Quando impostare la terapia anticoagulante nella FA asintomatica? Alla ricerca di un cut off di durata
di L. Gatto intervista R. Rossini
22 Ottobre 2022

Esiste un cut-off di durata che ci faccia decidere di iniziare la terapia anticoagulante orale in un paziente con fibrillazione atriale asintomatica? E’ questa la domanda a cui ha risposto la dott.ssa Roberta Rossini, Direttore della Struttura Complessa di Cardiologia dell’Ospedale S. Croce e Carle di Cuneo nel suo intervento odierno durante il Congresso Conoscere e Curare il Cuore.

Gatto: Dott.ssa Rossini, qual è l’impatto odierno della fibrillazione atriale?

Rossini: L’incidenza della fibrillazione atriale (FA) è in progressivo aumento, in linea con l’invecchiamento della popolazione e con l’incremento delle malattie croniche. Il carico assistenziale e l’aspetto organizzativo ed economico legati alla patologia ed alle sue conseguenze (principalmente stroke ischemico e scompenso cardiaco) impattano in modo significativo sui vari sistemi sanitari, con previsioni di incremento esponenziale nel futuro prossimo.

Le forme cliniche di fibrillazione atriale, ossia quelle documentate con elettrocardiogramma di superficie, hanno una chiara correlazione con eventi embolici sistemici e si associano ad una ridotta sopravvivenza. Per fortuna, la profilassi tromboembolica con farmaci anticoagulanti ha dimostrato di ridurre in modo significativo l’incidenza di stroke ischemico e di migliorare la sopravvivenza di tali pazienti.

Gatto: Che cosa si intende, invece, per AHRE: atrial high rate episodes?

Rossini: Con il termine AHRE si definiscono gli episodi di tachicardia atriale riconosciuti automaticamente dai dispositivi cardiaci impiantabili, dispositivi dotati di un elettrocatetere atriale che permettono di registrare in modo continuativo l’attività elettrica del cuore e di rilevare un gran numero di aritmie indipendentemente dalla presenza di sintomi. Ad oggi non esiste una definizione universalmente accettata e le varie case produttrici di dispositivi utilizzano cut-off differenti per il riconoscimento di questi episodi. Anche nei vari studi sono state adottate definizioni diverse: ad esempio nello studio ASSERT [1] venivano considerati significativi episodi di tachicardia atriale con frequenza superiore a 190 bpm e durata di almeno 6 minuti, mentre nello studio TRENDS [2] erano presi in analisi episodi con durata superiore ai 20 secondi e frequenza di almeno 175 bpm.

In una recente consensus dell’EHRA  [3] gli AHRE sono stati definiti come episodi con frequenza atriale superiore a 190 bpm, senza però specificare un limite minimo di durata; le linee guida ESC [4] del 2020 propongono come criterio una frequenza atriale di almeno 175 battiti/min per almeno 5 minuti.

Gatto: Qual ’è l’incidenza di tali episodi?

Rossini: L’incidenza degli AHRE varia significativamente tra i vari studi ed è compresa tra il 10 ed il 70%. Una tale variabilità può essere giustificata considerando che i dati in letteratura provengono da lavori molto diversi tra loro, con in esame popolazioni differenti e con definizioni di AHRE diverse. Nello studio ASSERT [1], unico studio di grandi dimensioni che ha escluso i pazienti con storia di FA, l’incidenza di AHRE è stata del 25% a 2,5 anni di osservazione, con un incremento linearmente correlato alla durata del follow up. Tale dato è in linea con quanto riportato da una sottoanalisi [5] dello studio TRENDS che, esclusi i pazienti con pregressa FA o uso di anticoagulanti/antiaritmici, riporta un’incidenza di AHRE del 31% individuando peraltro una più alta incidenza di AHRE di lunga durata (> 6 ore) nei pazienti con punteggio CHADS più elevato.

Gatto: Dott.ssa Rossini, sono stati individuati dei fattori che possano favorire l’insorgenza degli AHRE?

Rossini: Con tutti i limiti dovuti all’eterogeneità dei dati disponibili ed alla scarsa confrontabilità degli studi, sembra che i principali fattori che influiscono sull’incidenza di queste aritmie siano, oltre all’anamnesi di fibrillazione atriale, l’età avanzata, l’ipertensione arteriosa ed il diabete mellito tipo II. Secondo altri lavori anche l’indicazione originale all’impianto, così come l’elevata percentuale di pacing, sia atriale che ventricolare, risultano essere associati ad un’incidenza più elevata di AHRE.

Gatto: Esiste una correlazione tra AHRE e rischio embolico?

