (NOCA) e viene successivamente diagnosticata con un’eziologia non ischemica (spesso con l’uso della RMC). Inoltre, una percentuale maggiore di pazienti ha una malattia coronarica multivasale, rendendo difficile l’identificazione dell’arteria coronaria culprit. Nello studio di Shanmuganathan e colleghi, la RMC è stata eseguita prima della coronarografia in pazienti stabili ospedalizzati con sospetto NSTEMI e inseriti in lista per studio angiografico.

Il lavoro pubblicato sulla rivista JACC: Cardiovascular Imaging (2) dagli investigatori dello studio OxAMI (Oxford Acute Myocardial Infarction) ha preso in esame l’utilità diagnostica della RMC eseguita prima della coronarografia nei pazienti con sospetto NSTEMI.

Sono stati analizzati 100 pazienti consecutivi, presentatisi con dolore toracico e contestuale rialzo della TnI (sospetto NSTEMI), il 70% dei quali di sesso maschile (età media 62 anni). Tutti sono stati sottoposti a RMC prima della coronarografia. È stato eseguito uno studio della funzione cardiaca (sequenze cine), dell’edema (sequenze pesate in T2 e T1 mapping), e una valutazione della necrosi e cicatrice (sequenze late gadolinium enhancement – LGE). Le immagini di RMC sono state poi interpretate da esperti senza visibilità delle immagini angiografiche (blinded), così come gli operatori che eseguivano la coronarografia non erano a conoscenza dei risultati della RMC.

Risultati dello studio

La RMC eseguita precocemente (media di 33 ore dall’ingresso in ospedale e 4 ore prima della coronarografia) ha confermato la diagnosi di infarto subendocardico nel 52% dei casi e di infarto transmurale nel 15% dei casi. Nel 18% si trattava di patologie di origine non ischemica (miocarditi, Takotsubo e altre forme di cardiomiopatie), l’11% aveva una RMC normale e solo il 4% delle RMC non è risultato diagnostico. Una sottoanalisi ha mostrato che, sulla base dei risultati della coronarografia, tra i pazienti con malattia coronarica ostruttiva (73%), la RMC ha diagnosticato l’infarto nell’84% dei casi (61 di 73), patologie non ischemiche nel 10% e risultati normali nel 5%. Un risultato interessante riguarda il sottogruppo di pazienti con NOCA (27 su 100); la RMC ha rilevato segni di infarto miocardico solo nel 22% (6 di 27 casi), e ha riclassificato la diagnosi di NSTEMI nei restanti casi (18 di 27). Inoltre, nei pazienti con infarto miocardico alla RMC e malattia coronarica ostruttiva (61%), la RMC ha identificato una differente arteria culprit nell’11% dei casi.

Conclusioni

La RMC è un esame sicuro e clinicamente fattibile. Utilizzata prima dello studio angiografico nei pazienti con danno miocardico acuto, potrebbe apportare un significativo risparmio in termini di costi e di tempi di ricovero, e potrebbe evitare inutili complicanze periprocedurali. Nei pazienti ischemici, può caratterizzare accuratamente il danno cardiaco ed influenzare la strategia di rivascolarizzazione e valutare le implicazioni prognostiche. Questo esame ha cambiato la diagnosi in oltre il 50% dei casi, riclassificando o influenzando la gestione del paziente. Nei 100 pazienti con NSTEMI, la RMC come primo esame ha identificato l’infarto del miocardio nel 67% dei pazienti, patologie non ischemiche nel 18% e risultati normali nell’11%. Lo studio dimostra chiaramente che, se i ricercatori avessero avuto conoscenza dei risultati della RMC prima della coronarografia, avrebbero potuto modificare la diagnosi e/o la gestione di oltre la metà dei pazienti, portando a riclassificare la diagnosi di NSTEMI, identificare una differente arteria responsabile dell’infarto o riconoscere i pazienti “normali” con quadro coronarico indenne.

Referenze:

  1. Smulders MW, Kietselaer BLJH, Wildberger JE, et al. Initial imaging-guided strategy versus routine care in patients with non-ST-segment elevation myocardial infarction. J Am Coll Cardiol. 2019;74:2466-2477.
  2. Shanmuganathan M, Nikolaidou C, Burrage MK, et al. Cardiovascular magnetic resonance before invasive coronary angiography in suspected non–ST-segment elevation myocardial infarction. J Am Coll Cardiol.