La fibrillazione atriale è associata ad un incremento di 5 volte del rischio di stroke embolico. Ogni anno fino a 3 milioni di persone in tutto il mondo hanno un ictus correlato alla FA. Questi stroke non sono affatto benigni: la mortalità raggiunge il 25% dei casi nei primi 30 giorni e quasi il 50% nel primo anno. Occorre sottolineare che questo tipo di rischio si presenta tanto nelle forme parossistiche quanto in quelle persistenti o permanenti.
Il rischio di ictus varia sensibilmente tra i pazienti affetti da FA, è per questo che sono stati messi a punto degli score di rischio embolico: quello ormai più diffuso è il “CHA2DS2-VASc score” (vedi le precedenti newsletter su fibrillazione atriale e i NOAC). Il “CHA2DS2-VASc score” ci aiuta a prendere decisioni sulla necessità dell’anticoagulazione ma, come si è detto già più volte, condivide molti fattori con l’altro score che stratifica, invece, il rischio emorragico l’ “HAS-BLED score”. Le emorragie sono infatti la temibile complicanza della terapia anticoagulante orale.
Il warfarin, il farmaco utilizzato per più di 50 anni, riduce del 60% il rischio di ictus ma ha le note limitazioni, stretta finestra terapeutica, interazioni con cibo e farmaci, necessità di stretto monitoraggio tramite prelievo per INR. Sono dunque arrivati i nuovi anticoagulanti orali, più selettivi (si tratta tecnicamente di inibitori della trombina e del fattore Xa), per la prevenzione dell’ictus nei pazienti affetti da fibrillazione atriale non valvolare: il dabigatran, il rivaroxaban e l’apixaban.
Tre grandi trial randomizzati, ARISTOTLE con apixaban, RE-LY con dabigatran e ROCKET AF con rivaroxaban sono stati oggetto di una metanalisi che ha mostrato una riduzione globale del rischio di stroke/embolismo sistemico pari a circa 21% rispetto al warfarin e una riduzione globale di sanguinamenti maggiori di circa il 14%.
Vi sono delle differenze tra i tre farmaci (per questo vedi la newsletter “I NOAC: breve guida pratica all’uso dei nuovi anticoagulanti orali”) ma adesso, man mano che cresce la popolazione in trattamento con i NOAC, interessa discutere un aspetto particolare dell’argomento: il comportamento in caso di procedura di cardioversione sia essa elettrica o farmacologica.
La cardioversione espone essa stessa ad un rischio trombo embolico periprocedurale. Gli unici dati che abbiamo sono dati osservazionali che ci giungono ancora una volta dai tre trials: approssimativamente il 10% dei pazienti del RE-LY sono stati sottoposti a cardioversione, un percentuale inferiore negli altri due. Complessivamente nei 50.000 pazienti randomizzati circa 3000 sono state le cardioversioni. Globalmente i dati sono piuttosto rassicuranti: la percentuale di stroke così come di sanguinamenti maggiori a 30 giorni dalla cardioversione sono state basse e paragonabili a quelle condotte durante trattamento con warfarin.
I dati ad oggi in nostro possesso quindi ci dicono che i NOAC possono essere somministrati ai pazienti da sottoporre a procedura di cardioversione con ragionevole tranquillità, anche se si tratta di dati non prospettici ma solo osservazionali.
Due sono le linee guida cui si può fare riferimento per la prevenzione del tromboembolismo nei pazienti affetti da fibrillazione atriale da sottoporre a cardioversione: The 2012 Focused Update of the European Society of Cardiology ESC Guidelines for the Management of AF e The EHRA Practical Guide on the use of new oral anticoagulants in patients with non-valvular atrial fibrillation: executive summary.
Entrambe raccomandano per una fibrillazione atriale insorta da più di 48 ore o a data di insorgenza non nota una terapia anticoagulante orale che preceda di almeno tre settimane la procedura di cardioversione e che sia protratta per almeno quattro settimane dopo la procedura, sia che si tratti di una terapia con warfarin sia con NOAC.
Il nuovo problema con i NOAC è essere certi della “compliance” del paziente: il monitoraggio dell’INR consentiva infatti durante trattamento con warfarin di controllare l’adeguata assunzione della terapia anticoagulante, con i nuovi anticoagulanti orali invece non esiste prelievo ematico che dia la certezza di una adeguata scoagulazione. E’ pertanto di fondamentale importanza che il paziente venga interrogato sulla corretta assunzione del farmaco : in caso di dubbi sull’adesione del paziente alla terapia è opportuna l’esecuzione di un ecocardiogramma trans-esofageo per escludere la presenza di formazioni trombotiche.
L’European Heart Rhythm Association ha proposto una “carta” universale per pazienti che assumono i nuovi anticoagulanti orali. Le informazioni contenute nella carta, istruzioni sulla corretta assunzione, dati sulla funzione renale, appuntamenti per follow-up, altre terapie in corso, sono fondamentali tanto peri il paziente quanto
Fonti:
2012 focused update of the ESC Guidelines for the management of atrial fibrillation: an update of the 2010 ESC Guidelines for the management of atrial fibrillation * Developed with the special contribution of the European Heart Rhythm Association. Eur Heart J 2012;33:2719–2747.
European Heart Rhythm Association practical guide on the use of new oral anticoagulants in patients with non-valvular atrial fibrillation. Europace 2013;15:625–651.
Antonella Labellarte
Cardiologa
Ospedale S. Eugenio, Roma