Modelli di assistenza post dimissione nello scompenso cardiaco: nuove evidenze. Lo studio ECAD-HF
di Alessandro Battagliese
01 Febbraio 2022

Circa un paziente su quattro ricoverato in ospedale per scompenso cardiaco (SC) muore o si reospedalizza entro 30 giorni dalla dimissione. Questo periodo chiamato “fase vulnerabile” post-dimissione rappresenta una fase molto delicata su cui si concentrano diverse strategie di assistenza tra cui educazione dei pazienti pre-dimissione e  rivalutazione clinica specialistica a breve termine dopo la dimissione. I risultati presenti in letteratura relativamente all’efficacia di diverse strategie di assistenza post dimissione sono contrastanti.

Le linee guida europee per lo scompenso cardiaco raccomandano, dopo la dimissione, una prima visita presso il medico di medicina generale a 7 giorni e una seconda visita specialistica cardiologica al 14° giorno.

Tuttavia, non appare ancora ben definita quale possa essere la strategia di follow-up più efficace nei pazienti ad alto rischio di nuova ospedalizzazione.

Lo European Journal of Heart Failure  pubblica recentemente un interessante studio Francese randomizzato prospettico e multicentrico in cui si confrontano due strategie di follow-up, una intensiva e l’altra convenzionale, in una popolazione di pazienti ricoverati per scompenso cardiaco di nuova insorgenza o riacutizzato. La strategia intensiva prevedeva una visita con un cardiologo specializzato nel trattamento dello SC e con un dietista a 7 e 14 gg dalla dimissione e poi a 1 mese; la strategia convenzionale ricalcava le raccomandazioni delle linee guida con una prima visita presso il medico di medicina generale a distanza di 7 gg ed una seconda visita cardiologica a 14 gg e poi a 1 mese.

La popolazione dello studio era composta da adulti di età ≥18 anni in presenza di almeno  uno dei seguenti quattro criteri alla dimissione o al giorno prima della dimissione: precedente ospedalizzazione per SC durante i 6 mesi precedenti, livelli ematici di peptide natriuretico di tipo B (BNP) ≥ 350 pg/ml o N-terminale pro B-type peptide (NT-proBNP) ≥ 2200 pg/mL  e/o creatinina sierica ≥180μmol/L e/o pressione sistolica ≤ 110 mmHg.

Criteri di esclusione la presenza di sindrome coronarica acuta, miocardite acuta, SC destro isolato correlato a malattia polmonare, causa reversibili di SC come tachicardiomiopatia, cardiochirurgia pianificata entro poche settimane dalla dimissione, arruolamento in un altro studio clinico, gravidanza o la presenza di un programma di gestione delle malattie già pianificato precedentemente.

Nel braccio standard, tutti i pazienti sono stati dimessi con un referto medico e sono stati prescritti esami del sangue tra cui elettroliti plasmatici, peptidi natriuretici e un pannello di funzionalità renale.

La strategia intensiva comprendeva un programma pianificato di consulenza con uno specialista per la cura dello SC (ricercatori di ciascun centro) e un dietista al giorno 7 e al giorno 14 dopo la dimissione, oltre al follow-up convenzionale con un medico di medicina generale e cardiologo di riferimento. Un’ulteriore visita è stata incoraggiata al giorno 21. Prima di ogni visita, sono stati ottenuti almeno gli elettroliti plasmatici, i livelli di peptidi natriuretici e un pannello di funzionalità renale. Durante ogni visita, si è cercato di ottimizzare la terapia per lo SC.

Obiettivo primario dello studio era mortalità per tutte le cause e reospedalizzazione a 6 mesi; obiettivi secondari un composito di mortalità per tutte le cause, ospedalizzazione per tutte le cause ed ospedalizzazione per scompenso cardiaco a 6 e 12 mesi e le variazioni dei peptidi natriuretici dalla dimissione alle visite di controllo e a 6 mesi. E’  stata effettuata un’analisi per sottogruppi in base alla frazione di eiezione, età e storia di SC.

Sono stati arruolati un totale di 482 pazienti, 237 sottoposti a protocollo di follow up intensivo e 245 destinati a protocollo standard.

Si trattava di una popolazione anziana con età media di circa 77 aa per il 30% composta da donne; circa il 60% aveva una frazione di eiezione inferiore o uguale al 40%; nel 40% dei casi Il ricovero per SC era da instabilizzazione, il 65% aveva valori alterati di BNP, nel 20% insufficienza renale e il 45% aveva una pressione arteriosa inferiore o uguale a 110 mmHg.

In tutti i pazienti si titolava la terapia per lo SC già nel corso del ricovero.

Alla dimissione, quasi l’85% dei pazienti con frazione di eiezione ≤ 40% ha ricevuto ACE-i o bloccanti del recettore dell’angiotensina (ARB), oltre il 90% ha ricevuto beta-bloccanti (BB), quasi il 45% ha ricevuto antialdosteronici (MRA) e oltre il 95% ha ricevuto diuretici dell’ansa con una dose giornaliera mediana di 80 mg.

