Procedura di Ross nei giovani con valvulopatia aortica: un’opzione valida ma poco considerata?
di Camilla Cavallaro
28 Aprile 2021

Nel panorama della stenosi aortica la TAVI ha sicuramente rivoluzionato il trattamento della valvulopatia aortica, soprattutto nei pazienti di età avanzata; non è stata fatta invece ancora chiarezza su quale sia il trattamento ottimale delle valvulopatie aortiche nei giovani. Nel 1962 Donald Ross propose il posizionamento di un “autograft”, ovvero la valvola polmonare del paziente stesso, in posizione aortica (sostituendo poi la polmonare con omograft o xenograft), in modo da evitare il precoce deterioramento e soprattutto le problematiche a lungo termine legate all’anticoagulazione. Le linee guida americane propongono questo intervento (con classe di raccomandazione IIb) nei pazienti giovani con appropriata anatomia e caratteristiche tissutali, nei quali l’anticoagulazione a lungo termine sia controindicata o comunque non desiderabile; l’intervento può essere eseguito in tal caso solo da chirurghi esperti in centri altamente specializzati nel trattamento delle patologie valvolari cardiache (1). Non viene fatta invece menzione di questa procedura nelle linee guida europee.

Un numero crescente di evidenze ha messo in luce come la procedura di Ross, eseguita nei giovani con valvulopatia aortica, abbia un outcome migliore confrontata con il posizionamento di valvole protesiche (2). Andando a scegliere il tipo di protesi ideale dobbiamo considerare che la valvola aortica non è solo una struttura passiva che regola il passaggio di sangue tra due compartimenti a diverso gradiente; bensì l’elemento funzionale di un sistema che comprende radice aortica e ventricolo sinistro, che consente la regolazione del post carico e contribuisce a mantenere un basso gradiente ed a minimizzare lo strain ventricolare (3). La valvola aortica e polmonare possiedono un’anatomia strutturale sovrapponibile, l’assenza di un anello rigido di contenimento permette un ottimale adattamento alla radice aortica e non modificando i flussi si ricrea una condizione simile a quella nativa. Questo potrebbe spiegare l’eccellente outcome di questo intervento come emerge da questa interessante analisi pubblicata da Aboud e colleghi  nell’ultimo numero di JACC (4).

Gli autori hanno analizzato gli outcome clinici a lungo termine (con un follow up a 25 anni) selezionando 2440 pazienti (età media 44 anni per il 78% di sesso maschile) provenienti da 10 centri europei, sottoposti ad intervento di Ross (con o senza risparmio della radice aortica) provenienti dal più grande registro su questo tipo di intervento esistente (Ross Registry).

Uno dei principali risultati che è saltato subito all’occhio è stato che nei primi 10 anni la sopravvivenza di questo gruppo di pazienti (75,8%) risultava sovrapponibile a quella della popolazione generale per sesso ed età (p < 0.001). Anche il rischio di complicanze e di reintervento è risultato essere intorno al 1% annuo. L’incidenza di sanguinamenti maggiori, trombosi di valvola, stroke permanente ed endocardite erano rispettivamente del 0.15%, 0.07%, 0.13%, e 0.36% per paziente/anno, più basse rispetto a quelle riportate dopo impianto di valvole meccaniche e autologhe. Alcune considerazioni importanti emerse dallo studio sono che il rigurgito aortico (p < 0.01) e la dilatazione dell’aorta ascendente (p < 0.001), erano fattori che esponevano ad un maggior rischio di reintervento sulla valvola.

Conclusioni: la prospettiva di offrire a pazienti giovani con valvulopatia aortica una normale aspettativa di vita almeno fino ai 40 anni di età, e di avere un tasso di complicanze e necessità di reintervento dopo 2 decadi intorno all’1% è sicuramente allettante. Questo è il più grande studio ad ora pubblicato sia in termini di numerosità che di lunghezza del follow up.

Ci fa riflettere ancora una volta come una strategia di ricostruzione che rispetti l’anatomia e la fisiologia sia sempre una scelta ottimale nel giovane affetto da cardiopatia congenita o acquisita. Stiamo parlando però di un intervento chirurgico complesso e caratterizzato da una lunga curva di apprendimento, che attualmente viene eseguito solo in centri altamente specializzati.

Quando però all’esperienza tecnica viene associata l’abilità di selezionare accuratamente i pazienti siamo in grado di offrire un outcome eccellente.

Questo lavoro, come sottolineato dagli autori nella discussione, non ha come obiettivo la sponsorizzazione di questa procedura ma vuole rimarcare l’importanza di offrire ad ogni paziente una terapia “tailor made” valutando e prendendo in considerazione le esigenze del soggetto, poiché anche questo aspetto può avere un impatto sull’outcome a lungo termine.

References 

  • Otto CM, Nishimura RA, Bonow RO, et al. 2020 ACC/AHA guideline for the management of patients with valvular heart disease: a report of the American College of Cardiology/American Heart Association Joint Committee on Clinical Practice Guidelines. J Am Coll Cardiol 2021;77: 450–500
  • Aboud A, Charitos EI, Fujita B, et al. Long-term outcomes of patients undergoing the Ross procedure. J Am Coll Cardiol. 2021;77:1412-1422.
  • Mazine A; El-Hamamsy I et al; Ross Procedure in Adults for Cardiologists and Cardiac Surgeons: JACC State of the Art Review; J Am Coll Cardiol. 2018 Dec, 72 (22) 2761–2777
  • David TE, David C, Woo A, Manlhiot C. The Ross procedure: outcomes at 20 years. J Thorac Cardiovasc Surg 2014;147:85–93.