Quante volte il diuretico viene prescritto pensando solo al dosaggio ?
Anche tra clinici esperti – infatti – si tende a considerare i diuretici come un’unica classe di farmaci, al massimo distinguendo i tiazidici dai diuretici dell’ansa e dai risparmiatori di potassio.
Ciò non è, ovviamente, corretto, sussistendo invece profonde differenze sia tra classi differenti di diuretici che tra differenti molecole nel contesto di una medesima classe.
Per quanto attiene i diuretici più comunemente utilizzati in terapia, i tiazidici, essi derivano dalla benzotiadiazina e sono in grado di inibire il simporto Na+-Cl- a livello tubulare distale. A tale classe appartiene, come ben noto, l’idroclorotiazide, mentre non derivano dalla benzotiadiazina né il clortalidone, né il metolazone, che infatti condividono con idroclorotiazide lo stesso meccanismo di azione, ma non la stessa farmacodinamica. Essi, pertanto, non possono essere definiti tiazidici, ma semmai “simil-tiazidici”.
Allo stesso modo, anche indapamide – parte della famiglia dei sulfonamidi – non deriva dalla benzotiadiazina e, quindi, non è definibile come un diuretico tiazidico. Indapamide, infatti, è totalmente priva dell’anello tiazidico e, pur condividendo il meccanismo saluretico con idroclorotiazide, a differenza di questa e di clortalidone ha anche un certo effetto vasodilatante diretto – secondo alcuni legato ad una modesta inibizione dei canali del calcio – con lievissimi effetti sull’handling tubulare del potassio. Da ciò la rara comparsa di ipopotassiemia e nessun effetto metabolico negativo nei confronti di sodiemia, glicemia, colesterolemia ed uricemia, comuni invece sia per il simil-tiazidico clortalidone che per il tiazidico idroclorotiazide. L’interazione minore con l’handling tubulare degli urati renderebbe ragione della minore o del tutto assente comparsa di iperuricemia in corso di terapia con indapamide versus gli altri tiazidici e simil-tiazidici. La minore perdita di potassio con le urine sarebbe, invece, la responsabile principale dei minori effetti che indapamide ha, rispetto ad idroclorotiazide e clortalidone, nei confronti della possibile comparsa di disglicemia.
In questo contesto, un recente articolo apparso su Lancet Diabetes and Endrocrinology, finanziato anche dalla British Heart Foundation, arricchisce consistentemente la problematica, mostrando come la combinazione di idroclorotiazide con un risparmiatore di potassio ingiustamente dimenticato – l’amiloride – possa minimizzare o addirittura nullificare gli effetti metabolici avversi tiazide-correlati.
Nello studio Pathway-3, infatti, pazienti ipertesi con almeno un elemento di rischio metabolico addizionale sono stati randomizzati in rapporto 1:1:1 a ricevere amiloride, idroclorotiazide, oppure amiloride + idroclorotiazide. L’endpoint primario era rappresentato dalla risposta glicemica dopo due ore dal carico orale di glucosio. Ebbene, dopo 12 e 24 settimane detta risposta glicemica era migliore non solo – come atteso – nel gruppo amiloride versus idroclorotiazide (media −0·55 mmol/L [CI 95% −0·96 – −0·14]; p=0·0093), ma anche nel gruppo di combinazione versus il medesimo tiazidico (−0·42 mmol/L [CI 95% –0·84 – −0·004]; p=0·048). Ciò costava solo un certo incremento nella comparsa di iperkaliemia, ma nessun altro effetto avverso.
Questo intelligente studio “british”, pertanto, indica al cardiologo come la prevenzione cardiovascolare sia fondata anche sul ritorno allo studio dei diuretici. Essi non sono tutti eguali, anche nel contesto di una medesima classe, mentre la loro combinazione può fornire vantaggi metabolici non indifferenti rispetto al singolo farmaco.