Noduli calcifici: non solo le placche lipidiche sono a rischio di rapida progressione ed eventi avversi.
di Flavio Giuseppe Biccirè
12 Novembre 2024

La presenza di placche calcifiche nell’albero coronarico è da sempre considerata un marker di aterosclerosi cronica e stabile. In netto contrasto con questo concetto, la pubblicazione dello studio di Sugizaki et al1 nell’ultimo numero di EuroIntervention ha dimostrato che formazioni calcifiche aggettanti nel lume coronarico (ovvero i noduli calcifici) possono formarsi in un tempo relativamente breve all’interno dell’albero coronarico affetto da placche calcifiche, aumentando considerevolmente il rischio di eventi avversi1.

In passato, gli studi patologici hanno dimostrato che la patogenesi dell’infarto miocardico è principalmente legata alle placche coronariche lipidiche caratterizzate da un ampio core lipidico e un cappuccio fibroso sottile prono alla rottura, seguite dalla presenza di lesioni più fibrose ma a rischio di erosione2. Tuttavia, la conoscenza dei meccanismi dell’infarto e dell’instabilità coronarica acuta è drammaticamente cambiata negli ultimi anni grazie all’utilizzo crescente nella pratica clinica della tomografia a coerenza ottica intravascolare (OCT), la quale luce non riconosce solo i lipidi, ma anche il calcio e può definire dettagliatamente la struttura delle lesioni, comprese la morfologia e lo spessore del calcio stesso3. In un contesto in cui gli eventi da placche lipidiche si sono considerevolmente ridotti grazie alla terapia ipocolesterolemizzante4, capire se e quali placche calcifiche possono essere a rischio di progressione e determinare eventi avversi è diventato fondamentale.

Inizialmente descritti come lesioni relativamente poco frequenti, i noduli calcifici sono sempre più frequentemente identificati all’interno dell’albero coronarico sottoposto ad angioplastica coronarica percutanea (PCI). In particolare, sono stati associati a risultati peggiori dopo PCI, soprattutto restenosi in-stent refrattarie al trattamento e trombosi dello stent5.

Nelle lesioni non sottoposte a stenting, inizialmente si pensava che il ritrovamento di noduli calcifici non comportasse un rischio aumento di eventi avversi. Tuttavia, la pubblicazione dei dati del CLIMA ha recentemente chiarito come la presenza di noduli eruttivi densi e calcificati che sporgono nel lume e mostrano un frastagliamento del cappuccio fibroso (talvolta con trombi associati) è associata a un rischio sette volte maggiore di eventi cardiaci a un anno di follow-up6. Rimaneva però poco chiaro in quanto tempo si potessero formare questi noduli e quali sono le placche ad alto rischio di svilupparli.

Lo studio di Sugizaki et al1 ha il merito di colmare questo knowledge gap, mostrando come, su 372 lesioni calcifiche studiate al baseline, fino al 7% possono sviluppare noduli calcifici ad una mediana di follow-up di soli 18 mesi. Le lesioni più a rischio di sviluppare rapidamente noduli calcifici erano quelle con una componente calcifica ampia (in lunghezza e profondità) mista a componente lipidica (che ne mostra una composizione più soggetta a rapidi cambiamenti), soprattutto se presenti in zone coronariche con angolazioni pronunciate. Anche il passare del tempo durante il follow-up era direttamente associato allo sviluppo dei noduli, con un rischio aumentato del 36% per ogni anno di follow-up in più. Importante, le lesioni con nuovi noduli calcifici al follow-up era significativamente a maggior rischio di eventi avversi tra cui infarti miocardici e nuove rivascolarizzazioni.

Nonostante questo studio abbia i limiti di un osservazionale retrospettivo condotto in un singolo centro, i risultati sono in linea con quanto precedentemente pubblicato e ampiano significativamente la nostra conoscenza a riguardo. L’aterosclerosi coronarica rappresenta un complesso puzzle, e l’aggiunta di questo ultimo tassello (ultimo in ordine temporale) ne complica ulteriormente la risoluzione: limitarsi a considerare solo le placche lipidiche ad alto rischio di eventi avversi può essere un errore grave. Anche le placche calcifiche, con determinate caratteristiche, possono evolvere rapidamente e sviluppare morfologie ad alto rischio, come i noduli calcifici. Seppur il puzzle appaia sempre più complesso, la direzione per risolverlo è quella giusta: un approccio preciso e individualizzato che sia in grado di ottenere diagnosi sempre più precise e un trattamento sempre più mirato.

Bibliografia:

[1]Sugizaki, Y, Matsumura, M, Chen, Y, et al., Natural history of a newly developed calcified nodule: incidence, predictors, and clinical outcomes, EuroIntervention : journal of EuroPCR in collaboration with the Working Group on Interventional Cardiology of the European Society of Cardiology, 2024;20:e1330-e1339.

[2]Virmani, R, Kolodgie, FD, Burke, AP, et al., Lessons from sudden coronary death: a comprehensive morphological classification scheme for atherosclerotic lesions, Arteriosclerosis, thrombosis, and vascular biology, 2000;20:1262-1275.

[3]Tearney, GJ, Regar, E, Akasaka, T, et al., Consensus standards for acquisition, measurement, and reporting of intravascular optical coherence tomography studies: a report from the International Working Group for Intravascular Optical Coherence Tomography Standardization and Validation, Journal of the American College of Cardiology, 2012;59:1058-1072.

[4]Biccirè, FG, Häner, J, Losdat, S, et al., Concomitant Coronary Atheroma Regression and Stabilization in Response to Lipid-Lowering Therapy, Journal of the American College of Cardiology, 2023;82:1737-1747.

[5]Sugane, H, Kataoka, Y, Otsuka, F, et al., Cardiac outcomes in patients with acute coronary syndrome attributable to calcified nodule, Atherosclerosis, 2021;318:70-75.

[6]Prati, F, Gatto, L, Fabbiocchi, F, et al., Clinical outcomes of calcified nodules detected by optical coherence tomography: a sub-analysis of the CLIMA study, EuroIntervention : journal of EuroPCR in collaboration with the Working Group on Interventional Cardiology of the European Society of Cardiology, 2020;16:380-386.