Possiamo prevenire la disfunzione ventricolare sinistra da chemioterapici?
di Laura Gatto intervista Irma Bisceglia
06 Ottobre 2021

L. Gatto: Dott.ssa Bisceglia cosa intendiamo quando parliamo di cardiotossicità e ci sono dei pazienti a maggior rischio di sviluppare questa complicanza?

I.Bisceglia: La cardiotossicità indotta dai trattamenti antitumorali è una complicanza comune a molte terapie antineoplastiche e una causa frequente di morbilità e mortalità nei sopravvissuti al cancro. Viene definita dall’American Society of Echocardiography come una riduzione del 10% della frazione di eiezione ventricolare sinistra [(FE) <53%] [1]. Nel 2017 sono state pubblicate le linee guida ASCO riguardanti le strategie di prevenzione e monitoraggio della disfunzione ventricolare, che hanno definito come pazienti a rischio di sviluppare tossicità cardiaca quelli sottoposti a trattamenti con alte dosi di antracicline e/o di radioterapia, a trattamenti sequenziali di antracicline e trastuzumab, a trattamenti con basse dosi di antracicline o trastuzumab ma associati a due o più fattori di rischio cardiovascolare come età ≥ 60 anni, FE ai limiti inferiori (50-55%), pregresso infarto del miocardio e valvulopatia moderata-severa [2].

L.Gatto: Quali trattamenti antitumorali sono maggiormente responsabili dello sviluppo di cardiotossicità?

I.Bisceglia: Sicuramente le antracicline, farmaci chiave nel trattamento dei tumori della mammella e dei tumori ematologici. Con tali terapie i tassi di tossicità cardiaca, che si manifesta prevalentemente con insufficienza cardiaca, mostrano un’ampia variazione dal 7% al 65% a seconda delle varie definizioni utilizzate. Una precedente meta-analisi ha valutato l’incidenza tardiva di cardiotossicità da antracicline dopo 9 anni di follow-up, riscontrando un tasso di tossicità clinicamente evidente nel 6% e di tossicità sub-clinica nel 18% [3]. Più recentemente, Cardinale et coll. hanno seguito per 5 anni un gruppo di pazienti adulti trattati con antracicline trovando un’incidenza di cardiotossicità del 9%. Il dato importante è anche che nel 98% dei casi i pazienti sviluppavano tale complicanza entro il primo anno dal completamento del trattamento [4].

L.Gatto: Esistono dei protocolli clinici per la prevenzione di tale complicanze?

I.Bisceglia: Le attuali strategie cliniche di gestione della tossicità cardiaca da antracicline si concentrano sul rilevamento tempestivo del danno subclinico attraverso tecniche di imaging e biomarcatori. Tuttavia, questi interventi sono focalizzati sul controllo del danno piuttosto che su un vero approccio preventivo. Sfortunatamente, nonostante decenni di sforzi per migliorare le strategie di prevenzione primaria, non esiste ancora una terapia farmacologica soddisfacente per evitare questa complicanza. Le strategie di cardioprotezione, in generale, prevedono in oncologia l’impiego di regimi di infusione di antracicline prolungati, l’utilizzo del dexrazoxano, l’impiego di antracicline liposomiali meno cardiotossiche, il controllo della dose totale somministrata e l’utilizzo di radioterapia conformazionale ad intensità modulata e tecniche di controllo del respiro. In ambito prettamente cardiologico, le strategie di prevenzione primaria si sono rivolte principalmente all’uso di ace inibitori, sartani e beta bloccanti.

L.Gatto: Proprio riguardo la prevenzione della cardiotossicità con l’impiego di farmaci tradizionalmente usati per il trattamento dello scompenso cardiaco, quali sono state le principali conclusioni dello studio PRADA?

I.Bisceglia: Nello studio PRADA (Prevention of Cardiac Dysfunction During Adjuvant Breast Cancer Therapy), 120 pazienti con tumore della mammella in fase precoce e nessuna comorbidità grave che hanno ricevuto una terapia adiuvante con epirubicina (240-400 mg/m2) con o senza trastuzumab, sono state randomizzate a ricevere candesartan, metoprololo o placebo. Il trattamento veniva sospeso al termine della terapia adiuvante e le pazienti sono state osservate per 10-61 settimane. L’outcome primario era il cambiamento nella FE tra valore basale e quello a fine terapia adiuvante misurato tramite risonanza magnetica nucleare (RMN). Un più modesto declino della FE è stato osservato nel braccio candesartan rispetto al placebo (0,8% vs 2,6%; p=0.026) mentre nessuna variazione significativa è stata osservata nel gruppo metoprololo rispetto al placebo. Nell’analisi dei biomarcatori circolanti è stata osservata l’attenuazione dell’aumento della troponina cardiaca solo nei pazienti che hanno ricevuto metoprololo ma non in quelli che hanno ricevuto candesartan, suggerendo che l’attenuazione del danno miocardico potrebbe non riflettersi in un cambiamento della funzione ventricolare sinistra [5].

