POVERE DONNE (!?)
di Eligio Piccolo
30 Giugno 2021

Una cardiologa svizzera, nel commentare recentemente la trascuratezza della medicina ufficiale nei confronti del sesso femminile, dice che perfino le ambulanze quando trasportano una signora sospetta di infarto smorzano le sirene, a differenza del pieno regime in decibel se l’inquilino è un maschio. Siamo certamente di fronte a un’iperbole letteraria, che Charcot avrebbe definito isterica, ma tradisce una persistente prevenzione di alcuni nei confronti della donna che “si permette” di ammalare di una patologia, la quale tanto per la storia quanto per lo stesso suo genere è decisamente maschia. Nei tempi andati infatti si faticava a immaginare la dolce Saffo, “dal crin di viola e dal riso di miele”, logorata nel suo infelice isolamento a Lesbo da una volgare trombosi coronarica, così come pensarlo in Eleonora Duse, colpita invece da una romantica polmonite all’ultima recita nella fredda Pittsburgh, o nella divina Callas, che si lasciò andare a Parigi, giunta alla fine della sua incomparabile voce e degli amori chiacchierati.
Povere donne, in balia di uomini, scienziati e medici, spesso guardate come una specie umana inferiore, ma anche con il desiderio di volerle differenti e talvolta divine. 

Quando mi laureai, anni 50 del secolo scorso, i dolori al petto di lei erano valutati con un sorriso, piuttosto dolorini isterici che angina coronarica e, siccome imperavano le maggiorate alla Lollobrigida, qualche spiritoso ci costruì la battuta de “la Gina pectoris”, mentre Petrolini, quando in scena veniva colto dal dolore, esclamava che “era venuta a trovarlo la sora angina”. Rimane ancora inspiegata tuttavia la renitenza di secoli in cui la donna ha dovuto fare solo battaglie personali per accedere al diploma medico. E di riuscire a raggiungere questo traguardo senza le ataviche “proibizioni” solo da una sessantina d’anni, cosicché oggi le medichesse, come affettuosamente le chiamava Gigi Prati, occupano quel posto in maggioranza.
Il tutto quindi per noi è durato poco, ma con fatica e a misura che si sono formati i cardiologi e le tecniche elettriche, idrauliche e poi ultrasonore e magnetiche che hanno aperto gli occhi su un mondo sconosciuto. Nel quale il maschio ha dovuto battersi più volte il petto per l’atavica presunzione. Si scoperse che gli ormoni erano diversi in lei rispetto a lui e la proteggono finché poteva generare, ossia alla menopausa, dopo rischiava circa la metà di quanto rischia lui, e tanto più quanto più ne imitava i fattori negativi e vi aggiungeva gli anticoncezionali. Ci si è accorti con inspiegabile ritardo che il cuore di lei è più piccolo, in particolare le coronarie, più facili a chiudersi anche per un semplice spasmo; che il muscolo o miocardio può subire contrazioni strane e pericolose. Scoperte cui dobbiamo ancora aggiungere una coda alle pregresse credenze superficiali, quelle ricordate nell’iperbole della cardiologa svizzera: minore attenzione ai dolori al petto, che sono spesso anche differenti o mancano del tutto, ritardi nella decisione dei ricoveri e poi nell’affrontare le prime valutazioni e i più moderni trattamenti.
In numerosi studi degli ultimi decenni, finalmente più attenti ai risultati di quelle nuove ricerche, si è rilevato che la donna anche durante e dopo il ricovero per un sospetto infarto, reagisce in modo differente per determinati aspetti in comparazione all’uomo. E mentre si osservava un suo progressivo aumento di infarti, specie a misura che lei assumeva certe abitudini insane di lui, si dovevano constatare molti differenti aspetti diagnostici e complicazioni. Lo studio che meglio ne sintetizza il cambiamento è quello capeggiato da Justin Ezekiwitz dell’Università Canadese di Alberta (Circulation 2020), che comprende ben 45.000 primi infarti, seguiti dal 2002 al 2016 (14 anni!): Il 31% erano donne, meno di un terzo, con età media maggiore rispetto all’uomo (72 vs 61 anni); la coronarografia, il migliore degli accertamenti diagnostici, è stata meno utilizzata in lei (74%) che in lui (87%); dalla quale è risultato che le compromissioni delle coronarie più importanti era del 50% in lui e solo del 33%  in lei, e più numerosi i casi con scarse o punte lesioni. Quindi sempre in accordo con la malattia coronarica decisamente più maschile, direbbero i difensori d’ufficio degli errori passati. 
Ma, nonostante questa naturale minore patologia infartuale nel gentil sesso, quando lei vi soggiace subisce più spesso la fine dell’innocente Maria Antonietta di Francia, e se la sfugge rimane più cagionevole del suo compagno, sia in quel rischio senza ritorno che nell’avere scompensi di cuore. Per fortuna il tutto succede in percentuali piuttosto basse, che giustificano la mia esperienza più ottimistica di quella delle statistiche ufficiali. Giacomo Leopardi nell’Ultimo canto di Saffo immagina la poetessa implorante in questo suo declino, che le rendeva impossibile quell’incipit di “Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella sei tu, rorida terra”. Uno sconforto che coglie spesso molte donne del nostro tempo dopo il traguardo climaterico, e le affanna alla ricerca di rimedi, che la medicina è sempre più in grado di fornire loro, sia come farmaci che come chirurgie, ma nei limiti di non voler cambiare sé stesse. Poiché l’adagio veneto di “pezo el tacòn del sbrego”, in certi casi piuttosto arditi, è sempre in agguato (! ?).

Eligio Piccolo
Cardiologo