Rossini: Diverse pubblicazioni hanno associato il riscontro di AHRE con eventi tromboembolici. Lo studio ASSERT [1] ha dimostrato come, in un follow up di quasi 3 anni, i pazienti con AHRE avessero una incidenza di stroke ischemico ed embolie sistemiche significativamente più elevata rispetto agli altri, con un hazard ratio (HR) di 2.49 (95% CI, 1.28 to 4.85; P=0.007). Suddividendo gli episodi in base alla durata è emersa inoltre un’associazione più forte per gli episodi di durata maggiore (HR rispettivamente 1,7 per tutti gli episodi > 6 minuti, 2,9 per quelli > 6 ore e 4,9 per quelli > 24h, rispetto al gruppo senza aritmia). Anche nello studio TRENDS viene riportata un’incidenza di stroke maggiore nel gruppo di pazienti con AHRE > 5,5 ore rispetto agli altri, tuttavia va segnalato come non fossero stati esclusi dallo studio i pazienti con storia di FA in anamnesi. Numerosi altri lavori di più piccole dimensioni, così come una recente metanalisi [6], riportano un’associazione AHRE-embolie suggerendo nell’insieme un rischio maggiore per episodi di più lunga durata e nei pazienti con punteggio CHADS2 più elevato. [7]

Più complesso, invece, risulta definire l’eventuale associazione tra eventi embolici ed AHRE di breve durata (i quali rappresentano peraltro la maggior parte degli episodi che quotidianamente vengono riscontrati al controllo dei dispositivi impiantabili): mentre un’analisi del registro RATE [8] non ha riscontrato un’associazione in tal senso durante il follow up di 2 anni, una più recente metanalisi [9], che ha preso in considerazione 27 studi per un totale di quasi 62’000 pazienti, riporta un’associazione con eventi tromboembolici per AHRE di durata superiore ai 30 secondi.

Gatto: Esiste, quindi, una relazione temporale tra AHRE ed eventi tromboembolici?

Rossini: Analizzando i pazienti ricoverati per stroke ischemico e portatori di dispositivi impiantabili è emerso, come l’associazione temporale tra aritmia atriale silente ed embolia sia molto debole se non del tutto assente. In una sottoanalisi [10] dello studio TRENDS che ha incluso solamente i pazienti con evento tromboembolico (encefalico o sistemico) veniva riportato come solamente il 50% dei pazienti interessati avesse documentazione di AHRE prima dell’evento indice, e di questi solo una piccola parte era in aritmia durante l’evento embolico (15%) oppure nel mese precedente (25%). Analogamente nello studio ASSERT [1] solamente il 12% delle embolie era preceduto da AHRE nel mese antecedente ed il 2% dei pazienti era in aritmia durante l’evento.

Gatto: Gli AHRE possono essere considerati come precursori di fibrillazione atriale?

Rossini: Episodi di AHRE di breve durata evolvono spesso nello stesso paziente in episodi di durata maggiore [8]. Diversi studi hanno evidenziato un aumento significativo dell’incidenza di FA nei pazienti con AHRE: nell’ASSERT [1] viene riportata un’incidenza di FA del 15% nei pazienti nei quali era stato identificato un episodio di AHRE contro il 3% dei pazienti nel gruppo senza AHRE (HR 5,5). Vanno tuttavia fatte alcune considerazioni: anche se è emersa una più alta incidenza di FA, questo ha interessato solamente una minoranza dei pazienti con AHRE (85% dei pazienti con AHRE nello studio ASSERT non ha ricevuto la diagnosi di fibrillazione atriale durante il follow up). Inoltre l’incidenza di eventi embolici, seppur aumentata, è molto inferiore rispetto a quella dei pazienti con fibrillazione atriale. Infine la mancanza di correlazione temporale con gli eventi tromboembolici suggerisce che gli AHRE rappresentino un indicatore di rischio per embolie piuttosto che un fattore causale.

Gatto: Dott.ssa Rossini siamo autorizzati, secondo Lei, ad iniziare un trattamento anticoagulante nei pazienti con AHRE?

Rossini: Mentre la terapia anticoagulante riveste un ruolo fondamentale nella prevenzione degli eventi embolici e permette una riduzione della mortalità nei pazienti con fibrillazione atriale, non esistono ad oggi evidenze che ne giustifichino l’utilizzo nei pazienti con AHRE. La decisione di intraprendere una profilassi anti-trombotica con farmaci anticoagulanti in questi pazienti rimane pertanto a discrezione del singolo clinico e rappresenta un problema quotidiano per il cardiologo che si occupa di controllo e programmazione di pacemaker e defibrillatori. Alcuni fattori che possono influenzare questa scelta sono il numero e la durata degli episodi aritmici, il burden totale di aritmia ed anche il rischio embolico basale del paziente (dato dall’età, dalle comorbilità e dal punteggio CHADSVASc).

Da una recente survey [11] che ha coinvolto medici di tutto il mondo (80% cardiologi) è emerso come oltre un terzo dei partecipanti considerasse sufficiente un singolo episodio di aritmia asintomatica della durata di > 5 minuti per la prescrizione di OAC, mentre il 16% e il 18% ritenesse necessario un burden di aritmia rispettivamente superiore a 5.5h ed a 24h. Quando venivano considerati invece pazienti con pregresso stroke o TIA, la quasi totalità dei medici era concorde nella prescrizione di profilassi anticoagulante.

