Polmonite e Scompenso Cardiaco: un incontro…. da ostacolare!!!
di Vittoria Rizzello
04 Maggio 2021

I pazienti con scompenso cardiaco cronico (SCC) presentano un rischio di polmonite doppio rispetto alla popolazione  generale di paragonabile età e sesso. Inoltre in questi pazienti la polmonite è gravata da una maggiore mortalità (1-2). D’altro canto la polmonite rappresenta una causa frequente di instabilizzazione  di SCC con necessità di ospedalizzazione (1-2). Infine, studi epidemiologici hanno riportato un’associazione tra polmonite ed occorrenza di eventi cardiovascolari (3-4)

Per approfondire l’impatto prognostico di un episodio di polmonite nei pazienti con SCC, Shen e coll hanno condotto una post-hoc analisi, recentemente pubblicata su JACC (5), dei trial PARADIGM-HF (Prospective Comparison of Angiotensin Converting Enzyme Inhibotor to Determine Impact on Global Mortality in Heart Failire) e PARAGON-HF (Prospective Comparison of ARNI with ARB Global Outcomes in Heart Failure with Preserved Ejection Fraction).

Gli autori  hanno analizzato l’incidenza della polmonite nelle due popolazioni di pazienti rispettivamente con  SCC a frazione di eiezione ridotta  e preservata, correlandola ai successivi outcome, per valutare le sequele a lungo termine di tale infezione. I casi di polmonite nel follow-up (27 mesi per PARADIGM-HF e 35 mesi per PARAGON-HF) sono stati identificati in base a quanto era riportato dagli sperimentatori nelle case report form dei due trial.

Gli end-point considerati per i 2 trial sono stati: l’end-point composito primario di prima ospedalizzazione per SC o morte cardiovascolare e la mortalità per tutte  le cause.

Nello studio PARADIGM-HF, 528 pazienti (6.3%) hanno sviluppato una polmonite dopo la randomizzazione, pari a  un’incidenza di  29 casi su 1000 pazienti/anno. Nel PARAGON-HF, i pazienti che hanno avuto una polmonite sono stati 510 (10.6%), pari a un’ incidenza di 39 pazienti su 1000 pazienti/anno.  Sia nello studio PARADIGM-HF che nello studio  PARAGON-HF, i pazienti che sviluppavano polmonite erano più anziani, prevalentemente maschi, avevano una peggiore qualità di vita,  segni e sintomi di scompenso più importanti, più elevati valori di NT-proBNP e più comorbidità (diabete, broncopneumopatia, fibrillazione atriale, insufficienza renale).

Nello studio PARADIGM-HF l’occorrenza di polmonite si associava ad un incremento  nel corso del follow-up del rischio di prima ospedalizzazione per SC o morte cardiovascolare  e di morte per tutte le cause da 3 a 5 volte. Dopo correzione per moltissime variabili potenzialmente confondenti come l’età, il sesso, il farmaco di randomizzazione, la frazione di eiezione, le comorbidità, la durata dello SC, la classe funzionale e i livelli di NT-proBNP, il rischio di  prima ospedalizzazione per SC o morte cardiovascolare rimaneva incrementato di circa  3 volte (HR 2.72, 95%IC 2.27-3.26) e il rischio di  mortalità per tutte  le cause di circa 4 volte  (HR 4.34, 95%IC 3.73-5.05).

Analogamente, nello studio PARAGON-HF, anche dopo correzione per le suddette variabili confondenti, l’occorrenza di polmonite si associava ad un incremento del rischio di prima ospedalizzazione per SC o morte cardiovascolare  di circa 2 volte (HR 2.22, 95%IC 1.77-2.77) e a un incremento del rischio di  mortalità per tutte  le cause di circa 4 volte  (HR 3.76, 95%IC 3.09-4.58).

Nell’analisi dell’andamento temporale degli outcome si evidenziava che il rischio di tutti gli eventi era estremamente elevato nel primo mese  dopo la polmonite (>10 volte), si manteneva fino a 4 volte più alto fino al terzo mese, per poi stabilizzarsi a 1,5-2 volte più alto rispetto al rischio precedente l’episodio infettivo.

 

Considerazioni.

Lo studio di Shen e coll. appare clinicamente rilevante ed estremamente attuale in quanto richiama l’attenzione sulla vulnerabilità dei pazienti con SCC nei confronti delle infezioni polmonari.