A 6 mesi, c’era poca differenza nelle percentuali di utilizzo e nel dosaggio medio dei principali farmaci per lo SC tra i due gruppi di pazienti sopravvissuti; tuttavia la dose media di ACEi/ARB era significativamente più alta nel gruppo intensivo rispetto al gruppo di controllo. Sorprendentemente a distanza di 6 mesi la mortalità per tutte le cause  e ospedalizzazione non programmata erano simili nei due gruppi: 45,6% nel gruppo intensivo e 46,9% nel gruppo di controllo [HR 0,97 (95% IC 0,74; 1,26)]. Anche il numero di ricoveri non pianificati per SC durante il periodo di studio di 6 mesi è stato simile nei due gruppi: 19,4% per il gruppo intensivo e 20,0% per il gruppo di controllo. Il numero medio di giorni vivi e senza ospedalizzazione a 6 mesi era 105 nel gruppo intensivo e 130 nel gruppo di controllo (P = 0,77). Anche l’analisi per sottogruppi (età <75 e ≥75 anni; LVEF ≤40% o >40%; precedente o nessuna storia di SC) non ha documentato differenze significative relativamente all’end point primario (morte o ospedalizzazione non programmata) durante il periodo di studio di 6 mesi.

Commenti

In questo studio una strategia di follow-up aggressiva e ben strutturata alla dimissione di un ricovero per SC non si è dimostrata più efficace nel ridurre morte, ospedalizzazione per tutte le cause e per SC rispetto ad una strategia standard. Le linee guida europee raccomandano che i pazienti affetti da SC acuto debbano effettuare una prima visita presso il medico di medicina generale entro una settimana dalla dimissione ed effettuare il controllo in ambulatorio per lo SC entro 2 settimane dalla dimissione ospedaliera. I dati del mondo reale ci dicono tuttavia che solo il 50% dei pazienti segue questo percorso.

Diversi fattori possono spiegare, almeno in parte, i risultati di questo studio; in primo luogo, la popolazione studiata comprendeva pazienti anziani ad altissimo rischio con molte comorbidità. In effetti, morte ed ospedalizzazione rappresentavano quasi il 50% degli eventi a 6 mesi e l’età media dei pazienti era di 77 anni. In una tale popolazione, è possibile che ipotensione, insufficienza renale e fragilità limitino l’efficacia e rendano meno tollerabile la titolazione della terapia per SC e l’opportunità di migliorare i risultati nel gruppo di intervento. Ciò è supportato dalla mancanza di una differenza significativa nella titolazione o implementazione della terapia nei due gruppi se si eccettua.

In secondo luogo, nello SC soprattutto di nuova insorgenza, è importantissimo introdurre e titolare rapidamente i farmaci suggeriti dalle linee guida per migliorare la prognosi della malattia. Nello studio, la maggior parte dei pazienti con SC con frazione di eiezione ridotta sono stati dimessi con terapia ben ottimizzata ed euvolemici (> 75% dei pazienti assumevano beta-bloccanti o ACEI o ARB e 36% MRA), e quindi il margine di miglioramento potrebbe risultare più limitato.

In terzo luogo, il consulto medico immediato dopo la dimissione, anche con un cardiologo specializzato nella cura dello SC e un dietologo potrebbe non essere sufficiente.

Nello studio non era previsto nel follow-up intensivo l’impiego di infermieri specializzati che potessero supportare telefonicamente e in presenza, (mediante un ambulatorio infermieristico dedicato), i pazienti dimessi per SC.

Un modello strutturato di assistenza post ospedaliera, come anche documentato in una revisione della letteratura della Cochrane, dovrebbe prevedere probabilmente dei follow-up diretti da parte di infermieri specializzati nello SC e una gestione continua multidisciplinare da parte di altri operatori sanitari competenti e diversi specialisti, vista la complessità e le numerose comorbilità del paziente con SC, nonché prevedere programmi di educazione terapeutica e consultazioni ripetute per un periodo prolungato.

Resta ancora da dimostrare l’efficacia ed il beneficio clinico degli interventi non strettamente medici, come l’istruzione, la telemedicina o il coinvolgimento dei farmacisti. Il telemonitoraggio, in particolare, sembrerebbe essere vantaggioso solo se intensivo richiedendo significative risorse umane e logistiche. In futuro, il telemonitoraggio potrebbe diventare più completo ed efficace con più parametri monitorati e integrato con sistemi di intelligenza artificiale.

Anche la riabilitazione precoce, iniziata durante il ricovero in ospedale, ha recentemente dimostrato conferire un beneficio fisico, anche se non riduce il tasso di riammissioni.

Infine i servizi di assistenza post dimissione dovrebbero essere adattati agli specifici profili clinici dei pazienti, ai loro desideri ed alle a risorse disponibili.

Saranno necessari dati ulteriori per definire quale possa essere il programma di follow-up post dimissione più efficace nel ridurre la mortalità cardiovascolare e le reospedalizzazioni per SC. Il fatto che ci siano ancora così tanti pazienti che muoiono o che rientrano in ospedale a distanza di poche settimane dalla dimissione rimane inaccettabile.

BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA

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