RESURREZIONE E RIGENERAZIONE
di Eligio Piccolo
09 Aprile 2019

Il miracolo della resurrezione di Lazzaro, per come tramandato dai Vangeli,  è stato certamente un miracolo. Cosa sia avvenuto in realtà nel corpo del fratello di Marta, seppellito già da tre giorni e con l’odore inconfondibile, non lo possiamo sapere. Ma la presunzione scientifica che ci viene consentita dalle ricerche più recenti è così suggestiva da potervici argomentare, con il dovuto rispetto si capisce.

Domineddio, che tramite Gesù di Nazareth lo aveva provocato, ha verosimilmente agito sulla materia, che Lui stesso aveva creata. Quindi quella resurrezione sarebbe una complessa “retromarcia metabolica” delle cellule che da tre giorni avevano imboccato la strada della decomposizione. Molto più difficile è pensare a un coma, come definiscono i francesi, “dépassè”, rianimato dal comando “Lazaro veni foras”.

La scienza attuale, nonostante i progressi della genetica e certi risultati sulla pecora Dolly, nonché quelli più modesti sul recupero di porzioni di organi mediante le staminali, non è certamente in grado di spiegarla. Tuttavia, alcune delle nuove conquiste, ancora incomplete e misteriose, ci fanno pensare.

I ricercatori che si stanno cimentando nella ricerca, peraltro agli albori, la definiscono rigenerazione. Ossia la capacità di un organo, colpito da un morbo che ne abbia distrutto una parte, come l’infarto di cuore o di cervello, di riformare la zona scomparsa. La quale, lasciata al suo destino, sarebbe diventata cicatrice.
In campo cardiologico assistenziale già da decenni si sono ottenuti risultati mirabili, però aggirando l’ostacolo, il ché significa rianimando una morte improvvisa e, tanto nell’infarto che nell’ictus, intervenendo il più presto possibile con la terapia, prima che le cellule cerebrali o cardiache muoiano asfissiate dall’ischemia. Mi riferisco alla defibrillazione tempestiva, ai trattamenti trombolitici e soprattutto agli stent e palloncini nei pazienti con dolore toracico o paralisi ricoverati entro le prime ore. Le statistiche hanno documentato, grazie a tali interventi, risultati mirabili ma non miracolosi, cui sono conseguiti anni di sopravvivenza, fino a oltre venti. Nonché la scomparsa delle aritmie pericolose e degli scompensi cardiaci innescati dalle cicatrici, che nel passato erano responsabili della minore sopravvivenza. Ma in questi ultimi anni si è preteso di più, addirittura la rigenerazione della zona infartuata, che, tanto per intenderci, sarebbe come veder ricrescere un arto amputato o in gangrena.

Come avevamo riferito nel passato in Cuore & Salute, un primo tentativo è stato quello di iniettare nelle coronarie o nel miocardio danneggiato dall’infarto le famose cellule staminali. Quelle primitive, ricavate da feti o da cordoni ombelicali, capaci per loro natura di riformare le cellule miocardiche scomparse. I risultati sono stati piuttosto deludenti sia perché non è stato finora possibile trasformare le staminali “totipotenti” in vere cellule muscolari del cuore  e sia perché, nei rari casi in cui se ne otteneva una parvenza, era difficile inserirla nell’architettura del muscolo distrutto. Si è quindi ritornati alla ricerca di base sugli animali, nella categoria dei mammiferi: uno piccolo e più facile da organizzare, il topo, e uno grande e più vicino all’uomo, il maiale. In entrambi si è dimostrato (meraviglia!) che le cellule del cuore fetale e del neonato nei primi due giorni dopo la nascita mantengono la capacità di rigenerarsi, di riprodursi come avveniva durante lo sviluppo intrauterino; ma che tale prerogativa si perdeva dopo la nascita. E poiché la fisiologia umana non è diversa da quella porcina, si è pensato che anche noi dopo aver visto la luce perdiamo quelle capacità rigenerative.

E a questo punto, nonostante quelle limitazioni apparentemente insormontabili e fiduciosi di poter sfruttare l’incredibile scoperta, non solo non ci siamo dati per vinti, ma anzi ci sentiamo prefigurati un futuro vittorioso intraprendendo il difficile cammino di individuare il fattore che consente al cuore di costruirsi come quando era ancora sorvegliato dal seno materno. Quel misterioso fattore di crescita che le cellule avevano prima e che perdono poco dopo la nascita. Se questo “elisir” sarà individuato, si è pensato di poterlo recuperare allo scopo di reintegrare i danni causati dalle malattie, come l’infarto o l’ictus. Avremmo così ottenuto un ulteriore passo in avanti per rinnovare il cuore o il cervello danneggiati, e per dare altri anni alla vita. Oppure rimarremo nell’intramontabile sogno faustiano, con Mefistofele in agguato.

Eligio Piccolo
Cardiologo