E’ infatti esperienza comune osservare un incremento delle re-ospedalizzazioni per SC nei periodi invernali in concomitanza del picco stagionale di polmoniti pneumococciche e dell’influenza, che frequentemente in questi pazienti si complica con polmonite. Inoltre nell’ultimo anno l’infezione da SARS-COV-2 si è resa responsabile di una nuova forma di polmonite interstiziale che spesso determina un’ instabilizzazione dello SCC ed è in questi pazienti gravata da una prognosi particolarmente infausta.

Quest’analisi dei dati di follow-up dei due trial PARADIGM-HF e PARAGON-HF ha dimostrato che l’impatto prognostico della polmonite nei pazienti con SCC si concretizza, non solo in un aumento delle re-ospedalizzazioni per SC, ma anche in un incremento della mortalità cardiovascolare e per tutte le cause. In aggiunta, appare evidente come tale rischio aumentato  persista ben oltre la fase acuta dell’ infezione.  E’ ipotizzabile che la persistenza di un’attivazione  sistemica infiammatoria e pro-coagulativa sia il meccanismo fisiopatologico responsabile di tali eventi avversi tardivi.  In alternativa è plausibile che il danno d’organo (miocardico e/o renale) che si verifica contestualmente all’episodio infettivo abbia delle implicazioni prognostiche negative a lungo termine. Nei prossimi mesi, tale associazione con un outcome a lungo termine sfavorevole nei pazienti con SCC potrebbe divenire evidente anche per le polmoniti da SARS-COV-2.

I risultati presentati da  Shen e coll (5) derivano da un’analisi post-hoc e non pre-specificata dei due trial esaminati; pertanto non sono sufficienti a stabilire un nesso causale tra polmonite e outcome nei pazienti con SCC. Inoltre un limite dello studio è rappresentato dal fatto che la definizione di polmonite fosse basata sulle informazioni riportate dai ricercatori, in assenza di precisi criteri diagnostici prestabiliti nei trial originali.  Nonostante questi limiti, l’impatto prognostico osservato in questo studio,  impone un maggiore sforzo da parte dei clinici nella prevenzione della polmonite nei pazienti affetti da SCC.

Le armi a nostra disposizione su questo fronte contemplano l’utilizzo dei vaccini. Nella recente campagna vaccinale contro il SARS-COV-2, in nostro  Sistema Sanitario Nazionale ha identificato i pazienti  affetti da SCC avanzato (classe funzionale NYHA III-IV) come categoria di “pazienti vulnerabili”,  garantendo la vaccinazione prioritaria di questa classe di pazienti. Per contro, sebbene le linee guida internazionali raccomandino l’utilizzo dei vaccini anti-pneumococcico e anti-influenzale nei pazienti con SCC, purtroppo nella pratica clinica tale strumento è fortemente sottoutilizzato.  Questo mancato ricorso  alla vaccinazione appare particolarmente problematico nei pazienti con SCC a funzione sistolica preservata in cui le opzioni terapeutiche efficaci a nostra disposizione sono limitate.

Alla luce dei dati dello studio di Shen e coll (5),  l’implementazione delle vaccinazioni anti-influenzale e anti-pneumococco dovrebbe diventare un obiettivo primario dei clinici coinvolti nella gestione  dei pazienti con SCC.

 

 REFERENCES

 

  1. Jobs A, Simon R, de Waha S, et al. Pneumonia and inflammation in acute decompensated heart failure: a registry-based analysis of 1939 patients. Eur Heart J Acute Cardiovasc Care. 2018;7:362-370.
  2. Fonarow GC, Abraham WT, Albert NM, et al. Factors Identified as Precipitating Hospital Admissions for Heart Failure and Clinical Outcomes: Findings From OPTIMIZE-HF. Arch Intern Med.2008;168:847–854.
  3. Corrales-Medina VF, Musher DM, Wells GA, et al. Cardiac complications in patients with community-acquired pneumonia: incidence, timing, risk factors, and association with short-term mortality. Circulation. 2012;125:773-81.
  4. Corrales-Medina VF, Alvarez KN, Weissfeld LA, et al. Association Between Hospitalization for Pneumonia and Subsequent Risk of Cardiovascular Disease. 2015;313:264–274.
  5. Shen L, Jhund PS, Anand IS, et al . Incidence and Outcomes of Pneumonia in Patients With Heart Failure. J Am Coll Cardiol. 2021;77:1961-1973.