Più recentemente sono stati pubblicati i risultati dello studio PRADA EXTENDED, con un follow-up esteso a 2 anni, dove si è osservata nei pazienti trattati con candesartan e motoprololo un calo della FE leggermente inferiore, ma senza differenze significative tra i gruppi [6]. Da questo ulteriore follow-up, emergono una serie di osservazioni: la terapia adiuvante con epirubicina è associata a un modesto ma persistente declino della FE il blocco neuro-ormonale eseguito durante la terapia adiuvante non ha influenzato il declino della FE a 2 anni; l’effetto di attenuazione del candesartan sulla riduzione di FE che si era osservato durante la terapia adiuvante non persiste a 2 anni. Probabilmente il dato più importante è che la popolazione arruolata, relativamente giovane e senza gravi comorbidità, trattata con dosi di antracicline basse-moderate è in generale a basso rischio di disfunzione cardiaca e la terapia adiuvante è pertanto sicura in queste pazienti.

L.Gatto: Lo studio PRADA si inserisce quindi in un contesto di incertezza in cui già altre evidenze scientifiche non erano giunte a risultati conclusivi riguardo l’efficacia del blocco neuro-ormonale. Quali sono, secondo Lei, i principali limiti degli studi in questo ambito?

I.Bisceglia: Sicuramente i dati che emergono dagli studi finora pubblicati mostrano notevoli discrepanze e le ragioni sono molteplici: differenti popolazioni arruolate, scarsa numerosità delle popolazioni, differenze nei regimi di terapia oncologica, nei fattori di rischio cardiovascolare, nei farmaci cardioprotettivi così come diverse scelte degli end point e della definizione di cardiotossicità, nonché un follow-up variabile e relativamente breve. Nel complesso, ad oggi, non ci sono prove sufficienti per affermare che il blocco neuro-ormonale in prevenzione primaria fornisca un significativo beneficio clinico a lungo termine. Gli studi futuri dovrebbero concentrarsi su popolazioni a più alto rischio di sviluppare disfunzione cardiaca e quindi selezionarle in base alla presenza di fattori di rischio cardiovascolare, pazienti geneticamente predisposti o pazienti che ricevono dosi cumulative più elevate di antracicline. In tale contesto appare fondamentale da una parte la valutazione del rischio cardiovascolare basale dei pazienti oncologici mediante costruzione di score dedicati che consentano di individuare tempestivamente quelli ad aumentato rischio di complicanze, garantendo un approccio personalizzato, dall’altro la definizione di nuove strategie che consentano un’identificazione precoce dei soggetti che possano beneficiare delle terapie cardioprotettive.

Bibliografia

  1. Plana JC, Galderisi M, Barac A, et al. Expert consensus for multimodality imaging evaluation of adult patients during and after cancer therapy: a report from the American Society of Echocardiography and the European Association of Cardiovascular Imaging. Eur Heart J Cardiovasc Imaging. 2014;15:1063–1093
  2. Armenian SH, Lacchetti C, Barac A, et al. Prevention and monitoring of cardiac dysfunction in survivors of adult cancers: American Society of Clinical Oncology Clinical Practice Guideline. J Clin Oncol. 2017;35:893–911  
  3. Lotrionte M, Biondi-Zoccai G, Abbate A, et al . Review and meta-analysis of incidence and clinical predictors of anthracycline cardiotoxicity. Am J Cardiol. 2013;112:1980–1984
  4. Cardinale D, Colombo A, Bacchiani G, et al. Early detection of anthracycline cardiotoxicity and improvement with heart failure therapy. Circulation. 2015;131:1981-8. 
  5. Gulati G, Heck SL, Ree AH, et al. Prevention of cardiac dysfunction during adjuvant breast cancer therapy (PRADA): a 2 x 2 factorial, randomized, placebo-controlled, double-blind clinical trial of candesartan and metoprolol. Eur Heart J. 2016;37:1671–1680
  6. Heck SL, Mecinaj A, Ree AH, et al. Prevention of Cardiac Dysfunction During Adjuvant Breast Cancer Therapy (PRADA) Extended Follow-Up of a 2×2 Factorial, Randomized, Placebo-controlled, Double-Blind Clinical Trial of Candesartan and Metoprolol. Circulation 2021;143:2431-2440