Più luci che ombre sulla scelta della migliore terapia con inibitori P2Y12 nei pazienti con sindrome coronarica acuta
di Simone Budassi
28 Dicembre 2021

La scelta della molecola ottimale per l’inibizione farmacologica piastrinica, nel paziente sottoposto ad angioplastica percutanea (PCI), per una sindrome coronarica acuta (SCA), è ancora oggi un argomento molto dibattuto. Chiaramente, nella bilancia del rischio, quando prescriviamo un farmaco inibitore piastrinico per ridurre gli eventi ischemici avversi allo stesso tempo andiamo ad aumentare il rischio di sanguinamento. La difficoltà sta nel capire in quali pazienti questo rischio è soppesato dal beneficio clinico.

In questo articolo, pubblicato su European Heart Journal, Galli e colleghi [1] hanno condotto una Network metanalysis di trial randomizzati controllati che hanno comparato i tre inibitori P2Y12 il cui utilizzo è attualmente raccomandato dalle linee guida in pazienti con SCA (Clopidogrel, Prasugrel, Ticagrelor). Questi trial comprendevano pazienti in cui la scelta della molecola era guidata da test di funzionalità piastrinica/ test genetici contro la selezione standard del farmaco. L’endpoint primario di efficacia scelto comprendeva gli eventi cardiovascolari maggiori (MACE) e l’endpoint primario di sicurezza comprendeva tutti i sanguinamenti. Sono stati inclusi 15 trials randomizzati controllati per un totale di 61.898 pazienti. Tra questi, 5 trials utilizzavano l’approccio guidato dai test nella scelta della terapia antipiastrinica, due con test diretti sulle piastrine e 3 con test genetici. Il confronto con la strategia di riferimento (clopidogrel) ha mostrato una riduzione dei MACE con l’approccio guidato dai test (IRR: 0.80, 95% CI: 0.65–0.98), rispetto alla terapia con  prasugrel (IRR:0.89, 95% CI: 0.77–1.03) o ticagrelor (IRR: 1.00, 95% CI; 0.86–1.18). L’endpoint primario di sicurezza era significativamente aumentato con prasugrel (IRR: 1.36, 95% CI: 1.14–1.63) e ticagrelor (IRR: 1.37, 95% CI: 1.16–1.61) ma non con l’approccio guidato dai test (IRR:1.22, 95% CI: 0.96–1.55), quando confrontati con clopidogrel. L’approccio guidato è stato quindi l’unico associato ad una riduzione dei MACE senza nessun contemporaneo aumento significativo dei sanguinamenti. Per quanto riguardava gli endpoint secondari, l’approccio guidato dai test e la terapia con prasugrel erano associati ad una ridotta incidenza di infarto miocardico, mentre l’approccio guidato dai test, la terapia con prasugrel e quella con ticagrelor erano associati ad una riduzione della trombosi di stent.

Come è noto il clopidogrel mostra una variabilità di risposta tra un paziente e l’altro che raggiunge il 30%. Questo spiega la ridotta efficacia di questa molecola rispetto ai più potenti prasugrel e ticagrelor; l’altra faccia della medaglia è chiaramente l’aumento dei sanguinamenti con queste ultime due molecole. Conoscendo il rischio clinico di trombosi e di emorragia del singolo paziente, la possibilità di predire la risposta al clopidogrel può aiutare nella scelta del corretto trattamento farmacologico.

Questa metanalisi contribuisce a colmare alcuni dubbi negli interrogativi della moderna cardiologia: da un lato, infatti, con gli stent medicati di ultima generazione, si è osservata una ridotta necessità di una terapia antipiastrinica aggressiva per ridurre gli eventi ischemici, dall’altro si da sempre più importanza al ruolo prognostico dei sanguinamenti nel tracciare il destino dei nostri pazienti [2,3]. Inoltre, ci sottolinea ancora una volta l’importanza della medicina individualizzata volta a stabilire il rischio di evento ischemico e di quello emorragico ottimizzando così la terapia farmacologica. Questo concetto è ancora più importante in una popolazione anziana e fragile come quella che sempre più ci troviamo ad affrontare con l’aumento dell’aspettativa di vita nei paesi occidentali.

Bibliografia:

[1] Galli M, Benenati S, Franchi F, et al Comparative effects of guided vs. potent P2Y12 inhibitor therapy in acute coronary syndrome: a network meta-analysis of 61 898 patients from 15 randomized trials, European Heart Journal, 2021.

[2] Galli M, Angiolillo DJ. Antiplatelet therapy in percutaneous coronary intervention: latest evidence from randomized controlled trials. Curr Opin Cardiol 2021;36:390–396.

[3] Benenati S, Galli M, De Marzo V, et al. Very short vs. long dual antiplatelet therapy after second generation drug-eluting stents in 35,785 patients undergoing percutaneous coronary interventions: a meta-analysis of randomised controlled trials. Eur Heart J Cardiovasc Pharmacother 2020; 7:86–93.