Nuove frontiere dell’elettrostimolazione: il pacemaker bicamerale senza fili
di Filippo Brandimarte
18 Luglio 2023

I due grandi talloni di Achille dell’impianto di pacemaker transvenoso tradizionale sono state e continuano ad essere le complicanze legate alla procedura in sé (fra cui il pneumotorace, quando viene utilizzata come via d’accesso la succlavia, e gli ematomi) e quelle infettive (legate all’infezione della tasca e/o degli elettrocateteri). (1) Gli sforzi della tecnologia per ridurre tali complicanze hanno portato recentemente allo sviluppo di pacemaker monocamerali senza fili che però hanno la grande limitazione di non avere la possibilità di pacing atriale e, ovviamente, di garantire un’efficace sincronia atrio-ventricolare, di fatto dando la possibilità solo al 20% di tutti i pazienti che necessitano di un impianto di pacemaker la possibilità di accedere a tale device, escludendo quindi i pazienti con malattia del nodo del seno o blocchi atrio-ventricolari (che rappresentano peraltro l’indicazione più comune ad impianto) per i quali è necessaria appunto la presenza di un pacing anche atriale. (2) La Abbott Medical però ha recentemente introdotto il primo pacemaker bicamerale (Aveir) senza fili che teoricamente supera queste limitazioni.

A tal proposito in un recente numero della prestigiosa rivista New England Journal of Medicine sono stati pubblicati i risultati del trial prospettico, internazionale e multicentrico Aveir DR i2i che ha arruolato da febbraio ad agosto 2022 circa 300 pazienti con indicazione ad impianto di pacemaker bicamerale ed età di almeno 18 anni, escludendo i soggetti portatori di protesi meccaniche tricuspidali, filtri cavali, già portatori di elettrocateteri o di altri dispositivi medici elettronici. (3) I 2 device senza fili vengono rilasciati tramite apposito catetere sotto guida fluoroscopica nelle due rispettive camere cardiache (atrio e ventricolo destro) per via percutanea transfemorale venosa ed ancorati tramite una vite direttamente montata sul dispositivo. Il corretto posizionamento poi è verificato tramite ecocardiografia intracardiaca anche se questo non è stato reso obbligatorio dal protocollo dello studio. Una volta rilasciati i due device comunicano tra di loro via wireless ad ogni singolo battito cardiaco. L’endpoint primario di sicurezza è stato privo di complicanze nei successivi 90 giorni dall’impianto. L’endpoint primario di efficacia è stato un combinato di soglia di cattura atriale adeguata (≤3 V con 0.4 msec) e ampiezza di sensing ≥1.0 mV a 3 mesi. L’endpoint secondario di efficacia è stata un’adeguata sincronia atrioventricolare a 3 mesi definita come battito ventricolare spontaneo o elettro indotto entro massimo 300 msec dalla presenza di un battito atriale spontaneo o elettro indotto in almeno il 70% di cicli cardiaci che possono essere verificati in un’osservazione di 5 minuti.