L’associazione tra AHRE ed eventi tromboembolici, rende sicuramente “invitante” la profilassi anticoagulante, ma non è di per sé sufficiente a giustificarla. Ad oggi sono in corso due trial randomizzati volti ad identificare l’efficacia della profilassi anticoagulante nei pazienti con AHRE (ARTESiA: Apixaban vs Aspirina; n = 4000 – ClinicalTrials.gov Identifier: NCT01938248; e NOAH: Edoxaban vs Aspirina; n = 3400 pz – ClinicalTrials.gov Identifier: NCT02618577) con endpoint composito di stroke ischemico, embolia sistemica e mortalità cardiovascolare.

Secondo le più recenti linee guida ESC sulla diagnosi e gestione della fibrillazione atriale (ESC Guidelines for the diagnosis and management of atrial fibrillation – 2020), l’utilizzo di anticoagulanti può essere considerato (classe di raccomandazione IIa) nei pazienti con episodi di lunga durata (≥ 24 ore) quando associati ad una stima di elevato rischio embolico (CHADSVASc score ≥ 3), previa discussione circa potenziali rischi e benefici con il paziente.

Bibliografia

(1) Healey JS, Connolly SJ, Gold MR, Israel CW, Van Gelder IC, Capucci A, Lau CP et al; ASSERT Investigators. Subclinical atrial fibrillation and the risk of stroke. N Engl J Med. 2012;366:120-9.

(2) Glotzer TV, Daoud EG, Wyse DG, Singer DE, Ezekowitz MD, Hilker C, et al; The relationship between daily atrial tachyarrhythmia burden from implantable device diagnostics and stroke risk: the TRENDS study. Circ Arrhythm Electrophysiol. 2009;2:474-80.

(3) Gorenek B Chair, Bax J, Boriani G, Chen SA, Dagres N, Glotzer TV, et al; ESC Scientific Document Group. Device-detected subclinical atrial tachyarrhythmias: definition, implications and management-an European Heart Rhythm Association (EHRA) consensus document, endorsed by Heart Rhythm Society (HRS), Asia Pacific Heart Rhythm Society (APHRS) and Sociedad Latinoamericana de Estimulación Cardíaca y Electrofisiología (SOLEACE). Europace. 2017;19:1556-1578.

(4) Gerhard Hindricks, Tatjana Potpara, Nikolaos Dagres, Elena Arbelo, Jeroen J Bax, Carina Blomström-Lundqvist et al; ESC Scientific Document Group, 2020 ESC Guidelines for the diagnosis and management of atrial fibrillation developed in collaboration with the European Association for Cardio-Thoracic Surgery (EACTS): The Task Force for the diagnosis and management of atrial fibrillation of the European Society of Cardiology (ESC) Developed with the special contribution of the European Heart Rhythm Association (EHRA) of the ESC, European Heart Journal, Volume 42, Issue 5, 2021, Pages 373–498

(5) Ziegler PD, Glotzer TV, Daoud EG, Singer DE, Ezekowitz MD, Hoyt RH et al; Detection of previously undiagnosed atrial fibrillation in patients with stroke risk factors and usefulness of continuous monitoring in primary stroke prevention. Am J Cardiol. 2012;110:1309-14

(6) Mahajan R, Perera T, Elliott AD, Twomey DJ, Kumar S, Munwar DA, Khokhar KB et al. Subclinical device-detected atrial fibrillation and stroke risk: a systematic review and meta-analysis. Eur Heart J. 2018;39:1407-1415.

(7) Khan, A.A., Boriani, G. & Lip, G.Y.H. Are atrial high rate episodes (AHREs) a precursor to atrial fibrillation?. Clin Res Cardiol 109, 409–416 (2020).

(8) Swiryn S, Orlov MV, Benditt DG, DiMarco JP, Lloyd-Jones DM, Karst E, et al. RATE Registry Investigators. Clinical Implications of Brief Device-Detected Atrial Tachyarrhythmias in a Cardiac Rhythm Management Device Population: Results from the Registry of Atrial Tachycardia and Atrial Fibrillation Episodes. Circulation. 2016;134:1130-1140.

(9) Dimitrios Sagris; Georgios Georgiopoulos; Konstantinos Pateras; Kalliopi Perlepe; Eleni Korompoki; Haralampos Milionis et al;  Atrial High‐Rate Episode Duration Thresholds and Thromboembolic Risk: A Systematic Review and Meta‐Analysis – doi.org/10.1161/JAHA.121.022487Journal of the American Heart Association. 2021;10:e022487

(10) Daoud EG, Glotzer TV, Wyse DG, Ezekowitz MD, Hilker C, Koehler J, Ziegler PD. TRENDS Investigators. Temporal relationship of atrial tachyarrhythmias, cerebrovascular events, and systemic emboli based on stored device data: a subgroup analysis of TRENDS. Heart Rhythm. 2011;8:1416-23.

(11) Boriani G, Healey JS, Schnabel RB, Lopes RD, Calkins H, Camm JA, Freedman B. Oral anticoagulation for subclinical atrial tachyarrhythmias detected by implantable cardiac devices: an international survey of the AF-SCREEN Group. Int J Cardiol. 2019;296:65-70