No Oral Anticoagulation for Atrial High-Rate Episodes!!!!
di Vittoria Rizzello
26 Settembre 2023

Con in termine di AHRE si intendono quegli episodi di aritmia atriale ad alta frequenza rilevati esclusivamente attraverso dei dispositivi impiantabili (pace-maker, defibrillatori e loop-recoder), senza evidenza clinica di fibrillazione atriale (FA) all’ECG a 12 derivazioni.

Il rischio di ictus ed embolismo  sistemico associato a tali episodi non è stato ben definito fino ad oggi. Tuttavia, da qualche anno è diventata pratica clinica piuttosto comune quella di iniziare la terapia anticoagulante anche in presenza di AHRE, in particolare con anticoagulanti orali diretti (DOAC), sulla base di una presunta estensione del beneficio documentato dai trial registrativi e dagli studi di real-world dei DOAC nei pazienti con FA clinicamente manifesta.

Nel corso dell’ultimo congresso della Società Europea di Cardiologia sono stati presentati, in contemporanea con la pubblicazione su NEJM (1), i risultati dello studio NOAH-AFNET-6 che sembrano scoraggiare questa pratica clinica.

Lo studio, condotto in 18 Paese europei,  ha incluso 2536 pazienti , di cui il 35% circa donne. I pazienti erano eleggibili se avevano  almeno 65 anni e almeno un fattore di rischio aggiuntivo per ictus, ossia: scompenso cardiaco, diabete, ipertensione, precedente stroke/TIA, vasculopatia nota o un’età >75 anni. GIi AHRE erano definiti come registrazioni con frequenza atriale >170 bpm, della durata di almeno 6 minuti.

L’età media dei pazienti arruolati è stata 78 anni, la durata mediana degli AHRE di 2,8 ore e il CHA2DS2-Vasc score mediano 4. Il numero mediano di AHRE nei 2 gruppi è stato di 2.8 per paziente.

I pazienti sono stati randomizzati a edoxaban (60/30 mg secondo i criteri registrati, 1270 pazienti) o placebo (1266 pazienti). L’end-point primario è stato un composito di morte cardiovascolare, stroke o embolismo sistemico, mentre l’end-point di sicurezza è stato un composito di morte per tutte le cause ed emorragia maggiore secondo i criteri della Società Internazionale di Emostasi e  Trombosi.

Il trial è stato concluso precocemente dopo un follow-up di 21 mesi per dubbi sulla sicurezza e possibile futilità dell’efficacia di edoxaban. Infatti, l’end-point primario si è verificato  in 83 pazienti (3.2% per paziente/anno) nel gruppo randomizzato a edoxaban  e in 101 pazienti (4% per paziente/anno) nel gruppo randomizzato a placebo (HR 0.81; 95%IC 0.60-1.08; P=015). L’incidenza di stroke è stata di circa 1% per paziente/anno in entrambi i gruppi. L’end-point di sicurezza si è verificato in 149 pazienti (5.9% per paziente/anno) nel gruppo randomizzato a edoxaban e in 114 pazienti (4.5% per paziente/anno) nel gruppo randomizzato a placebo (HR 1.31; 95%IC 1.02-1.67; P=0.03).  

Sulla base di questi dati, gli autori concludono che l’utilizzo di edoxaban in pazienti con riscontro all’interrogazione di device impiantabili di AHRE non riduce il rischio di morte cardiovascolare, ictus o embolismo periferico ed espone i pazienti a un maggior rischio di morte per tutte le cause o emorragie maggiori.

CONSIDERAZIONI.

Lo studio di Kirchhof e coll appare particolarmente interessante e clinicamente rilevante, perché rappresenta la prima evidenza scientificamente solida riguardo la gestione della terapia anticoagulante nei pazienti con evidenza di AHRE.

In base ai dati dello studio, appare chiaro che il rischio embolico degli AHRE è basso e non può essere ulteriormente ridotto dall’utilizzo della terapia anticoagulante.

Poiché i pazienti inclusi nello studio avevano un elevato CHA2DS2-Vasc score (e quindi in teoria ad alto rischio), è verosimilmente che tale rischio ridotto sia imputabile al fatto che gli AHRE generalmente sono eventi sporadici (nello studio 2.8 episodi per paziente) e di breve durata (nello studio 2.8 ore). Infatti, precedenti evidenze (2) hanno suggerito che il rischio embolico aumenta con la durata degli AHRE, avanzando l’ipotesi che il burden aritmico abbia un peso rilevante nella determinazione del rischio.

Ulteriori evidenze rispetto alla gestione degli AHRE saranno disponibili dopo la pubblicazione del trial ARTESIA che sta valutando l’efficacia di apixaban vs aspirina (3).

Nel frattempo, alla luce dei risultati dello studio NOAH-AFNET-6, l’utilizzo della terapia anticoagulante nei pazienti con un ridotto burden  di AHRE è da scoraggiare, in quanto appare inefficace e probabilmente dannoso.

In accordo, con quanto stabilito nelle ultime linee guida europee sulla gestione della FA, la terapia anticoagulante potrebbe essere considerata, su base individuale, in pazienti con AHRE di durata >24 ore e con un profilo clinico di alto rischio trombo-embolico.

 E’ chiaramente auspicabile che trial clinici randomizzati possano essere realizzati anche in questo specifico setting clinico  per fornire un maggior supporto scientifico alla gestione di questi pazienti. 

REFERENCES

  1. Kirchhof P, Toennis T, Goette A, Camm AJ, Diener HC, Becher N, et al; NOAH-AFNET 6 Investigators. Anticoagulation with Edoxaban in Patients with Atrial High-Rate Episodes. N Engl J Med. 2023 Aug 25. Epub ahead of print. 
  2. Toennis T, Bertaglia E, Brandes A, Dichtl W, Fluschnik N, de Groot JR, et al. The influence of atrial high-rate episodes on stroke and cardiovascular death: an update. Europace. 2023 Jul 4;25:euad166.
  3. Lopes RD, Alings M, Connolly SJ, Beresh H, Granger CB, Mazuecos JB, et al. Rationale and design of the Apixaban for the Reduction of Thrombo-Embolism in Patients With Device-Detected Sub-Clinical Atrial Fibrillation (ARTESiA) trial. Am Heart J. 2017;189:137-145.
  4. Hindricks G, Potpara T, Dagres N, Arbelo E, Bax JJ, Blomström-Lundqvist C, et al; ESC Scientific Document Group. 2020 ESC Guidelines for the diagnosis and management of atrial fibrillation developed in collaboration with the European Association for Cardio-Thoracic Surgery (EACTS): The Task Force for the diagnosis and management of atrial fibrillation of the European Society of Cardiology (ESC) Developed with the special contribution of the European Heart Rhythm Association (EHRA) of the ESC. Eur Heart J. 2021 ;42:373-498.