Ai primi del secolo scorso la vita media nel nostro mondo occidentale, quello dove si vive meglio, era intorno ai 50 anni, certamente superiore a quella dei paesi meno sviluppati dove l’assistenza sanitaria era ed è tuttora carente. A quei tempi si pensava che la causa maggiore di detto traguardo fossero i microbi e quelli ancora più invisibili, i virus. La tisi, il vaiolo, il tetano, le polmoniti, le poliomieliti, le nefriti e le tante altre “iti” sembravano invincibili e, tranne alcune prevenzioni con i vaccini, pareva che l’unico rimedio fosse lo stare lontano dagli infetti e dalle condizioni che favorivano i contagi.
La Maginot emblematica che si eresse allora contro la più insidiosa di quelle malattie, la tbc, il morbo romantico che aveva perfino stimolato la fantasia di grandi artisti come Verdi, Puccini e Mann, fu la costruzione dei sanatori, una specie di ospedali di isolamento. Che caddero però sotto la streptomicina, così come la fortificazione francese sotto i panzer tedeschi, mentre la penicillina e i nuovi antibiotici decimarono le altre infezioni. Un risultato scientifico certamente rivoluzionario, ma che fece emergere un’altra patologia, le malattie cardiovascolari, che spesso non si erano manifestate solo perché la vita veniva fermata dai microbi prima dell’età che le favorivano.
Poiché sulle cardiopatie si è scritto in questa newsletter molte volte, non è più il caso di ricordare il grande lavoro che negli ultimi 60 anni i medici, poi diventati cardiologi, hanno fatto nell’individuare le varie forme, congenite e acquisite, coronariche e infettive, nonché i progressi delle tecniche diagnostiche e dei rimedi miracolosi per curarle. Oggi tutti i profani, nonostante l’ignoranza scolastica, ne sanno qualcosa, ma soprattutto sanno a chi rivolgersi quando sospettano di essere affetti o vogliono prevenire le malattie cardiovascolari. Ma l’attualità scientifica che avanza ci sta invece allertando su un altro problema, la interconnessione fra i microbi o i virus e il cuore, quelli che in passato si pensava non avessero alcun rapporto stretto, se non quello di tutti gli organi, dal cervello all’alluce, quando sono aggrediti da un’infiammazione. Si pensava infatti di aver fatto punto e ben catalogato certe classiche connessioni, come il reumatismo articolare acuto che, tramite lo streptococco, infiamma la gola dei ragazzi di debole immunità e poi le loro valvole; così come le rare endocarditi, miocarditi e pericarditi, tutte causate da altri germi-killer che a viso aperto, da fuori entrano nel cuore. Il tutto mediato da misteriosi meccanismi immunitari, diffusioni da altre infezioni o da fragilità locali del cuore. Insomma, una specie di complicazione, come quando una bronchite diventa polmonite.
Ciò che nessuno poteva sospettare è che ci fosse un maligno ancora più subdolo di quelli classici, capace di collegare qualsiasi banale influenzetta o scarsa igiene dentaria con il cuore, per danneggiare le coronarie, specie quelle che se si sono lasciate infiltrare da lesioni arteriosclerotiche.
Molti anni fa un collega dentista, di quelli che pensano oltre la carie e le protesi, mi disse “stai attento perché ho l’impressione che coloro che si trascinano banali infezioni paradentali (gengiviti) talvolta ammalano di infarto”. A onor del vero, un certo Collins già nel 1932 segnalava in un rapporto sanitario locale che durante un’epidemia influenzale si erano osservate morti per cause diverse dall’infezione virale, come appunto l’infarto. Avevano ragione entrambi poiché in anni più recenti numerosi studi hanno confermato questa correlazione fra influenza, polmoniti o altre infezioni e l’infarto, osservati in genere nei primi 15-30 giorni dai primi starnuti. Si è anche precisato che tale rischio nel periodo post-infiammatorio scompariva dopo i primi mesi dall’infezione, come a dire che l’attenzione medica non va subito abbandonata.
Gli esegeti di questa nuova osservazione sono riusciti a precisare anche il meccanismo più recondito di come avviene tutto ciò. L’infarto, specie il tipo 1, quello che dall’elettrocardiogramma e da altri segni è provocato dalla chiusura di una grossa coronaria, è dovuto all’infiammazione (durante un’influenza o una polmonite) di una placca di grasso cresciuta nell’interno dell’arteria, cui segue la sua chiusura per un coagulo che vi si sovrappone. Ma la precisazione più bella ci viene dagli epidemiologi, coloro che verificano se i presupposti scientifici associati alla prevenzione si traducono poi in un vantaggio per la salute, poiché si è constatato che in coloro che si erano vaccinati contro l’influenza l’infarto si riduceva di quasi il 40%. Alla faccia dei negazionisti nostrani, sospettosi di tutto, anche della scienza che guarisce, ma quando loro diventano pazienti pretendono il meglio e il più.
Eligio Piccolo
Cardiologo