Le indicazioni più comuni all’impianto di pacemaker bicamerale sono state malattia del nodo del seno (190 pazienti pari al 63.3% della popolazione) e blocco atrioventricolare (100 pazienti, 33.3% della intera coorte). Circa il 20% dei soggetti era stato precedentemente sottoposto a procedure ablative e l’8.7% a estrazione di elettrocatetere o pacemaker senza fili. La procedura di impianto di pacemaker bicamerale senza fili è stata effettuata con successo in 295 (98.3%) dei 300 pazienti oggetto di studio con 2 casi di mancato impianto del pacemaker atriale e 3 casi di comunicazione inadeguata dei due pacemaker una volta rilasciati. Il tempo medio dell’intera procedura è stato di 86.3±36.5 minuti con 18.3±10.7 minuti di tempo di fluoroscopia. Un riposizionamento del device atriale è stato necessario in 72 casi (24.2%) e in 31 (10.4%) ci sono voluti più tentativi di riposizionamento. Il riposizionamento del device ventricolare, invece, è stato necessario in 40 soggetti (13.4%) e in 6 pazienti (2.0%) più di un tentativo. Si sono registrate 35 complicazioni (legate al device o alla procedura) in 29 pazienti nei 90 giorni successivi all’impianto (28 delle quali nei primi 2 giorni post impianto), mentre 271 pazienti (90.3%) non ne hanno avute. In 8 casi si sono sviluppate fibrillazioni atriali post impianto, specie in chi ne aveva già sofferto in precedenza. 2 danni cardiaci maggiori (versamento pericardico correlato al device atriale) si sono verificati in 2 pazienti. 6 dislocazioni di un device si sono verificati in 5 pazienti per lo più a causa di una fissazione non ottimale alla parete. L’impianto nell’auricola distale o media è stato associato ad un più alto rischio di dislocamento con un risultato migliore ottenuto con impianto all’ostio auricolare. Al termine del follow-up si sono verificati 4 decessi ma nessuno correlato al dispositivo o alla procedura. Nel periodo di follow-up si sono verificati 8 revisioni di procedura: in tutti i casi il device è stato rimosso con successo e riposizionato correttamente in 6 e la causa della revisione è stata sostanzialmente una dislocazione. La soglia atriale media è stata 0.82±0.70 V con 0.4 msec e l’ampiezza media della P è stata 3.58±1.88 mV con un endpoint primario di efficacia che si è verificato nel 90.2% dei casi. Infine, almeno il 70% della sincronia atrio-ventricolare è stata registrata nel 97.3% dei pazienti.

Il trial dimostra come la procedura si possa effettuare con successo in quasi la totalità dei casi (98.3%) e che a 3 mesi i risultati di sicurezza ed efficacia di gran lunga hanno superato le soglie attese. Oltre il 90% dei pazienti è stato libero da complicanze al termine del follow-up, infatti, e con ottime soglie e sensing atriali. Una buona sincronizzazione atrio-ventricolare, poi, si è verificata in oltre il 97% dei casi. L’evento avverso più comune è stato il versamento pericardico verificatosi nello 0.7% dei casi e mai ad esito fatale. Le complicanze più frequenti sono state il dislocamento del dispositivo atriale (specie quando non fissato all’ostio dell’auricola) e la fibrillazione atriale, quest’ultima verificatasi nel 3% dei casi (9 pazienti) probabilmente a causa dell’effetto pro-aritmico meccanico del device atriale. Sebbene la procedura e anche i dispositivi vadano migliorati per aumentare ulteriormente il tasso di successo delle procedure e minimizzare gli eventi avversi, questa tecnologia costituisce un buon passo avanti per l’abbattimento delle complicanze infettive considerando la popolazione fragile ed anziana che più spesso necessita dell’impianto.

Punti deboli o comunque motivo di ulteriori studi con casistiche più ampie e follow-up più lunghi al momento sembrano essere soprattutto il meccanismo di fissaggio dei dispositivi (con percentuali di dislocamento ancora un po’ alte), la relativa tecnica di impianto (specie del dispositivo atriale) e la durata della batteria, altro parametro da non sottovalutare per ridurre il più possibile i reimpianti visto l’aumentare progressivo della aspettativa di vita media dei pazienti oggi.

Bibliografia

  1. Udo EO, Zuithoff NPA, van Hemel NM, et al. Incidence and predictors of short- and long-term complications in pacemaker therapy: the FOLLOWPACE study. Heart Rhythm 2012; 9: 728-35.
  2. Mond HG, Proclemer A. The 11th world survey of cardiac pacing and implantable cardioverter-defibrillators: calendar year 2009 — a World Society of Arrhythmia’s project. Pacing Clin Electrophysiol 2011; 34: 1013-27.
  3. Knops RE, Reddy VY, Ip JE et al. A dual-chamber leadless pacemaker. N Engl J Med 2023;388:2360-70.