F. Brandimarte: Dottore vuole ricordarci cosa si intende per prolasso mitralico e quali rischi comporta?
G. Di Pasquale: Il prolasso valvolare mitralico è una alterazione della valvola mitralica definita ecocardiograficamente come una dislocazione di uno o entrambi i lembi valvolari maggiore di 2 mm rispetto al piano passante per l’anulus valvolare mitralico, valutato in proiezione parasternale asse lungo. Questa alterazione morfologica è stata descritta per la prima volta da Barlow nel 1966 ed è caratterizzata istologicamente da un accumulo anomalo di proteoglicani che determina ridondanza e ispessimento dei lembi valvolari oltre ad allungamento cordale, tutti elementi responsabili delle alterazioni morfologiche della valvola. Sebbene generalmente considerata una condizione benigna, può essere oggetto di complicanze potenzialmente severe, quali l’insufficienza mitralica severa, l’endocardite infettiva, lo stroke ed infine, dato relativamente nuovo, la morte cardiaca improvvisa per eventi aritmici in particolare nelle forme con ridondanza mixomatosa bilembo, tanto da indurre ad ipotizzare l’esistenza di una “variante aritmica maligna” di questa valvulopatia.
F. Brandimarte: Quali sono le caratteristiche peculiari dei pazienti che potrebbero manifestare questa “variante maligna”?
G. Di Pasquale: Analizzando i dati di diversi studi retrospettivi e prospettici degli ultimi vent’anni emergono interessanti considerazioni utili a stratificare il rischio aritmico: sembra infatti che il prolasso valvolare mitralico bilembo, il sesso femminile, l’età giovanile (meno di 40 anni), la presenza di alterazioni della ripolarizzazione in sede inferiore e di extrasistolia ventricolare complessa all’ECG Holter siano tutti associati ad un rischio più alto di morte cardiaca improvvisa. Studi autoptici e di risonanza magnetica cardiaca infatti hanno evidenziato nei cuori di questi soggetti una significativa quota di fibrosi miocardica, specie nei muscoli papillari e nella parete infero-basale del ventricolo sx, che contribuisce a determinare il substrato aritmico (extrasistolia ventricolare rilevante, tachicardia ventricolare con morfologia a blocco di branca destra polimorfa non sostenuta o sostenuta). Sembra inoltre che tale fibrosi sia istologicamente diversa da quella ischemica in quanto non compatta ma interposta tra cardiomiociti ipertrofici. Infine, il classico reperto ascoltatorio del “click mesosistolico” che si reperta in questi pazienti e che consegue ad un’improvvisa tensione del lembo mitralico, sembra non sia altro che l’espressione sonora del maggiore sovraccarico tensivo su alcune componenti della valvola che insiste sulla parete infero-basale sede spesso della componente fibrotica alla base dell’aumentato rischio aritmico.
F. Brandimarte: Cos’è la disgiunzione anulare mitralica e in che modo aumenta il rischio aritmico nei soggetti con prolasso valvolare mitralico?
G. Di Pasquale: La disgiunzione anulare mitralica, descritta per la prima volta da Bharati e colleghi nel 1981è un rilievo anatomico caratterizzato morfologicamente da un incremento della separazione fibrosa tra l’inserzione del lembo posteriore mitralico con la parete atriale e la parete muscolare ventricolare. Viene rilevata in telesistole nelle sezioni asse lungo a livello della parete infero-posteriore basale tramite ecocardiogramma o risonanza magnetica cardiaca. È particolarmente frequente nei soggetti con prolasso valvolare mitralico e sembrerebbe essere associata ad un aumentato rischio aritmico in quanto sembrerebbe determinare una trazione anomala sulla valvola mitralica, cui conseguono: stiramento ed eccessivo sovraccarico della parete postero-basale e dei muscoli papillari, con conseguente ipertrofia e successivamente fibrosi locoregionale, un’aumentata ectopia focale a carico delle fibre di Purkinjie ed una degenerazione mixomatosa della valvola mitralica con progressiva insufficienza valvolare e rimodellamento ventricolare sinistro.
F. Brandimarte: Esiste una componente genetica alla base della “variante aritmica maligna”?
G. Di Pasquale: Recentemente è stato dimostrato che il prolasso mitralico bilembo aritmogenico può riconoscere una predisposizione genetica ereditaria legata ad una mutazione della proteina sarcomerica filamina C, associata a diverse forme di cardiomiopatia, dilatativa, ipertrofica e restrittiva.
F. Brandimarte: Concludendo quali consigli suggerirebbe nella pratica clinica?
G. Di Pasquale: Le linee guida sulla prevenzione della morte cardiaca improvvisa pubblicate nel 2015 dalla Società Europea di Cardiologia non prendono nemmeno in considerazione il prolasso valvolare mitralico come condizione a rischio meritevole di ulteriori valutazioni. Le recenti linee guida ESC del 2021 sull’attività sportiva in soggetti con cardiopatia definiscono globalmente basso il rischio di eventi in corso di attività sportiva in soggetti con prolasso mitralico in assenza di severa insufficienza mitralica. Suggeriscono tuttavia di sottoporre questi soggetti ad ECG-12 derivazioni, test ergometrico ed ECG-Holter e, nei pazienti con onde T invertite nelle derivazioni inferiori o evidenza di aritmie ventricolari ad origine dal ventricolo sinistro, anche risonanza magnetica cardiaca per escludere fibrosi a carico della parete inferiore basale. La presenza di prolasso mitralico bilembo, le onde T negative nelle derivazioni inferiori, la fibrosi della parete infero-laterale, la familiarità per morte improvvisa e l’evidenza di aritmie complesse sono ritenute sufficienti per escludere questi soggetti dallo sport agonistico consentendo unicamente un’attività fisica aerobica di bassa intensità.
F. Brandimarte: Grazie dottore, questi dati ci aiutano a vedere questa anomalia di frequente riscontro nella popolazione generale e solitamente ritenuta benigna con occhi più attenti al fine di meglio stratificare il rischio aritmico.